Le scellerate politiche green dell’Ue vengono decise ascoltando i «suggerimenti» di gruppi di pressione come Transport & Environment, foraggiata da Ong liberal, per lo più americane. Un condizionamento che, benché legale, pone seri interrogativi.
Le scellerate politiche green dell’Ue vengono decise ascoltando i «suggerimenti» di gruppi di pressione come Transport & Environment, foraggiata da Ong liberal, per lo più americane. Un condizionamento che, benché legale, pone seri interrogativi. Il carico di normative che quasi tutti i giorni l’Unione europea rovescia sulle teste dei cittadini è figlio di percorsi e procedure bizantine, talmente complicate da lasciare enormi spazi all’azione delle lobby, o, per meglio dire, dei gruppi di pressione. Tra questi, come vedremo, i gruppi di matrice progressista americana sono più di tutti in grado di influenzare pesantemente le politiche ambientali e industriali di Bruxelles. I gruppi di pressione liberal americani riescono molto spesso ad influenzare il contenuto dei provvedimenti legislativi europei in maniera determinante, tanto da orientarli come più gli aggrada e tanto da vantarsene poi pubblicamente. In una democrazia liberale avanzata, sia chiaro, è lecito difendere interessi legittimi e diffusi: sta al legislatore, che rappresenta l’interesse pubblico, tenere conto o meno delle posizioni espresse dai gruppi di pressione (e in quale misura), nell’ottica di una sintesi che concili i vari interessi in gioco. Anche nei parlamenti nazionali è d’uso ascoltare in audizione i portatori di interessi (associazioni di imprese, sindacati) che possono anche contribuire a migliorare la legislazione. La questione è assai diversa quando un gruppo di pressione è così forte da riuscire a piegare la regolazione nella direzione voluta, che non è la migliore dal punto di vista del cittadino, anzi, al contrario. Peggio ancora quando questi gruppi di pressione hanno un orientamento politico e agiscono ideologicamente. L’Unione europea ha oggi una Commissione retta da una maggioranza di centro-sinistra, ma diversi Stati membri hanno governi di centrodestra. Le lobby democratiche americane riescono a imporre un’agenda politica anche a questi, attraverso l’influenza che esercitano sulla Commissione e sul Parlamento europeo. L’Unione europea è così permeabile alle lobby da tenere un registro per la trasparenza a cui i gruppi di pressione presenti a Bruxelles devono iscriversi, se vogliono avere a che fare con le istituzioni europee. Alla data del 28 aprile 2023 figuravano iscritti al registro 12.143 soggetti. Si tratta di società di consulenza, imprese, associazioni di categoria, sindacati, istituti di ricerca, think-tank, organizzazioni non governative, esperti. Le stesse entità sottoscrivono un codice di comportamento che regola i rapporti con i rappresentanti delle istituzioni e ogni volta che un parlamentare o un membro degli uffici della Commissione incontra un gruppo di pressione deve segnalarlo nel registro. Se tutti dichiarano le proprie attività, e qui assumiamo che sia così, non c’è nulla di illegale. Il problema però è che la trasparenza europea si ferma qui: non c’è nessun filtro nel merito. I tre co-legislatori di Bruxelles (Commissione, Parlamento e Consiglio) utilizzano spesso delle commissioni, o piattaforme, o comitati di esperti, o sotto-comitati, o gruppi di altro genere che a vario titolo intervengono nel processo di stesura di un atto normativo. È in questo sottobosco che alcuni gruppi di pressione prosperano. Abbiamo esaminato le attività del gruppo di pressione americano Transport & Environment (T&E), che si è rivelato molto attivo in occasione dell’ultimo trilogo che ha deciso sui carburanti per l’aviazione poche settimane fa. T&E si dichiara esponente della società civile e sostiene «un sistema di mobilità a emissioni zero che sia conveniente e abbia un impatto minimo sulla nostra salute, sul clima e sull’ambiente». Si tratta dunque di una Organizzazione non governativa, non di una associazione di industriali, che porta avanti una propria agenda «green». T&E ha uffici in Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e Gran Bretagna, ma il quartier generale è a Bruxelles, dove lavorano 83 persone. Il direttore esecutivo di T&E, William Todt, è stato