
L'ad Fabrizio Salini imposto dai grillini, che non ammettono lo sbaglio, è saldamente ancorato agli schemi del Pd e non cambierà gli equilibri in azienda. Incarichi per Andrea Fabiano, Angelo Teodoli e Maria Pia Ammirati, tutti a marchio dem. «Lei gode di una fiducia trasversale, eserciti i suoi poteri». Fabrizio Salini incassa in Commissione di Vigilanza i complimenti dei consiglieri del Pd guidati da Michele Anzaldi e Davide Faraone, e decide che la sua è la strada giusta. In questa stagione surreale, per conservare la poltrona di amministratore delegato della Rai non è importante il consenso dell'azionista governativo, non è decisivo remare verso quel cambiamento prima chiesto e poi preteso da Lega e Movimento 5 stelle; a lui sembra più naturale assecondare il vecchio che avanza, cristallizzare l'immobilismo che da decenni rende la Rai un grande pascolo western della sinistra.Alla vigilia di alcune nomine chiave dell'azienda, gli evergreen tornano ad affollare i corridoi, a sgomitare per la pole position, a lusingare l'ad con i loro pedigrée autenticamente progressisti. Dopo aver tolto dal cappello a cilindro Alberto Matassino come direttore generale (con un passato nella segreteria organizzativa della fondazione di Enrico Letta), ecco che l'ad più controcorrente del pianeta ha pronte altre tre sorprese per le famose «direzioni orizzontali». La prima è la nomina di Andrea Fabiano, manager valorizzato nel periodo renziano, ai Nuovi Formati e Digital; questo anche se viene definito molto più uomo di marketing che di prodotto. La seconda è il ritorno di un Rieccolo di peso: Angelo Teodoli, ex direttore di Rai 1 e di Rai 2, ex capo dei palinsesti, un guerriero di lungo corso della Rai a trazione dem.Se questo è il cambiamento, il discobolo di Mirone è un esempio di arte contemporanea. E la terza sorpresa è in perfetta sintonia con le altre due: è pronta una poltrona anche per Maria Pia Ammirati, sinistra storica, ex direttore delle Teche, che a viale Mazzini ricordano per l'affondamento di due corazzate come Unomattina e La vita in diretta. La faccenda le valse la nomina in periferia (in Rai si dice: «Se non fai il bravo ti mando alle Teche»), ma evidentemente Salini è attraversato dal pensiero di rimetterla in sella al cavallo di Francesco Messina. Sembrano nomine di un board allegramente renziano, forse per questo Anzaldi e Faraone sono sereni e l'Usigrai non arriccia il naso.Nella Rai del presunto cambiamento, tutti gli approfondimenti sono culturalmente di sinistra. Gli speciali del Tg1 e Tv Sette sono in mano a lady radical chic Maria Luisa Busi; i talk show di Rai 3 sono firmati da Bianca Berlinguer, Lucia Annunziata, Serena Bortone. Fuori Corrado Augias, dentro Giorgio Zanchini (da Radio Anch'io). È un tornado dall'esito scontato; quando si adagia la polvere restano in piedi sempre gli stessi. Per esempio Franco Di Mare, Dna di sinistra e pupillo della Ammirati; conduceva Unomattina, avrà una nuova trasmissione (Frontiere) il lunedì sera su Rai 1. L'insegnamento della storia è monopolio di Paolo Mieli dai tempi di Annibale Barca, con due programmi. E Rai Cultura, per non sembrare filogovernativa (non sia mai, con la direzione di Silvia Calandrelli), non aveva altri che Ezio Mauro - ex direttore di Repubblica - a cui affidare gli speciali sulla caduta del muro di Berlino. Sarà l'imperdibile occasione per assistere alla riabilitazione dei Vopos. Ma per l'intellighenzia con vista mare a Capalbio il problema era Maria Giovanna Maglie. Rai Fiction è il brodo di coltura di Eleonora Andreatta, figlia di Beniamino, l'ex ministro della Dc. Alla radio stessa minestra gauchiste: Radio 1 è guidata da Luca Mazzà arrivato dal Tg3; Radio 3 è in mano da un decennio all'intoccabile Marino Sinibaldi. Gli unici spazi fuori dal Fort Apache piddino sono quelli marginali di Rai 2: Tg2 Post (20 minuti tutto compreso), Tg2 Dossier (in onda sabato a mezzanotte) e Povera Patria, obiettivo preferito degli obici rossi già dal titolo.In questo contesto è superfluo porsi domande epocali sul degrado della cultura italiana e sull'ignoranza endemica delle generazioni più giovani, testimoniata dalle disarmanti prove Invalsi. Poiché la scuola e la più grande azienda culturale del Paese sono saldamente e orgogliosamente nelle mani della sinistra da mezzo secolo, non serve Nero Wolfe per svelare il mistero dei danni prodotti dall'imperante e trombonesco mono marchio postsessantottino. In tutto questo l'ad Salini, nominato per gettare le basi della rivoluzione, coccola Fabio Fazio (con una mano gli toglie il 10% del compenso e con l'altra gli raddoppia il programma) e fa la guardia al museo. E i fremiti di innovazione voluti dalla Lega? Mai filati. E l'effervescenza culturale anche se bohémiènne cresciuta attorno al blog di Beppe Grillo? Non pervenuta.I vertici grillini hanno capito che il loro ad fa da tappo quando non gioca con il Pd, ma per ora non vogliono ammettere di avere sbagliato manager. Nel frattempo lui si ritrova sulla scrivania una singolare grana, quella di Iman Sabbah, giornalista israeliana di origine araba e con cittadinanza italiana che da anni conduce Tg e approfondimenti su Rainews 24. Il problema è che «il volto arabo della Rai» spinto verso l'alto dall'ex direttore generale Mario Orfeo non è giornalista professionista. Era in lizza per diventare vicedirettore di Rai Parlamento, ma il ministero della Giustizia (al quale l'ordine dei giornalisti aveva chiesto un parere) ha sancito l'esercizio abusivo della professione. La Rai contesta l'interpretazione di via Arenula e farà ricorso. Quando serve si va alla guerra santa.
Guido Crosetto (Cristian Castelnuovo)
Il ministro della Difesa interviene all’evento organizzato dalla «Verità» dedicato al tema della sicurezza con i vertici del comparto. Roberto Cingolani (Leonardo) e Nunzia Ciardi (Acn): bisogna prevenire le minacce con l’Ia.
Mai, come nel periodo storico nel quale stiamo vivendo, il mondo è stato più insicuro. Attualmente ci sono 61 conflitti armati attivi, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale, che coinvolgono oltre 92 Paesi. Ieri, a Roma, La Verità ha organizzato un evento dal titolo «Sicurezza, Difesa, Infrastrutture intelligenti», che ha analizzato punto per punto i temi caldi della questione con esponenti di spicco quali il ministro della Difesa Guido Crosetto intervistato dal direttore della Verità, Maurizio Belpietro.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.






