2023-03-30
L’Ue copre Ursula sui contratti con Pfizer
Ursula Von der Leyen (Ansa)
In commissione d’inchiesta, il commissario alla Salute nega spudoratamente il coinvolgimento di Ursula Von der Leyen nei negoziati. Dei messaggi con Bourla, intanto, non c’è più traccia. Il capo dell’Ema, incalzata sulle reazioni avverse, giura: «Monitoreremo».«La presidente della Commissione non è stata coinvolta in alcuna trattativa sul contratto per il vaccino Covid». Il commissario Ue alla Salute, Stella Kyriakides, sentita l’altro ieri dal comitato speciale dell’Europarlamento che indaga sulla gestione della pandemia, copre la sua principale, Ursula von der Leyen. L’ex ministro tedesco è da tempo sotto la lente del difensore civico europeo, Emily O’Reilly, per la vicenda dei messaggi scambiati con l’amministratore delegato di Pfizer. Una corrispondenza che sarebbe stata fondamentale per sbloccare i negoziati sul terzo contratto per i vaccini, siglato con il colosso farmaceutico, ma della quale è sparita ogni traccia. Avevano provato a fare chiarezza il giornalista d’inchiesta Alexander Fanta, del blog tutonico netzpolitik.org e, ovviamente, il New York Times, prima che si muovesse l’ombudsman. Tentativi andati a vuoto, tanto che il quotidiano della Grande Mela ha deciso addirittura di fare causa alla Commissione per il rifiuto di mostrare i famigerati sms. Per la Kyriakides, un polverone infondato: dalla Germania agli Stati Uniti, i cronisti avranno inventato tutto. Con Albert Bourla, Ursula avrà parlato al massimo di succulente ricette. Secondo la politica cipriota, gli unici a occuparsi del dialogo con Pfizer sono stati «un gruppo di negoziazione congiunto e un comitato direttivo». La responsabile della Salute a Bruxelles, peraltro, ha dato una notizia: «Gli Stati membri», ha infatti sostenuto, «hanno sempre avuto la possibilità di rifiutare un contratto» ed erano «perfettamente a conoscenza delle condizioni» degli accordi. Ah sì? Qui, allora, le ipotesi sono due. O davvero i singoli Paesi avevano la facoltà di muoversi in autonomia e, al contrario, hanno preferito le clausole scucite da Pfizer in Europa. È uno scenario avvalorato dall’intercettazione, finita agli atti della Procura di Bergamo, in cui l’allora direttore generale dell’Aifa, Nicola Magrini, lamentava come nessuno avesse letto realmente i contratti, che contenevano condizioni «capestro» ed erano scritti «come una presa in giro per analfabeti con l’anello al naso». Oppure, la scelta era di fatto obbligata: correre dietro all’Ue per non restare senza dosi. E chi lo avrebbe spiegato all’opinione pubblica?L’unica certezza è che la trasparenza sbandierata dai fenomeni di Bruxelles è andata a farsi benedire. Non a caso, il capo della commissione d’inchiesta, la socialista belga Kathleen Van Brempt, ha insistito con la richiesta di lasciar visionare ai rappresentanti eletti i documenti nella loro interezza, anziché con ampie sezioni sbianchettate. «Abbiamo fatto del nostro meglio per informare gli eurodeputati», ha però fatto spallucce il commissario, «tenendo conto degli obblighi contrattuali». Che impongono riserbo. Intanto, i lobbisti di Pfizer continuano ad avere accesso al Parlamento Ue e il ceo Bourla a sfuggire alle domande del comitato. Perché loro sono loro e noi non siamo un c…Anche Emer Cooke, numero uno dell’Ema, è finita sotto torchio in audizione. Gli onorevoli di Identità e democrazia hanno provato a incalzarla sulla questione degli effetti avversi. In particolare, Christine Anderson, esponente di Alternative für Deutschland, le ha rinfacciato che non tiene a mente le cifre sulle reazioni ai vaccini: «Dovrei concludere che semplicemente non le interessano, o che lei sta lavorando per le grandi compagnie farmaceutiche in Europa». La funzionaria irlandese, pur replicando che i report sugli effetti collaterali sono stati sempre prontamente diffusi, ha comunque ammesso che il monitoraggio è ancora in corso: «Continuiamo a fare verifiche con specialisti di farmacovigilanza abituati a lavorare con questi dati. Stanno valutando se ci sono problemi e cosa possiamo far a riguardo». Per quale decade arriveranno a una conclusione? La commissione ha poi illustrato al Parlamento europeo una relazioni, stilata dopo la visita in Lombardia e Veneto, in occasione della quale si sono tenuti incontri con il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, quello di Padova, Sergio Giordani e il governatore Attilio Fontana. A parte promuovere il modello Zaia, basato sulla medicina di prossimità, piuttosto che sulle prestazioni ospedaliere, il testo avrebbe, secondo la vulgata dei media, promosso i lockdown: la loro «rapida introduzione», si legge nel report, «è stata la misura più efficiente per fermare la diffusione del virus in una fase iniziale in cui non esistevano protocolli medici ben sviluppati». Già. L’inghippo sta proprio lì: non esistevano protocolli. Negli anni, nessuno si è preoccupato di aggiornarli e, quando è arrivata l’emergenza, persino quelli previsti dal vecchio piano pandemico sono stati tenuti nel cassetto, per affidarsi al fantomatico «piano segreto», calibrato sulle stime imprecise di contagi e ricoveri elaborate dalla Fondazione Kessler. E poi, c’è una bella differenza tra l’introduzione di zone rosse circoscritte e la serrata nazionale, la mossa di «cieca disperazione», come la definì Walter Ricciardi, scaturita da negligenze e incapacità di tecnici e politici. Ma loro sono come la von der Leyen: non sanno, non hanno visto e se c’erano dormivano.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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