indicato quale «influencer» numero uno sulla scena politica europea dal sito Politico.eu, la pubblicazione più autorevole sulle questioni di Bruxelles, quella che piace alla gente che piace. Nel ritratto che ne fa Politico, Todt è il deus ex machina di una corazzata molto influente su tutti i tavoli di discussione di Bruxelles che riguardano l’ambiente. «Dagli standard di efficienza del carburante dei veicoli al lavoro su aerei e navi puliti, T&E sostiene da tempo molte delle politiche che sono ora mainstream all’interno della Commissione europea», afferma Politico con riferimento al Green Deal. Del resto, lo stesso sito di T&E lo annuncia orgogliosamente: «Abbiamo convinto l’Ue a stabilire gli standard di CO2 più ambiziosi al mondo per auto e camion, ma abbiamo anche contribuito a scoprire lo scandalo del dieselgate; abbiamo condotto con successo una campagna per porre fine al diesel da olio di palma; abbiamo assicurato il divieto globale dei carburanti sporchi per il trasporto marittimo e la creazione del più grande mercato mondiale del carbonio per l’aviazione, solo per citarne alcuni. Nel 2022, la campagna di T&E ha portato il Parlamento europeo e gli Stati membri ad accettare di porre fine alle vendite di nuove auto e furgoni con motore a combustione entro il 2035». Uno strumento che la Ong utilizza per accreditarsi presso la Commissione è una lettera aperta, che chiede di sottoscrivere a singole grandi aziende. In questo modo, T&E può esibire alla Commissione l’appoggio di interi settori industriali, anche se le aziende coinvolte sono interessate più che altro a mostrarsi sensibili alle tematiche ambientali, magari per motivi di finanza Esg. L’accreditamento presso la Commissione è poi fatto anche attraverso studi redatti internamente o da esperti esterni. Per esempio, T&E ha commissionato uno studio all’università tecnica di Graz (sì, esiste), che all’inizio dello scorso febbraio ha stroncato le auto ibride plug-in affermando che «in città e nei percorsi pendolari inquinano più di quanto dichiarato», con riferimento alle emissioni di CO2 (che non sono un inquinante, ma passons). Consultando il registro per la trasparenza dell’Unione europea risulta che nell’attuale legislatura, cioè dal 2 luglio 2019 al 28 aprile 2023, T&E ha avuto 109 contatti con membri della Commissione, con funzionari dei loro gabinetti o con direttori generali delle varie direzioni. Tutti gli incontri riguardavano il Green deal nelle sue varie declinazioni (auto elettrica, fonti rinnovabili, emissioni, idrogeno, batterie, finanziamenti sostenibili e così via). T&E è attivo in 11 tra gruppi di esperti, sottogruppi, osservatori, forum vari. Ha partecipato a 41 consultazioni pubbliche della Commissione e a 28 capitoli del programma della Commissione, cioè nuove direttive o regolamenti, revisioni di questi o documenti strategici. T&E ha presieduto anche un sottogruppo che doveva presentare una lista di criteri specifici che le navi da crociera devono soddisfare per avere accesso agli strumenti finanziari dell’Ue. Di fronte alla conduzione confusa del gruppo da parte di T&E vi fu una interrogazione parlamentare alla Commissione, presentata dal gruppo Identità e Democrazia, in cui si notava che «le riunioni del sottogruppo della piattaforma che si occupa delle navi da crociera sembrano essere organizzate in modo alquanto caotico ed opaco. Ad esempio, non viene distribuito alcun documento preparatorio prima delle riunioni e si riscontra l’assenza di argomentazioni fondate su basi scientifiche». La risposta del commissario Mairead McGuinness è da incorniciare: «Mentre la Commissione fornisce supporto di segreteria al lavoro della piattaforma, la Commissione rispetta l’indipendenza della piattaforma, anche nel funzionamento interno dei diversi sottogruppi». In sostanza, la Commissione dice che il funzionamento dei gruppi da essa stessa creati non la riguarda. T&E ha una visione «green» a dir poco massimalista e ha pesantemente appoggiato il dossier auto elettrica nella versione che esclude i biocarburanti, tanto che qualcuno l’ha ribattezzata «Tesla & Environment». Ma non è affatto così, come vedremo. Di certo, l’atteggiamento di T&E non è favorevole alla neutralità tecnologica, che dovrebbe essere, in realtà, uno dei principi chiave del