2024-06-14
Lopalco frigna sui vaccini anti aviaria ma tace al Garante su quelli per l’Hpv
Pierluigi Lopalco (Imagoeconomica)
L’ex virostar se la prende con il governo per essersi sfilato dal maxi appalto europeo per l’acquisto dei sieri. Invece se ne sta zitto con l’organo che chiede lumi sull’obbligo per gli studenti pugliesi di certificare la puntura.Johnson & Johnson verserà 700 milioni di dollari per chiudere le liti con gli Stati Usa. Invece rischia di fallire l’escamotage della bancarotta nelle cause sui malati di cancro.Lo speciale contiene due articoli.Non contento di essere stato esortato dal Garante per la privacy a fornire spiegazioni sulla legge, oggi sospesa, che obbligava gli studenti pugliesi a presentare una certificazione di avvenuta o mancata vaccinazione anti Papilloma virus (Hpv) per potersi iscrivere ai corsi d’istruzione, Pierluigi Lopalco, consigliere regionale piddino in Puglia, si è di nuovo cacciato in una polemica assurda quanto pretestuosa. L’ex assessore alla Sanità e, durante la pandemia, consigliere scientifico del governatore Michele Emiliano, ha avuto da ridire sulla decisione del governo italiano di non entrare nel contratto quadro di appalto congiunto europeo per la fornitura - tramite l’Hera, l’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie della Commissione Ue - di un numero fino a 665.000 dosi di vaccino prepandemico antiaviaria Seqirus, con l’opzione per ulteriori 40 milioni di dosi per tutti i quattro anni coperti dal contratto. Decisione, quella italiana, dovuta al cambio di paradigma impresso dal ministro Orazio Schillaci, determinato a evitare passaggi intermedi e contrattare direttamente dosi e prezzi con le aziende farmaceutiche. Obiettivo: ridurre al massimo gli sprechi avvenuti in pandemia ed evitare accuse di natura contabile.«È una scelta miope e ideologica», ha tuonato Lopalco. «Così l’Italia si pone ancora una volta al di fuori del consesso internazionale di preparazione agli eventi pandemici. È una scelta che isola la sanità pubblica italiana», ha inveito il consigliere. Sanità italiana isolata? Falsissimo: il nostro Paese non è il solo ad aver deciso di non accumulare inutilmente dosi di vaccino antiaviaria, dato che altri undici Stati membri Ue, tra cui Germania e Spagna, hanno adottato, a ragion veduta, la stessa decisione.L’ex virostar non sembra peraltro aver imparato la lezione della pandemia: le dosi di vaccino anti Covid acquistate dai Paesi dell’Unione europea, inutilizzate e finite nelle discariche di tutto il continente, sono almeno 215 milioni. Uno spreco che è costato ai contribuenti europei una cifra stratosferica: circa 4 miliardi di euro, valore certamente sottostimato considerata l’opacità che ha caratterizzato l’approvvigionamento Ue di vaccini anti Covid e la riluttanza dei governi a rivelarne l’esatta entità. In un’inchiesta condotta dalla testata Politico pochi mesi fa, è emerso che i Paesi Ue hanno gettato nella spazzatura una media di 0,7 vaccini ad abitante. Chi ha sprecato più dosi è stata la Germania, seguita dall’Italia: nel nostro Paese sono state buttate oltre 49 milioni di dosi di vaccino, a un prezzo medio ponderato di 19,39 euro a dose, su una popolazione di poco più di 59 milioni di abitanti; lo spreco è stato di poco meno di una dose ad abitante.Non a caso la Corte dei conti europea ha duramente (quanto inutilmente) censurato le procedure di acquisizione condotte, in totale assenza di trasparenza, dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, denunciata alla Corte di giustizia Ue dal New York Times per non aver reso pubbliche le comunicazioni sui negoziati d’acquisto, per non parlare degli stessi capi d’accusa, di cui La Verità ha parlato più di una volta, pendenti al tribunale di Liegi. Non solo: già a giugno 2022 dieci Paesi europei hanno scritto a Ursula von der Leyen comunicandole che non avrebbero più pagato una lira dei soldi da lei promessi alle aziende farmaceutiche, perché non avevano bisogno di tutte quelle dosi ordinate, nel migliore dei casi per eccesso di zelo, dalla Commissione.Ma «sprecopoli» non fa paura a Lopalco, alle cui intemerate si sono aggiunte quelle dell’ex direttore generale del ministero della Salute durante la pandemia, Gianni Rezza, oggi docente al San Raffaele di Milano: «Se un Paese rimane fuori non è per forza sbagliato o un disastro» ha dichiarato, bontà sua, l’ex dirigente. «Però bisogna essere certi che, nel momento in cui ce ne fosse bisogno, i vaccini si riesca a ottenerli. Aderire può essere vantaggioso. Certo non è obbligatorio. Ma se si decide di non aderire, voglio sperare che sia perché c’è già una strategia pronta», ha ammonito, «è un fatto di strategia, non un fatto ideologico».Quale strategia? È stato proprio Rezza, a febbraio 2024, a