2022-11-22
«Ecologisti imbrattatori vi maledico. Via dall’Opera o scendo con la spada»
Luca Salsi (Marco Borrelli/ courtesy Teatro Alla Scala)
Il baritono verdiano Luca Salsi protagonista di tre Prime scaligere con Anna Netrebko: «Chi sfregia Monet o interrompe il “Flauto magico” è una capra. Bandire la musica russa è come fare a meno di Wagner per colpa di Hitler».Sta per arrivare quell’attimo fuggente dell’anno in cui l’Opera mette a tacere tutto il resto. E l’Italia, con i suoi 60 milioni di ct della nazionale (orfani dei mondiali), si trasforma per una notte in un popolo di registi, scenografi e direttori d’orchestra. Merito del Teatro alla Scala che, come da tradizione meneghina, dà inizio al suo anno liturgico il 7 dicembre. Il rito prevede 150 minuti di musica e - nelle intenzioni di una platea «popolare» formata da autorità e amministratori delegati - 92 minuti di applausi (di fantozziana memoria) al capo dello Stato, Sergio Mattarella. Il quale, incolpevole, benedirà dal Palco reale, sperando che, dopo cinque o sei, parta l’inno nazionale. Il sipario della Prima di Sant’Ambrogio - e pure di Sangiuliano, neoministro della Cultura, meloniano tra i melomani - si aprirà dopo una vigilia tempestosa. Sulla scelta del Boris Godunov di Modest Musorgskij è piovuta infatti la scomunica del console ucraino (che non ha gradito nemmeno il ritorno del soprano Anna Netrebko nel 2023). E il Piermarini, che era già inciampato nel caso Gergiev (e in quello della stessa Netrebko, sui quali si è versato abbondante inchiostro), stavolta ha fatto elegantemente notare che cultura russa e propaganda putiniana per la Scala pari non sono. Il mondo della lirica ribolle comunque anche al di fuori del cono di luce scaligero. Venezia ha già riaperto le danze, domenica tocca a Roma, il galà per salvare Villa Sant’Agata di Giuseppe Verdi è andato in scena ieri e - per dirne quattro - questa sera nell’agenda degli appassionati è cerchiato in rosso (anche per le polemiche di quest’estate) il ritorno di Placido Domingo a Piacenza. «Dopo il tunnel della pandemia siamo tornati faticosamente alla normalità: cartelloni ricchi, cantanti sul palcoscenico e pubblico in sala. Per fortuna l’Opera non è stata trasformata in un prodotto da divano, come una serie Netflix». A parlare è un veterano delle Prime alla Scala, il baritono Luca Salsi. Nel suo curriculum ne ha ben tre, trionfali, con la Netrebko e, ovviamente, con il maestro Riccardo Chailly (Andrea Chénier 2017, Tosca 2019 e Macbeth 2021). E se a Milano Salsi è l’idolo dei loggionisti, e non solo, a New York - da dove chiacchiera telefonicamente con La Verità - è considerato addirittura un Avenger dell’Opera. La sua impresa del 2015, quando al Metropolitan sostituì con soli 30 minuti di preavviso Domingo nell’Ernani, è passata alla storia. Anche perché, dopo qualche ora, sarebbe rientrato in scena nella Lucia di Lammermoor di Donizetti.Sabato sera al Met ha concluso tra gli applausi l’ottava recita della Traviata. Soddisfatto?«Molto, anche se il ruolo è breve. Per un baritono è un’opera da riposo. In compenso ho aggiunto quattro rappresentazioni non previste di Tosca, al posto di un collega…».Allora è un vizio?«Stavolta l’ho saputo ben due giorni prima» (ride). «Ora penso a Rigoletto, sempre qui a New York, a dicembre. E ad Aida a gennaio, alla quale però dirò presto addio».Come mai?«All’opposto di Rigoletto, è un titolo “da riposo” anche quello, ma dà molte meno soddisfazioni di Traviata. Ora voglio concentrarmi sulle opere nelle quali si recita molto e si scava all’interno della parola, come Macbeth o Simon Boccanegra».A proposito di Verdi, com’è nato il suo amore per il cigno di Busseto, di cui è anche conterraneo?«La passione per la sua musica ce l’ho fin dai primi anni di studio a Parma. La svolta però è avvenuta grazie al maestro Riccardo Muti, che ha rivoluzionato il mio approccio».Ci spieghi meglio. «Muti è geniale nel trovare dentro lo spartito ciò che gli altri non vedono. Un esempio su mille: alla prima prova de I due Foscari all’Opera di Roma mi invita a cantare l’entrata del Doge: “Dove de’ Dieci non penétra l’occhio?”» (canta). «Mi ferma e mi chiede: “Lei lo sa perché Verdi, al posto di farle dire pènetra, fa cadere l’accento sulla seconda “e”, allungando questa nota di un ottavo?”».E lei lo sapeva?