Green deal europeo. Nel negoziato concluso pochi giorni fa a livello di trilogo sui carburanti per l’aviazione T&E era nettamente contraria all’inserimento dei biofuel. Sul tema risulta un incontro il 15 novembre 2022 con il parlamentare dei Verdi Ciarán Cuffe, relatore ombra del provvedimento per il suo gruppo parlamentare. In precedenza, il 4 marzo 2022, T&E aveva incontrato via Zoom anche il relatore ombra del gruppo Socialisti e Democratici, lo svedese Erik Bergkvist. La posizione di T&E sull’aviazione comprende naturalmente il fatto che dovranno esserci meno voli: la chiamano «demand management». Abbiamo ricostruito la catena dei finanziatori di T&E che, entro certi limiti, è trasparente. Il risultato della ricerca è che, nei fatti, Transport & Environment è il braccio operativo a Bruxelles di un blocco di portatori di interessi americani di orientamento politico democratico. Il bilancio annuale di T&E è di 12 milioni di euro nel 2022, per circa la metà forniti da quattro altre Ong più grandi, assai patrimonializzate e con molta liquidità in cassa: Climate Imperative Foundation, ClimateWorks Foundation, European Climate Foundation (Ecf), Schwab Charitable Fund. Per quanto riguarda Climate Imperative Foundation, si tratta di una Ong basata in California, a San Francisco, che a sua volta ha ricevuto nel 2021 un contributo di 20 milioni di dollari dalla Silicon Valley Community Foundation (Svcf), un colosso no profit di orientamento democratico che dispone di un patrimonio da 11 miliardi di dollari. Tra i finanziatori di Svcf compaiono pezzi da novanta come Jack Dorsey, ex proprietario e fondatore di Twitter, Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook e Dustin Moskovitz, co-fondatore di Facebook ora a capo della Good Ventures Foundation (altra fondazione). Anche Climateworks Foundation, casualmente, ha sede a San Francisco, California. È un’altra organizzazione no-profit di orientamento democratico, che fornisce finanziamenti ai gruppi di difesa ambientalista in giro per il mondo. L’ente è stato fondato e finanziato nel 2008 da altre due fondazioni, che portano il nome dei due celebri ingegneri americani, Bill Hewlett e David Packard, i fondatori della Hewlett-Packard computer. La William & Flora Hewlett Foundation e la David & Lucile Packard Foundation, che assieme hanno un patrimonio di oltre 22 miliardi di dollari, sono anche finanziatori diretti di Transport & Environment. La Ecf sembra essere un luogo di incontro di finanziatori europei (danesi, olandesi e svizzeri) ed americani, che sono la maggioranza. Tra questi figura il fondo Bloomberg Philatropies, che fa capo a Michael Bloomberg, il miliardario ex sindaco di New York proprietario della omonima società di servizi finanziari, ex repubblicano ora democratico indipendente. Finanzia Ecf anche il Rockefeller Brothers Fund (sì, proprio quella famiglia Rockefeller), che finanzia direttamente anche T&E. Diversi finanziatori di ECF sono in effetti anche finanziatori diretti di T&E. Per quanto riguarda lo Schwab Charitable Fund, non si tratta del tedesco Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum, ma della famiglia americana del finanziere Charles Robert Schwab. La figlia di questi, Carrie Schwab-Pomerantz, che presiede il fondo con sede in Florida, fu nominata dall’allora presidente democratico Barack Obama membro del gruppo che consiglia la Casa Bianca sull’educazione finanziaria. Un altro finanziatore diretto di T&E è New Venture Fund, veicolo da poco meno di 1 miliardo di dollari che fa parte del network di fondazioni gestiti da Arabella Advisors. Arabella, di orientamento politico progressista, con sede a Washington DC, è una potente società di consulenza che gestisce il patrimonio dei suoi clienti, con erogazioni annuali tra 1 e 2 miliardi di dollari. Eric Kessler, il fondatore, ha lavorato alla Casa Bianca come assistente speciale del presidente Bill Clinton e partecipa attivamente alla vita politica del Partito democratico. Una delle Ong gestite da Arabella, il Sixteen Thirty Fund, nel 2018 finì sotto i riflettori della cronaca americana perché accusato di aver aiutato la campagna democratica per le elezioni di midterm del 2018. Il fondo pagò diversi milioni di dollari per 6.885 spot elettorali trasmessi in tv che