2024-06-24
«La Meloni isolata? Non è detto: ora il Ppe si è spostato a destra»
Lorenzo Castellani (Imagoeconomica)
Il politologo Lorenzo Castellani: «Se salta la candidatura di Ursula, sarà arduo trovare un altro esponente dei popolari votabile dai socialisti».Lorenzo Castellani - docente di Storia delle istituzioni politiche alla Luiss - voglio proprio partire dal nuovo assetto del Parlamento europeo post elezioni. Il tanto sperato - o temuto - smottamento a destra non sembra esserci stato. La montagna ha partorito il topolino, verrebbe da dire!«Il discorso è un po’ più complesso di come siamo abituati a raccontarcelo. Primo, perché i numeri del Parlamento europeo ci dicono che una qualche decina di seggi sono passati dai liberali e dai verdi in favore di popolari, conservatori e Id. E poi perché il Parlamento europeo non va visto come fosse un’assemblea nazionale…».Cioè?«Intendo che il terremoto che non vediamo a livello europeo è arrivato invece a livello nazionale. Non mi riferisco all’Italia, dove le forze di governo sono state variamente premiate. Ma guardi l’exploit in Francia del Rassemblement national, addirittura più ampio delle aspettative. Guardi alla Germania, dove le forze di governo si sono fermate al 31%. Guardi alla conferma di Wilders in Olanda. Non dimentichiamo mai che l’Ue è una strana bestia fatta di più livelli di equilibrio. Una sorta di democrazia sovranazionale, che trova espressione nel Parlamento europeo, ma che si poggia su equilibri nazionali. La diagnosi va fatta non tanto sulla composizione dell’assemblea ma guardando a ciò che succede nei tre più importanti Paesi fondatori: Italia, Francia e Germania». Che idea si è fatta a proposito della scelta di Macron di indire elezioni anticipate in Francia?«Macron si è ritrovato in una situazione di debolezza estrema. Ha ridato la parola alla democrazia con il rischio, ovviamente, di vedere accentuata questa debolezza. Ma può sempre dire di aver ridato voce ai francesi. Ma la situazione può anche trasformarsi in una sorta di trappolone per Marine Le Pen, sia che non ottenga la maggioranza assoluta, sia che la ottenga dovendo però governare in una situazione non semplice». La coabitazione è insidiosa per l’Eliseo ma pure per un eventuale esecutivo Bardella. In pratica, ha rovesciato la debolezza sulle spalle della destra… «Certo. Su temi importanti, quali la politica estera, sarà Macron a dettare la linea. Se la maggioranza parlamentare non fosse chiara, Macron avrebbe un ruolo molto complicato ma ancora decisivo. E nessuno potrebbe accusarlo di non aver dato la parola ai francesi».Lei ha scritto che se vincesse la Le Pen, i rapporti fra Italia e Francia potrebbero addirittura divenire più tesi…«Perché valgono le considerazioni che facevo inizialmente. Non dobbiamo pensare a rapporti fra famiglie politiche affini (quelle di Meloni e Le Pen appunto) ma in termini di equilibri di potere fra due Stati alleati ma naturalmente antagonisti, a prescindere da rapporti consolidatisi con trattati come quello, ad esempio, del Quirinale. È una visione condivisa da molti esperti di intelligence e di questioni economiche, industriali e finanziarie. Si pensi a partite quali Stellantis, Generali e ai tentativi di Bolloré di influire su Telecom. Lo stesso che però è sponsor di Le Pen. Avere al governo due partiti tra virgolette nazionalisti sia in Italia che in Francia accentua secondo me la possibilità che in qualche modo ci sia una di una sorta di competizione. Pensi ai dispetti di Sarkozy nei confronti di Berlusconi nonostante facessero parte della stessa famiglia politica. Questo ovviamente vale in teoria. Dopo subentra anche la capacità di mediazione politica che può aiutare invece a superare le divergenze». Immagino il fastidio della Francia nei confronti di iniziative come il piano Mattei in Africa…«La Francia vive una situazione di grandissima difficoltà nei rapporti con le ex colonie. Il piano Mattei è un tentativo, a mio avviso corretto, del nostro Paese di esercitare una maggiore influenza sia in Nord Africa che in Centro Africa. Ma sono ovviamente iniziative che in Francia non sono viste proprio come ramoscelli di ulivo in segno di pace». Giorgia Meloni fuori dai giochi nella scelta dei cosiddetti «top jobs» a livello europeo (presidenti di Commissione, Parlamento, Consiglio europeo ecc...)?