2023-01-12
Il golpetto di Lula: conti bloccati ai rivali e purga nell’esercito
Luìs Inàcio Lula da Silva (Getty Images)
Dopo l’assalto al Parlamento, il leader brasiliano fa tabula rasa. Mentre nessuno si cura dei moti di piazza (con 50 morti) in Perù.Il Sudamerica è da sempre attraversato da numerosi conflitti. Per questo motivo occorre sempre usare una certa cautela quando tentiamo un’analisi di questo continente così sfaccettato, complesso, antico e moderno al tempo stesso.Ecco perché molti commenti che si leggono in giro sui disordini brasiliani lasciano alquanto perplessi. È molto facile condannare i rivoltosi, e probabilmente è anche giusto, se non addirittura doveroso. Del resto, l’assalto a un Parlamento, a qualsiasi latitudine, viene subito interpretato come un atto eversivo. E ci mancherebbe pure. Ma un conto è presentarsi davanti a una sede governativa con mitragliatori e granate, tutt’altro è farlo con una maglietta verdeoro e un elmo con le corna. Il confine tra protesta (anche violenta) e vero e proprio colpo di Stato rischia di assottigliarsi un po’ troppo e di fornire la giustificazione a contromisure sproporzionate.Le ultime notizie che giungono da Brasilia e dintorni ci dicono che Lula, assurto in Occidente a eroe salvatore della democrazia, ha esonerato con atto d’imperio tutti i vertici delle forze di sicurezza, accusate di negligenza e comportamento omissivo durante i disordini di domenica. La disposizione è stata eseguita da Ricardo Cappelli, segretario esecutivo del ministero della Giustizia brasiliano, e ha colpito in particolare Anderson Torres, ormai ex responsabile per la Pubblica Sicurezza a Brasilia.Inoltre, su richiesta dell’Avvocatura generale dello Stato, Alexandre de Moraes, giudice della Corte suprema brasiliana, ha proibito l’occupazione e il blocco di strade e autostrade, imponendo altresì il divieto di manifestare davanti agli edifici pubblici. La richiesta dell’Avvocatura è scaturita dal timore che i sostenitori di Bolsonaro si stessero organizzando su Telegram per proseguire le proteste. Come se non bastasse, il viceprocuratore generale della Corte dei conti brasiliana ha disposto il congelamento dei conti correnti dello stesso Bolsonaro, di Anderson Torres, del governatore del Distretto Federale, Ibaneis Rocha, e altre personalità sospettate di sostenere i manifestanti.Ora, si può parlare di misure d’emergenza quanto si vuole, ma rimane comunque il fatto che Bolsonaro, a cui metà dei brasiliani ha dato il proprio consenso nelle urne, viene trattato di fatto come un golpista, anche se si è ufficialmente dissociato dalle proteste più violente. Siamo proprio sicuri che queste misure non possano costituire un pericoloso precedente? Che cioè Lula non possa rispondere così al dissenso dell’opposizione anche qualora, in futuro, non ce ne fosse bisogno? Sono domande legittime, per rispondere alle quali è necessario smettere i panni del tifoso una volta per tutte.Per capire come funziona un golpe vero e proprio, d’altronde, basta volgere lo sguardo al Perù. Con i riflettori puntati su Brasilia, infatti, a molti sta sfuggendo il vero caos scoppiato a Lima e nel Sud della nazione. Sono ormai settimane, infatti, che si registrano scontri molto violenti tra le forze dell’ordine e i sostenitori dell’ex presidente peruviano, l’assai controverso Pedro Castillo. Il leader socialista era stato deposto lo scorso dicembre per aver cercato di sciogliere il Congresso, e quindi di liquidare le opposizioni, dopo che queste avevano aperto più procedure di impeachment a suo danno con accuse molto gravi. Oltre allo scioglimento del Congresso, Castillo intendeva anche ordinare un coprifuoco nazionale e istituire un governo d’emergenza. Un atto, questo, che persino alcuni membri del suo partito, Perù libero, avevano derubricato a tentativo di colpo di Stato. Per questo motivo Castillo è stato arrestato e la presidenza è passata alla sua vice, cioè l’attuale presidente Dina Boluarte. Nelle ultime 72 ore le proteste sono degenerate, con la polizia che non ha esitato a rispondere con il fuoco alla violenze di piazza. Finora si contano circa 50 morti più svariate centinaia di feriti. I fatti più gravi sono avvenuti a Puno, città del Perù meridionale, al confine con la Bolivia. Qui migliaia di manifestanti si sono dati al saccheggio e a scontri con le forze dell’ordine. Un agente, José Luis Soncco, è rimasto vittima di un’imboscata dall’esito agghiacciante: il poliziotto è stato bruciato vivo nella sua auto di pattuglia, che la folla aveva dato alle fiamme.Ecco, mentre il Parlamento rinnovava la fiducia al governo, Castillo ha rivendicato su Twitter le azioni dei rivoltosi: «I peruviani assassinati per aver difeso il paese dalla dittatura golpista saranno ricordati per sempre nella storia della nostra grande patria». Chissà se qualche politico della sinistra nostrana avrà il coraggio (e la decenza) di condannare, oltre al «conservatore» Bolsonaro, anche il compagno Castillo.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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