2020-03-30
Lo Stato italiano ha scelto di pagare il pizzo
Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri (Ansa)
Gli italiani che pagano le tasse e oggi, grazie al coronavirus, sono alla canna del gas perché la loro azienda è chiusa per decreto del governo, sentitamente ringraziano. Eh sì, sapere che con i soldi dei contribuenti l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte prossimamente erogherà il cosiddetto reddito di emergenza (Rem) anche a chi lavorava in nero, e dunque è al servizio di aziende che evadevano il Fisco, è un forte incentivo a versare nel prossimo futuro le imposte e a comportarsi da bravi contribuenti.La scusa per premiare i furbi è che in questo momento, con la gente costretta a rimanere in casa, anche le aziende fuorilegge non possono operare e dunque l'industria del sommerso che quasi sempre soprattutto nel Mezzogiorno, è contigua alla criminalità, oggi non può continuare a fare gli affari che faceva prima. «Dobbiamo mettere i soldi nelle tasche degli italiani a cui fin qui non siamo arrivati» ha spiegato il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano in un'intervista a Repubblica. Altrimenti, è l'argomento sottinteso dall'esponente del Pd, si rischia una rivolta sociale. Tradotto dal linguaggio involuto e necessariamente allusivo della politica, significa che lo Stato deve pagare anche chi fino a ieri non lo pagava, e non perché sia generoso, ma semplicemente perché teme di dover fronteggiare disordini pubblici. Eh sì, nel Meridione la paura è questa. Siccome ci sono persone che lavorano per la criminalità organizzata e altre che semplicemente prestano la loro opera per aziende che non sono in regola né con i contributi previdenziali né con le tasse, ora che la crisi ha costretto delinquenti ed evasori fiscali a restare a casa e dunque a interrompere gran parte delle attività illecite, per evitare il peggio, cioè che si fomenti qualche scontro in piazza, bisogna pagare. Per il governo si tratta di una misura di emergenza volta a scongiurare il peggio. Per noi invece si tratta di un vero e proprio pizzo. Una misura che mostra tutta la debolezza di chi ci guida, costretto a patteggiare con il malaffare (chi non versa le tasse è ovviamente fuori dalla legge) pur di evitare proteste o, peggio, disordini pubblici.Immagino come a questo punto si senta un artigiano o un piccolo imprenditore o un professionista che le tasse le ha sempre versate e in conseguenza della crisi si trova sull'orlo del burrone, costretto a scegliere se onorare gli impegni con l'Inps e l'agenzia delle entrate, oppure quelli del 27 del mese con i propri dipendenti. Il governo, quando decise di estendere la zona rossa all'intera Italia, annunciò una moratoria delle tasse, lasciando intendere che le scadenze fiscali sarebbero state posticipate. In realtà, tra le dichiarazioni in tv e le decisioni per decreto, c'era di mezzo il mare, prova ne sia che il rinvio delle imposte si è fermato a soli quattro giorni, dopo di che, per evitare pesanti sanzioni, le aziende con più di 2 milioni di fatturato sono state costrette a pagare come se non ci fosse alcuna emergenza, cioè quasi se l'attività non fosse stata bloccata da un decreto legge. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, le cose sono andate esattamente come per le tasse. Cioè alle parole non sono seguiti i fatti, prova ne sia che molti lavoratori sono sospesi in una specie di limbo, senza sapere se avranno un sussidio oppure no. Per non parlare poi delle partite Iva, che malgrado le promesse non hanno ancora visto il becco di un quattrino. Nessuno verrà licenziato, ha dichiarato ai quattro venti il presidente del Consiglio. Una promessa molto rassicurante, ma a cui, fino a oggi, non è seguita alcuna debita spiegazione, ossia chi si farà carico di pagare il conto di aziende cui per legge è impedito di lavorare e, sempre per legge, è reso impossibile perfino licenziare? Sarà il Rem, ossia il reddito d'emergenza, che provvederà a colmare la distanza fra le belle parole e il bilancio delle imprese, oppure ci penserà direttamente lo spirito santo, che in vista della Santa Pasqua sarà invitato a fare miracoli? Lungi da noi non comprendere le ragioni di realismo della politica e anche le motivazioni di ordine pubblico, ma dopo il reddito di cittadinanza, di cui gode chi non ha un lavoro a scapito di quelli che si spaccano la schiena e pagano le imposte, il varo del reddito di emergenza, con cui si premiano anche il lavoro nero e gli irregolari, c'è da chiedersi perché un cittadino in regola con la legge debba continuare a esserlo. Se alla fine gli ammortizzatori sociali e la mano tesa dello Stato valgono soprattutto per chi ha violato le leggi, che senso ha continuare a osservarle e a rispettare puntualmente le scadenze con il Fisco? Meglio vivere al di fuori di qualsiasi regola che tanto, alla fine, il trattamento che si riceve da parte dello stato è lo stesso. Anzi, forse è meglio, perché con la scusa dell'interesse nazionale e della coesione sociale, quando è ora di tirare le somme, il governo tende a privilegiare chi la legge fino a ieri l'ha messa sotto i piedi. Al cittadino in regola, infatti è richiesto il rispetto di moduli e di iter formali, all'abusivo, cioè a colui che fino a ieri non dichiarava nulla, invece no, ha la vita agevolata dall'emergenza. La morale a questo punto non può che essere una: con questo Stato alla fine conviene fare i furbi, perché in fondo ci si guadagna uguale. Anzi di più.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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