«Troppo presto per valutare. L’ho detto in più di un’intervista anche a media internazionali. Ora, che la maggioranza uscente provi a trovare un’intesa su Ursula von der Leyen con la vecchia alleanza è perfettamente normale. E Giorgia Meloni non è parte di quella maggioranza. Il tentativo al momento sembra però ingarbugliato. Lascerei perdere le reciproche frecciate comunicative o gli sguardi corrucciati in camera di Meloni. Fanno parte dei giochi di prestigio della politica. Siamo in fase di negoziazione. E fino a che non si capisce quale commissario toccherà all’Italia, è troppo presto per esprimersi». Verrebbe da dire che il Ppe questa partita la sta giocando in scioltezza. Perché comunque sa che gli toccherà esprimere la presidenza della Commissione. Piuttosto è la Von der Leyen che ha bisogno di cintura e bretelle per superare il voto del Parlamento a scrutinio segreto…«Il Ppe sa che nessuna maggioranza è possibile senza di loro. Finché il presidente uscente è in campo, è difficile dare per perdente Giorgia Meloni. Lo scenario cambierebbe se ci fosse un altro candidato del Ppe. Ma per tutti, però. Il Partito popolare europeo si è spostato a destra ed è difficile trovare un candidato che vada bene pure ai socialisti. Comunque, dare per perdente Giorgia Meloni in partenza, equivale ad indovinare il risultato della partita prima che questa si giochi e dopo aver semplicemente letto le formazioni».Con la procedura di infrazione, l’Italia è osservato speciale e nulla cambia rispetto al passato. Concorda?«Anche qui il discorso si fa più complicato. Primo, perché l'Italia stavolta non è da sola, ma in compagnia di altri sei o sette Paesi. In secondo luogo, perché tra questi Paesi spicca pure la Francia. Non propriamente un Paese minore. Infine, perché siamo in una situazione molto diversa dal passato. L’austerity modello Merkel-Schauble come l’abbiamo conosciuta in passato non è così probabile e questo per più di un motivo. Tre in particolare».Ovvero…«Siamo in presenza di un’inflazione strutturale e non prevedibile dovuta a catene di approvvigionamento lunghe e non perfettamente governabili a causa di rischi geopolitici. Questo si riflette sul costo delle materie prime. Poi c’è da investire sulla difesa. Infine, rimane il tema della transizione energetica. Potrà essere rallentata quanto si vuole. Ma servono soldi, tanti soldi. Privati ma soprattutto pubblici. Non vedo semplicissimo assumersi il rischio di mandare in recessione la Francia e tutti gli altri. Si tratterà di trovare una mediazione dentro il Patto di stabilità, che appunto si chiama Patto non a caso». La famosa interpretazione delle regole per gli amici o applicazione delle stesse per i nemici. «Tutti i patti si possono derogare. Se si è d’accordo. È naturalmente è palese che andremo comunque in un sentiero di riduzione del deficit. Però bisogna capire con quali tempi. In quali modi. E con quale politica monetaria eventualmente a supporto o meno». Dettagli che fanno tutta la differenza del mondo…«Posso immaginare delle tendenze di fondo. Ricomposizione del bilancio in termini di diversa quantificazione dei capitoli. Un addio alla politica dei Superbonus. Vedo però complicata l’attuazione di politiche recessive con una Bce non interventista».Visto che le dimensioni contano, appare complicato sottoporre la Francia ad una cura alla greca o all’italiana come in passato abbiamo visto«L’Italia è stata maltrattata ma non lasciata fallire. Ed era in una situazione di particolare debolezza nel 2011. Quando Meloni ha vinto, il nervosismo sui mercati è stato molto più contenuto rispetto a quello registrato dopo la decisione di Macron di indire elezioni anticipate. E comunque i mercati e l’establishment poi alla fine tendono sempre a gettare l’acqua sul fuoco abituandosi a chi sta al potere. Soprattutto quando si abbandonano cavalli di battaglia tipo l’uscita della Francia dall’euro. Chi pensa che dopo un’eventuale vittoria di Marine Le Pen lo spread torni a veleggiare a 600 secondo me sbaglia. Anche perché mi consenta una battuta: se butta male alla fine sarà sempre “whatever it takes”».Se vincesse Trump sarebbe plausibile immaginare che gli Stati Uniti tornino a coltivare un loro angusto orticello come si sente spesso dire?«La mia visione è che la politica estera americana non cambierà granché. È ormai incasellata su specifiche direttrici da anni. Il fenomeno Trump è stato metabolizzato. Ed anzi a me lui sembra più moderato rispetto al passato. E molti pezzi grossi di Wall Street, a partire da Jamie Dimon di Jp Morgan, ci fanno sapere che secondo loro non sarebbe una catastrofe se vincesse Trump. E non parliamo di ferventi conservatori ma di esponenti del mondo democratico. L’elettorato repubblicano e democratico su molte questioni di politica estera ed economica è meno diviso di quanto si pensi».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.