chiedevano il mantenimento di Obamacare e una nuova legge fiscale. Inoltre, mobilitò attivisti e manifestanti contro i repubblicani in carica e contro l’amministrazione Trump. Il fondo finanziò anche Demand Justice, una organizzazione ferocemente contraria alla nomina alla Corte Suprema del giudice Brett Kavanaugh, candidato da Donald Trump. Alcuni ex dirigenti di New Venture Fund sono finiti nell’attuale amministrazione Biden: Janelle Jones, capo economista del dipartimento del lavoro; Sabeel Rahman, consulente senior presso l’Office of Information and Regulatory Affair; Tanya Trujillo, assistente segretaria per l’acqua e la scienza presso il Dipartimento degli Interni. Le entità americane citate qui hanno complessivamente un patrimonio di oltre 65 miliardi di dollari e spendono per le loro cause ideologiche oltre 10 miliardi all’anno. Per concludere con i finanziamenti a T&E, con non poca sorpresa troviamo nell’elenco un altro grande finanziatore di T&E: la stessa Commissione europea, che nel 2022 ha erogato una cifra tra 500.000 e 1 milione di euro. Un cortocircuito davvero singolare. Altra sorpresa si ha scoprendo tra i finanziatori il ministero dell’ambiente tedesco, con una cifra compresa tra 100.000 e 250.000 euro. Potenti e ricche fondazioni progressiste americane influenzano le decisioni che vengono prese a Bruxelles. Queste entità sono molto strutturate, hanno mezzi, denaro, persone, agganci. Nelle discussioni a livello di Ue sono in grado di raggiungere i risultati ideologici che si sono prefissi nella gran parte dei casi. La concezione ordoliberale dell’Unione pretende di mettere l’economia al riparo dalle scelte politiche, creando un intreccio di norme «tecniche» che dovrebbero tutelare mercato e concorrenza, preservando il sistema dalla discrezionalità della politica. Ma, accettando una invasione di campo così spropositata da parte dei progressisti americani, Bruxelles fa esattamente il contrario ed incorpora nei suoi processi decisionali quelle inclinazioni politiche che a parole rigetta. Ma è politicamente accettabile che entità americane, di orientamento progressista, siano in grado di indirizzare così nettamente le politiche europee? È normale che questo accada a discapito di qualunque rappresentanza politica democratica? È accettabile che mentre una Ong americana di orientamento liberal si vanta sul suo sito di aver messo una pesante ipoteca sul settore auto europeo (il bando al 2035 dei motori a combustione interna) il governo democratico di Washington lanci una grande operazione di sussidi all’industria dell’auto americana? Le politiche europee sulla casa, sui trasporti, sull’industria, stanno portando ad un aumento dei costi per i cittadini e a una ulteriore deindustrializzazione del continente. Ma oggi più di ieri balza all’occhio l’orientamento ideologico di tali scelte, che, in più, ignorano qualunque responsabilità politica nei confronti dei cittadini. Dobbiamo chiederci se è politicamente accettabile permettere che miliardari americani liberal possano influenzare le politiche industriali europee, sfruttando il drammatico deficit democratico dell’Unione europea. Più ancora, dobbiamo chiederci come è possibile che ciò sia considerato normale.
Zohran Mamdani (Ansa)
Dalle politiche sociali ai limiti dell’esproprio alla città come «santuario» per i gay Mamdani rappresenta la radicalizzazione dei dem. Ma anche una bella grana
Da più parti, la vittoria di Zohran Mamdani alle elezioni municipali di New York City è stata descritta (se non addirittura salutata) come uno «schiaffo» a Donald Trump. Ora, a prima vista, le cose sembrerebbero stare effettivamente così: il prossimo primo cittadino della Grande Mela, che entrerà in carica a gennaio, sembra quanto di più lontano possa esserci dal presidente americano. Tanto che, alla vigilia del voto, lo stesso Trump aveva dato il proprio endorsement al suo principale sfidante: il candidato indipendente, nonché ex governatore dem dello Stato di New York, Andrew Cuomo.
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Dopo 18 mesi d’assedio, i paramilitari di Hemeti hanno conquistato al Fasher, ultima roccaforte governativa del Darfur. Migliaia i civili uccisi e stupri di massa. L’Onu parla della peggior catastrofe umanitaria del pianeta.