confessare candidamente alle telecamere di Report di aver ceduto la sua password di accesso alla pagina dei contratti dei vaccini per paura di aprirli, venendo meno all’esercizio di quello che era un suo diritto-dovere, vigilare.Il principio di assunzione di responsabilità appare, insomma, sempre molto distante dall’etica professionale delle ex virostar. Non a caso, l’ideologo Lopalco, quello della «strategia a maglie strettissime per ridurre i non vaccinati alla sola percentuale di ragazzi e famiglie che scelgono il rifiuto in piena consapevolezza» (sic!), ha incredibilmente ritorto l’accusa di «ideologia» al ministro che ha semplicemente cercato di ottemperare al suo mandato: non sprecare i soldi dei contribuenti. Ma, si sa, quello del Pd è davvero un mondo alla rovescia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lopalco-hpv-puglia-2668524250.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="jj-paga-per-il-talco-con-lamianto" data-post-id="2668524250" data-published-at="1718360873" data-use-pagination="False"> J&J paga per il talco con l’amianto Potrebbe essere annullato anche il terzo tentativo di richiesta di fallimento per Johnson&Johnson. Il colosso farmaceutico, con questa strategia, ha già tentato due volte di liberarsi delle oltre 61.000 cause civili relative a casi di tumore ovarico dovuti, secondo l’accusa, a presunte tracce di amianto contenute in prodotti a base di borotalco J&J, ormai ritirato dal mercato. A poche ore dall’accordo da 700 milioni di dollari, raggiunto per risolvere parte dei contenzioni in corso con 42 Stati americani e il Distretto di Columbia, gli avvocati dei querelanti hanno, infatti, annunciato di aver presentato una mozione chiedendo a un tribunale federale del New Jersey di emettere un’ordinanza restrittiva che impedisca, a una sussidiaria di J&J, di dichiarare fallimento, mossa che faciliterebbe una nuova offerta di transazione da 6,48 miliardi di dollari. Secondo gli avvocati dell’accusa, le vittime di cancro che hanno citato in giudizio il colosso americano subiranno «danni irreparabili» se sarà accordato il fallimento. Il responsabile legale di J&J, Erik Haas, ha risposto che la società chiederà al tribunale di respingere la «richiesta insignificante» e rinfacciato al «piccolo gruppo di studi legali dei querelanti» di continuare a dare battaglia per allungare i tempi, «mettendo così i loro interessi economici davanti a quelli dei loro clienti». La casa farmaceutica ha messo in piedi una strategia, nota comeTexas two-step, che prevede la creazione di una sussidiaria per assorbire le responsabilità legate al talco e poi dichiarare fallimento per risolvere le questioni legali senza gravare sull’attività dell’azienda. Due tribunali hanno già stabilito che la sussidiaria di J&J mancava della «difficoltà finanziaria» necessaria per legittimare una dichiarazione di fallimento. La tattica però, come ricorda Fiercepharma.com, è già stata utilizzata con successo da aziende come Georgia Pacific e 3M e potrebbe far risparmiare miliardi a J&J. Lo scorso maggio la farmaceutica americana ha messo sul piatto un piano da 6,475 miliardi di dollari in 25 anni: elaborato con buona parte degli avvocati della controparte, prevede una fase di 3 mesi in cui i ricorrenti verranno informati dell’offerta, che verrà considerata accolta se il 75% la accetterà entro il prossimo 26 luglio. La mossa permetterebbe di risolvere il 99,75% dei contenziosi per i tumori ovarici, mentre le cause rimanenti, che riguardano il mesotelioma, vengono trattate separatamente: per il 95% è già stato raggiunto un accordo. L’anno scorso l’azienda aveva già presentato una proposta di transazione del valore di 8,9 miliardi che, però, era stata respinta da un tribunale fallimentare. Sebbene la società abbia avuto successo nei contenziosi della maggior parte dei casi che sono andati a processo, ci sono state decisioni costose come un risarcimento di 2,12 miliardi a favore di 22 donne nel Missouri nel 2020. Due mesi fa, una giuria dell’Illinois ha ordinato a J&J di pagare 45 milioni alla famiglia di una donna morta di mesotelioma. Il gruppo farmaceutico ha sempre negato che il suo talco contenesse amianto e, anche ora, sostiene che le cause si basano su accuse «respinte per decenni da esperti indipendenti e autorità governative e regolatorie». Uno studio pubblicato a inizio 2020, su dati di 250.000 donne, non ha rilevato una correlazione statistica fra l’utilizzo del borotalco e il carcinoma ovarico. J&J ha ritirato i prodotti dal mercato partendo dal Nord America, nel 2020, e nel resto del mondo nel 2023. L’azienda ora vende una versione del talco a base di amido di mais.
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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