2019-03-24
L’Onu tifa gender: «Misurare alle atlete il testosterone viola i diritti umani»
Le Nazioni Unite criticano la Federazione sul caso Caster Semenya, la sudafricana che infrange record grazie al fisico mascolino.In gara, uomini contro uomini e donne contro donne. È giusto, è normale, è scontato, penserete. Manco per sogno: secondo l'Onu, viola i diritti umani. L'Human rights council delle Nazioni Unite, che ha sede a Ginevra, ha infatti condannato il nuovo regolamento dell'Iaaf, la Federazione internazionale di atletica (Iaaf), che fissa il tasso massimo di testosterone delle atlete. L'organizzazione vorrebbe imporre alle sportive con iperandrogenismo o con disordini dello sviluppo sessuale di limitare, attraverso dei trattamenti medici, la quantità di ormoni maschili presenti nell'organismo. Contro questa decisione aveva fatto ricorso Caster Semenya, velocista sudafricana due volte campionessa olimpica degli 800 metri piani. La Semenya, infatti, già da una decina anni è al centro di una controversia con la Federazione, che le aveva prescritto di sottoporsi a un test del sesso. I risultati di quell'esame clinico non sono mai stati diffusi, ma secondo numerose indiscrezioni, la mezzofondista avrebbe dei tratti intersex. E proprio questa sua caratteristica le avrebbe conferito un ingiusto vantaggio sulle colleghe, consentendole di dominare le gare sugli 800 metri. Adesso, tra l'Iaaf e la campionessa olimpica è in corso un contenzioso dinanzi al Tribunale arbitrale dello sport. La sentenza era attesa per la settimana prossima, ma qualche giorno fa il Tas ha annunciato un rinvio alla fine di aprile, perché entrambe le parti avevano presentato alla corte nuovi atti. I legali della Semenya hanno fatto sapere che la sportiva è «ottimista» sull'esito del suo ricorso.In suo soccorso, in effetti, è arrivata l'ambasciatrice sudafricana delle Nazioni Unite a Ginevra, Nozipho Joyce Mxakato-Diseko, che ha esultato per l'approvazione della risoluzione, promossa proprio da Pretoria, con la quale l'Onu esorta i governi ad assicurarsi che le federazioni sportive evitino «pratiche che costringono le atlete a sottoporsi a procedure mediche non necessarie, umilianti e dannose». Secondo l'ambasciatrice, «Caster è una donna. E nessuno può dirle che non lo è sulla base di prove scientifiche dubbie». Mxakato-Diseko ne ha approfittato per tirare fuori il solito peana sulle discriminazioni, affermando che la Semenya sarebbe stata presa di mira «per motivi razziali e di genere». Vittima di una Federazione sessista e segregazionista che vuole ostacolare i suoi successi sportivi. Ma in ballo, qui, c'è proprio l'essenza dello sport, cioè di una competizione genuina che deve veramente basarsi sulla piena eguaglianza dei punti di partenza. Basti pensare che la Semenya, tra il 2011 e il 2015, aveva già assunto farmaci soppressori di testosterone per rispettare i parametri stabiliti dall'Iaaf in quel periodo. Il suo tasso ormonale non è noto pubblicamente, ma una cosa è certa: durante quei quattro anni, i suoi tempi migliori sugli 800 metri piani sono stati inferiori di circa due secondi rispetto agli anni precedenti e successivi al trattamento. Un'enormità, per un corridore. Curiosa coincidenza, no? La Federazione ha replicato accusando gli autori della risoluzione Onu di non aver compreso le ragioni del regolamento. E ha lanciato un allarme: «Rischiamo di mandare perduta la prossima generazione di atlete, dal momento che queste ragazze non vedranno mai la strada verso il successo». Già, perché lungo quella strada, sbatteranno contro gli ometti a cui piace vincere facile, per citare lo slogan di una famosa pubblicità. Da tale punto di vista, quella contro l'ammissione di sportivi transessuali nelle categorie femminili, è una battaglia femminista che più femminista non si può. Continuando di questo passo, dalle Olimpiadi le donne spariranno, cacciate a colpi di scontati record da transgender e intersex che pretendono di cancellare la biologia. Sono diverse, infatti, le donne che si sono schierate contro questa deriva (e perciò sono state bersagliate dagli attivisti Lgbt): ad esempio, la tennista Martina Navratilova, lesbica dichiarata, ma guadagnatasi l'odio sincero di Rachel McKinnon, ciclista transgender. La quale (o il quale, fate un po' voi), guarda un po', giusto lo scorso ottobre vinceva il titolo iridato ai Mondiali di Los Angeles. In quell'occasione, la terza classificata, Jennifer Wagner-Assali, aveva twittato: «È un risultato ingiusto». La replica della McKinnon? Non vi sorprenderà: «Voi che criticate», aveva scritto, «siete solo dei bigotti transfobici». Ecco. Basta tirare fuori l'omofobia, la transfobia e il gioco è fatto. Il fascista è servito. La medaglia è vinta a tavolino.Ora, può darsi che «tutti i membri dell'Onu siano d'accordo» con la condanna del regolamento Iaaf, come ha sostenuto l'ambasciatrice sudafricana. Può darsi che le Nazioni Unite consumino fiumi d'inchiostro per redigere «un rapporto sulle intersezioni tra discriminazione di genere e discriminazione razziale nello sport», su iniziativa del commissario per i diritti umani, Michelle Bachelet (sì, quella degli ispettori da mandare in Italia per vigilare sul razzismo). E può darsi che il Tribunale sportivo dia ragione alla Semenya. Ma la natura nessuno può cambiarla: l'uomo è uomo, la donna è donna. E prima o poi, la realtà si prenderà la sua rivincita.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)