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L’Ue non rinnova con Astrazeneca. Così crescerà l’ondata di rifiuti

L’Ue non rinnova con Astrazeneca. Così crescerà l’ondata di rifiuti
Ursula von der Leyen (Ansa)
Alla luce della guerra dichiarata dalla Ue fin dall'inizio contro il vaccino anglosvedese, la parabola Astrazeneca non poteva che finire così. Non hanno quindi sorpreso le parole di ieri del commissario al Commercio interno europeo, Thierry Breton: «Per il momento la Commissione europea non ha rinnovato il suo contratto per i vaccini anti Covid sviluppati da Astrazeneca oltre la scadenza dell'attuale contratto, prevista alla fine di giugno», ha annunciato ai microfoni di France Inter sottolineando che Bruxelles non ha rinnovato l'ordine dopo giugno, «vedremo cosa succederà». Prevedibile, considerando anche l'azione legale avviata dalla Ue contro Az davanti alla corte belga per il mancato rispetto del contratto sulle consegne (la prossima udienza è fissata per il 26 maggio). Breton ha definito il vaccino «molto interessante e molto buono», soprattutto «per le condizioni logistiche e le temperature» cui può essere conservato. Ma il commissario ha poi aggiunto che «abbiamo iniziato con Pfizer a lavorare con la seconda fase e i vaccini di seconda generazione». Confermando che la linea Ue che è quella dettata da Berlino: puntare tutto per le forniture dei prossimi anni sul prodotto creato dalla tedesca Biontech insieme all'americana Pfizer. Non a caso - mentre era in corso il vertice dei 27 leader europei a Oporto andato avanti anche ieri - Bruxelles ha approvato un contratto per 900 milioni di dosi garantite più 900 milioni di opzioni con Pfizer-Biontech per il 2021-2023. Di certo, la mossa annunciata da Breton è il prevedibile finale di un'operazione iniziata ancora prima che Astrazeneca fosse approvato dall'Ema. La vera cartina di tornasole sarà Johnson&Johnson, sperando che da Bruxelles non venga suonata la stessa musica.

Quale effetto avrà, intanto, lo stop al contratto con Astrazeneca sulla campagna vaccinale italiana? Dal punto di vista operativo, le consegne previste dagli accordi vigenti (se saranno rispettate) basteranno per garantire i richiami: nel secondo trimestre di quest'anno, ovvero da qui a giugno, sono attese più di 10 milioni di dosi, e nel terzo trimestre 2021, che termina a settembre, oltre 26 milioni di dosi. Non rinnovare il contratto significa, però, mandare il messaggio che la Ue non vuole Astrazeneca. E «se non lo vuole l'Europa perché dovrei prenderlo io?», può facilmente pensare chi si presenta all'appuntamento con il vaccino. Il rischio è quindi quello di alimentare la psicosi ingiustificata che ha creato un sottoutilizzo importante in alcune regioni come la Sicilia con 112.000 dosi ferme nei frigoriferi (il 49,3% di quelle consegnate), o la Basilicata che ha a disposizione il 46,86% di quelle consegnate. Per un totale nazionale di oltre 1,7 milioni di Az ferme in frigo. Nel Lazio sono state già prenotate tutte le dosi del vaccino Pfizer per maggio, sono disponibili ancora, sempre per maggio, 100.000 slot di prenotazione per Astrazeneca e J&J. Idem all'Asl Napoli 2 Nord che non aprirà alcuni dei propri 18 centri vaccinali oggi e domani perché nelle farmacie dell'azienda sanitaria, complice anche la scelta di Vincenzo De Luca di uscire dal sentiero delle categorie prioritarie tracciato dalla struttura commissariale per vaccinare la qualunque, sono finite le scorte di Pfizer e di Johnson&Johnson mentre c'è ancora un limitato stock di Astrazeneca. Non solo. A Matera l'«Astranight», l'iniziativa di Regione Basilicata e Azienda sanitaria locale per dedicare una notte alla somministrazione «libera» di Astrazeneca a chi ha un'età fra 60 e 79 anni, è stata un flop: sono state somministrate solo 250 dosi su 750. Intanto la Lombardia (dove meno dell'1% delle persone vaccinate dice no a Vaxzevria grazie anche alle rassicurazioni da parte degli operatori sanitari che hanno smontato qualunque resistenza) ha chiesto di avere ulteriori dosi Astrazeneca qualora nelle altre regioni venissero rifiutate. E lo stesso ha fatto il Piemonte. Ma il governo ha risposto picche, forse anche per timore di dover dare in cambio un rinforzo di dosi Pfizer a chi lascia in frigo le Az.