«Conoscevo l’Opera a menadito, ma mi ha colto in castagna. Poi mi ha spiegato: “Prolungando questa nota, Verdi le dà la possibilità di farmi sentire che il Doge è sviato dal consiglio dei Dieci e che il figlio sta per essere mandato in esilio. La prenda più forte, poi diminuisca e stringa un po’ il vibrato”» (la ricanta, completamente diversa). «Lavorando in questo modo il personaggio si costruisce attraverso la musica e in scena non c’è nulla da aggiungere: una rivoluzione».Gli altri maestri che per lei sono stati decisivi?«Riccardo Chailly: con lui ho lavorato a tre repertori diversi. Ha un gesto così bello, che chiama tutti i colori dell’orchestra e si fa capire all’istante. Nella Tosca di Puccini abbiamo vissuto un momento magico. E poi non posso non citare il mio mentore, Carlo Meliciani».È il suo primo anno senza di lui. «Mi manca molto, anche se ho dieci anni di lezioni registrate (su 22 di studio insieme), che conservo gelosamente. Tornare a casa sua, a Empoli, per studiare dopo una tournée era come fare il tagliando».Provo a riportarla nel clima della vigilia di questa Prima scaligera. Nell’Opera secondo Luca Salsi i bis durante una recita sono concessi, o no?«Guardi, in teatro c’è un personaggio che il libretto non cita e che il Covid ci ha fatto mancare moltissimo: il pubblico. Il bis è un’eccezione alla regola, ma se la gente esplode in un’ovazione di qualche minuto non si può evitare...».Sugli acuti strappa applausi non previsti dal compositore, ma ormai diventati prassi, come la vede?«In questi casi, patti chiari amicizia lunga: se il direttore impone una linea rigorosa fin dall’inizio io la condivido. Se però nel Rigoletto il tenore inizia a fare il si ne La donna è mobile, io non posso non fare il la bemolle nella vendetta» (ride). «Scherzi a parte, dietro ogni nota voluta o meno dal compositore c’è sempre una motivazione». È più a suo agio con le regie moderne o tradizionali?«Se il regista rispetta la musica e non va in contrasto con quello che si sta cantando, il periodo storico si può anche trasportare. Per osare però servono idee geniali, non scadenti. Ho partecipato, ad esempio, a un Rigoletto ambientato in manicomio dal regista Damiano Michieletto, con il protagonista che rivive tutta la vicenda con l’ausilio dei video: spettacolare!». Passiamo alle dolenti note. La Scala per fortuna non ha rinunciato al Boris Godunov, anche se qualcuno pensa che eseguire autori russi sia una forma di propaganda putiniana. A Cleveland, ad esempio, l’Ouverture 1812 di Ciajkovskij è stata annullata per non evocare la vittoria russa su Napoleone. Che effetto le fa?«È come bandire la musica di Richard Wagner per dissociarsi dai crimini di Adolf Hitler: non ha alcun senso».Queste polemiche hanno travolto anche la sua collega Netrebko e sembrano sempre sul punto di ricominciare. Cosa ne pensa?«Stiamo parlando di una delle artiste più importanti al mondo. E non godere della sua arte è un grande dispiacere. Spero che questa terribile guerra finisca e che arrivi il prima possibile la pace, in modo da liberare anche la musica».Dalle liste di proscrizione musicale (che coinvolgono i vivi e i morti) ai quadri imbrattati di sugo: l’arte sta diventando il bersaglio preferito dell’ideologia?«Questa moda di colpire Monet, Van Gogh o Warhol è il sintomo dell’ignoranza dilagante del nostro tempo. Gli autori di questi gesti mi sembrano un gregge di pecore, ignoranti come capre. “Vil razza dannata”, direbbe Verdi. C’è povertà d’animo e di cultura».Gli attivisti green hanno anche interrotto il Flauto magico all’Opéra di Parigi.«Dovesse succedere a me, scenderei in platea a prenderli a calci nel sedere... Devono fare molta attenzione perché in qualche opera ho in mano la spada…».Prima di lasciarci, se potesse indicare una priorità al nuovo ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, quale sceglierebbe?«Innanzitutto mi unisco agli appelli per salvare Villa Sant’Agata. Bisogna evitare che la casa di Verdi vada all’asta: sarebbe uno scempio. Ho molta stima e fiducia nel nuovo ministro e sono sicuro che farà il massimo per risolvere questa situazione».Me ne aggiunge un’altra?«Serve una grande riforma del teatro dell’Opera italiano».Vaste programme. Cosa intende?«Bisogna abbandonare strane idee come il Netflix della lirica (ItsArt, lanciato dall’ex ministro Dario Franceschini, è stato un flop da 7,5 milioni, ndr) e, come minimo, mettere mano ai contratti. Ne avevo parlato senza successo al precedente ministro. L’italia è l’unico Paese al mondo nel quale il solista è a partita Iva e viene pagato solo per la recita. Sa cosa succede se un cantante dopo un mese di prove si ammala?».Che arriva lei a sostituirlo?«No», (ride), «che non becca un euro».
Jose Mourinho (Getty Images)