2025-04-09
L’Ue tira dritto sul Green deal e minaccia le Big tech Usa
Nonostante il deserto industriale provocato dalla transizione, Teresa Ribera, numero due della Commissione, insiste sui progetti ambientalisti da mescolare con il riarmo. I colossi tech americani sono disponibili a investire nell’Unione ma lei li vuol tassare.Teresa Ribera, socialista spagnola e pasionaria del green, ha conquistato la poltrona più impostante dell’Ue. Posta un centimetro più in basso di quella occupata da Ursula von der Leyen. Ha portato la voce del suo sponsor Pedro Sanchez a pesare ancor di più a Bruxelles garantendogli la leadership dei socialisti. Ora gli spagnoli fanno pesare il loro ruolo e, sebbene per motivi diversi, si allineano ai francesi e fanno pesare il loro voto e veto sulla trattativa Unione europea-Usa. Lo fanno con due argomenti esplosivi e pericolosi per il Pil dell’Unione. Chiedere i contro dazi, cioè nuove barriere all’ingresso nel settore digitale e, al tempo stesso, rafforzare la morsa del Green deal. Nel momento esatto in cui un pezzo di Europa, i governi di destra e i partiti di centrodestra chiedono lo stop alla transizione green e alle migliaia di norme e vincoli burocratici eredità del modello Timmermans. «La digitalizzazione, la decarbonizzazione, la capacità di rendere le nostre produzioni ecologicamente sostenibili sono gli elementi di successo nel rafforzare la sicurezza economica, evitare il disagio sociale, e creare benessere per i cittadini», ha detto ieri la Ribera, aggiungendo: «quando parliamo di Green deal e Clean industrial deal non parliamo solo di responsabilità e dovere intergenerazionale ma anche di performance economica e di prosperità economica». Le solite posizioni, insomma. Dette però in queste ore rafforzano la preoccupazione degli imprenditori (non solo italiani) che chiedono, anche se con un certo ritardo, un bagno di realtà e di fermare il processo di desertificazione industriale dell’Ue. Interessante, per giunta, il luogo in cui la Ribera ha parlato. Era in audizione alla commissione Affari economici (Econ) del Parlamento europeo e per la precisione sollecitata da Gaetano Pedullà, capo delegazione dei 5 Stelle. In chiaro messaggio, dunque, al premier Giorgia Meloni che domani ha chiesto espressamente la revisione delle tappe green. E un messaggio anche alla Lega che sempre ieri ha reso noto di aver presentato una mozione (da sottoporre a tutti gli eletti nei vari ambiti locali) mirata a rivedere il Patto di stabilità, il piano di riarmo o prontezza 2030. Lo scontro è forte e le due visioni sono sempre più difficili da far combaciare. Soprattutto di fronte ad asticelle poste ancora più in alto. L’intervento della Ribera punta a miscelare il Green deal con il piano di riarmo. Il che non significa che faremo carri armati elettrici ma che si vuole mutuare il debito comune per raggiungere un solo obiettivo: la società su modello socialista. E in questo la frattura con gli Usa diventa per il Pse l’occasione migliore per forzare la mano, avvicinarsi alla Cina e schiacciare chi la pensa diversamente. Chi sta tentando un approccio bilaterale con Donald Trump. La Ribera sa che Paesi come l’Italia possono offrire partneship militari (basti pensare che gli Usa sarebbero interessati a joint venture con Fincantieri) in cambio di un trattamento diverso rispetto agli altri Paesi membri. Ecco che oggi il tentativo di alzare le barriere ai servizi digitali mira a inasprire i rapporti e tentare la rottura con gli Usa. Poco importa se poi a pagare in termini di minori servizi e tasse saranno i cittadini dell’Unione. «La conformità al Digital markets act è il nostro obiettivo principale. Avremo un dialogo costruttivo con i gatekeeper, come abbiamo fatto finora per trovare soluzioni praticabili, come nelle decisioni relative ad Apple», ha ribadito sempre ieri la Ribera. «Ma se non vediamo la volontà di cooperare, non esiteremo a imporre le sanzioni previste dalla legge». E non è solo in questo discorso. Vanno osservate da vicino anche le mosse di Christine Lagarde non solo sui tassi ma sul potere che ha tra le mani in relazione ai servizi bancari. «Bruxelles dovrebbe lavorare a una alternativa europea ai servizi di pagamento quali Visa e Mastercard», ha detto la signora di Francoforte. Non che sia a livello teorico sbagliato sviluppare tecnologia europea, anzi sarebbe un progetto interessante. Ma di lungo termine. Farlo però come ritorsione ci mette in una posizione di debolezza. Non avendo alcuna alternativa disponibile, se non valide azienda come Bancomat. Il tema però è più ampio e su questo dovrebbe imparare da Trump. Se i governi convocassero i colossi digitali e chiedessero investimenti sul territorio, molti di questi sarebbero disponibili. Non è un discorso teorico, ma alcuni esponenti che operano in Italia, contattati dalla Verità, hanno confermato che volentieri si siederebbero a un tavolo di trattativa. Certo, in cambio chiederebbero qualcosa, pressioni a Bruxelles per liberalizzare.L’esatto opposto di quanto ieri la Ribera ha ribadito: altro Green deal e nuove barriere. Senza tornare nel merito dei dettagli delle quattro opzioni di barriere sulle quali l’Ue sta lavorando, appare chiaro il motivo per cui i socialisti stanno polarizzando il dibattito. Una rottura ulteriore con l’asse atlantista consentirebbe di rafforzare la loro presa su quella parte di votanti che chiedono di affidare tutto il potere a Bruxelles, in sostanza seguono il modello più Europa. Ovviamente il contro altare di tale mossa porterebbe a potenziare anche l’altro estremo: i partiti più a destra che cavalcherebbero il fallimento delle trattative, i conseguenti effetti anti Pil chiedendo lo spacchettamento dei poteri di Bruxelles.Si comprende meglio il percorso difficile che ha intrapreso la Meloni. La quale non solo può rafforzare (se ha successo nelle trattative con la Casa Bianca) la sua presa estera, ma può consolidare il peso politico in Italia di un partito conservatore che non ama la parte destruens del mondo ma quella costruttiva.