L’imam Shahin lascia il CPR: per i giudici non sarebbe una minaccia tale da giustificare la detenzione, nonostante le sue parole sul 7 ottobre e un passato già segnalato dal Viminale. Il provvedimento di espulsione resta, ma la decisione riapre una questione cruciale: fino a che punto la sicurezza nazionale può essere messa in secondo piano rispetto ai ricorsi e alle interpretazioni giudiziarie?

Il deficit commerciale con Pechino tocca i 73 miliardi nei primi dieci mesi dell’anno. L’industria (divisa) chiede tutele, ma Merz dovrebbe stravolgere il modello tedesco.

Ogni stagione ha il suo «Fate presto!». Questa volta, l’esortazione non è rivolta all’Italia ma alla Germania, e non per tagliare il debito pubblico bensì per tagliare i legami con la Cina. Il lamento degli industriali tedeschi, sempre più in difficoltà di fronte alla potenza industriale cinese, risuona potente nei corridoi della cancelleria di Berlino.

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Gli Usa: «Risolto il 90% dei problemi». Ma Zelensky tergiversa sui territori
Volodymyr Zelensky e Friedric Merz (Ansa)
Ottimismo degli States dopo i colloqui a Berlino: «Garanzie di sicurezza molto forti per Kiev». I leader Ue plaudono ai passi avanti fatti grazie a Trump: «Sostegno al presidente ucraino se consulterà il suo popolo».

Le trattative tra la Casa Bianca e Kiev sul piano di pace sono state segnate da importanti «progressi». Questo è il fil rouge che accomuna le dichiarazioni della delegazione ucraina e di quella americana, dopo il faccia a faccia a Berlino tra il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il suo negoziatore, Rustem Umerov, l’inviato americano, Steve Witkoff e il genero di Donald Trump, Jared Kushner.

Dopo otto ore di negoziati tra ieri e domenica, Volodymyr Zelensky, ha reso noto che «i colloqui non sono stati facili, ma molto produttivi». Da Oltreoceano, la reazione del presidente americano è stata positiva: secondo gli alti dirigenti americani «Trump è soddisfatto di dove siamo arrivati».

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Il giudice rigetta l’archiviazione di John. «Nascose la nonna per prendersi i soldi»
John Elkann (Ansa)
Il gip Borretta chiede al pm l’imputazione coatta per Elkann e il commercialista Ferrero per le dichiarazioni di Marella.

Natale amaro per John Elkann. L’erede di casa Agnelli, impegnato nella cessione dei suoi giornali, La Stampa e La Repubblica (ma non della Juventus, da lui smentita con forza), nonostante la richiesta di archiviazione da parte della Procura di Torino, si è ritrovato sul capo la richiesta di imputazione coatta ordinata dal gip agli inquirenti.

A fine estate, con un sintetico comunicato stampa, la Procura aveva annunciato la fine delle indagini sull’eredità di Marella Caracciolo (deceduta nel febbraio 2019). I reati contestati erano di dichiarazione infedele (inizialmente i pm avevano contestato la più grave dichiarazione fraudolenta) e di truffa ai danni dello Stato.

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