2020-04-04
L’uomo che tratta per noi a Bruxelles negoziò per Etruria e banche venete
Alessandro Rivera, nominato da Tria direttore generale del Mef, seguirebbe una linea diversa da quella di Palazzo Chigi, tanto che il premier lo avrebbe definito «un problema». Fra i dossier nelle sue mani, quello su Montepaschi.Il cantiere degli sherpa in vista dell'Eurogruppo del prossimo 7 aprile lavora a pieni giri. Il capomastro di quelli italiani è il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera. Un super burocrate (a differenza dei negoziatori politici inviati da altri Paesi, in primis la Germania) che sembra seguire uno spartito diverso rispetto a quelli dei direttori d'orchestra di Palazzo Chigi. Ma sulla base di quali direttive?Quel che è filtrato dal quotidiano La Stampa, che cita «fonti di governo» è un cortocircuito tra il ministero e appunto i tecnici sui soldi da destinare alle imprese. L'esecutivo insieme alla Banca d'Italia sarebbe in pressing sul Mef, proprietario della Cassa depositi e prestiti, per arrivare a 100 miliardi di prestiti alle aziende. Una sfida vitale per Giuseppe Conte, che sbufferebbe nei confronti delle mosse di Rivera. «Rivera è un problema, ci sta ostacolando su tutto», ripeterebbero queste fonti guardando alla partita sul Meccanismo europeo di stabilità. Le soluzioni che martedì saranno esaminate all'Eurogruppo non contemplano né la sospensione delle condizionalità né la firma del Memorandum. E quelle proposte hanno ricevuto il bollino tecnico di Rivera e della sua squadra. Il grand commis sta dunque diventando un problema sia per il premier sia per lo stesso ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, che dovrebbe delineare lo spazio politico in cui muoversi a Bruxelles con un mandato il più possibile chiaro. Eppure il profilo di Rivera è da navigato «civil servant». Abruzzese, nato all'Aquila 49 anni fa, il suo avo più antico di cui si trovano tracce nella storia della città è Pietro, signore di Collimento e discendente da Oderisio, detto Riviera, capitano di Federico II di Svevia. La sua, è una famiglia nobile che stabilì all'Aquila fin dalla sua fondazione, occupandone le cariche più importanti. Dopo Giuseppe fondatore della Società abruzzese di storia patria, lo storico Cesare, e Vincenzo, botanico, intellettuale tra i firmatari del manifesto antifascista nel 1925, membro dell'assemblea costituente, deputato, cofondatore e primo rettore dell'università dell'Aquila, è arrivato lui. Alessandro. Che ha fatto carriera all'interno del ministero del Tesoro dopo aver partecipato quasi 19 anni fa al primo corso concorso della Scuola superiore della pubblica amministrazione. Ha sfruttato la sua passione per le maratone negli infiniti negoziati: come quello per le condizioni dei Tremonti bond, nel 2001, ma soprattutto le trattative con la direzione generale concorrenza dell'Unione Europea sui salvataggi bancari, da Banca Etruria alle ex Popolari venete e all'aumento precauzionale del Monte dei Paschi di Siena, proprio lui che aveva cominciato elaborando i dati sui bilanci della fondazioni. Tanto da conquistarsi il «sincero apprezzamento» del dominus dell'Acri e della Cariplo, Giuseppe Guzzetti. Non a caso tra i compiti di Rivera, c'è anche il ruolo all'interno della Cdp, il gruppo che è controllata dal Tesoro ma ha gli enti come socio rilevante.Da responsabile del dipartimento banche del Tesoro, nell'estate del 2018 è stato chiamato da Giovanni Tria a capo della direzione generale contro il parere del M5s. Sulla stessa poltrona che fu occupata dal 1991 al 2001 da Mario Draghi. I faldoni dei dossier gli affollano la scrivania, e ora alcuni cominciano a prendere un po' di polvere. Come quello di Mps dal cui capitale il Mef deve uscire entro il 2021: le trattative con Bruxelles per il via libera alla cessione di almeno 10 miliardi di crediti deteriorati ad Amco (la ex Sga, società a sua volta controllata dal Mef) senza violare la disciplina sugli aiuti di Stato vanno avanti ormai da mesi. Con l'ad, Marco Morelli, dimissionario, un successore da trovare, un'assemblea rinviata a data da destinarsi, le perdite virtuali per l'azionista Tesoro che continuano ad aumentare con i crolli del titolo in Borsa, e soprattutto un cavaliere bianco che ancora non si vede all'orizzonte, quella di Rivera per portare giù lo Stato dal Monte sta diventando una mission impossible. Il direttore generale ha anche altri grattacapi che gli danno pensiero. Come gli oltre 60.000 azionisti della Banca popolare di Bari che lo ritengono colpevole del mancato salvataggio dell'ultimo baluardo creditizio del Mezzogiorno, attraverso il Fondo interbancario di tutela dei depositi e, prima ancora, azionando una norma del Decreto crescita che consentiva di trasformare le imposte differite (Dta) in crediti d'imposta fino a 500 milioni di euro. Per il negoziatore Rivera forse sarebbe meglio smettere di fare avanti e indietro da Bruxelles, rifugiarsi nella torre merlata del castello di famiglia del XVI secolo a San Sisto o in una banca d'affari blasonata piuttosto che rimanere in Purgatorio ostaggio di una serva Italia, senza nocchiero in gran tempesta. Nel frattempo, chissà con quale maglia sta correndo questa maratona.