2025-03-21
Lo sgarbo al governo della Consulta sul reddito grillino agli stranieri
La Corte porta da 10 a 5 gli anni di permanenza per poter beneficiare della misura abolita dalla Meloni. E crea un precedente. Come accaduto per i rimpatri, i magistrati insistono nel «riscrivere» le leggi.«Il reddito di cittadinanza non ha natura assistenziale ma il requisito della pregressa residenza decennale deve essere ridotto a cinque anni». A parlare non è un rappresentante dei 5 stelle lanciato nella tardiva rivendicazione della validità di un provvedimento peraltro spazzato via dal governo Meloni e sostituito con l’assegno di inclusione. Il sussidio ha un nuovo paladino nella Corte Costituzionale che con una sentenza, depositata ieri, in un sol colpo, rianima, conferendole una inaspettata dignità, una legge considerata una idrovora di risorse pubbliche e, insieme al Superbonus, tra i maggiori fallimenti del governo Conte. A dispetto dei 35 miliardi spesi senza ottener risultato alcuno in termini di occupazione, ma producendo invece un accompagnamento nel mantenimento del sussidio (come ha commentato di recente il ministro del Lavoro Marina Calderone), i giudici della Consulta, precisano che la misura «non ha natura assistenziale, non essendo diretta a soddisfare un bisogno primario dell’individuo». Si tratta, invece, di una misura di politica attiva per l’occupazione, di carattere temporaneo, soggetta a precisi obblighi e soprattutto a rigide condizionalità che, se disattese, determinano il venir meno del diritto alla prestazione. Detto questo, il requisito dei 10 anni per accedervi dovrebbe essere ridotto a 5 anni. Questo pronunciamento anche se non ha effetti pratici, poiché, come detto, la legge è stata abrogata, se non sui possibili ricorsi, ha il peso di un messaggio politico importante. Innanzitutto nella difesa della norma, si contestano implicitamente le motivazioni che hanno portato alla sua sostituzione con il meno oneroso assegno di inclusione nato, appunto, per ridare fiato al bilancio pubblico zavorrato dalla costosa iniziativa del governo Conte. Un segnale inoltre che in questo Paese la certezza del diritto è una chimera. Un po’ quello che accade, con le dovute differenze, quando i giudici rimettono in discussione le espulsioni degli immigrati irregolari. Altro punto è che proprio poco tempo fa la stessa Consulta si è espressa in merito alla legittimità delle misure di «raffreddamento» della rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps per esigenze di contenimento della spesa pubblica. Ma veniamo a quello che scrivono i giudici costituzionali. Con la sentenza di ieri, la Corte ha deciso del rinvio pregiudiziale nato da una causa civile tra l’Inps e 6 stranieri comunitari davanti alla Corte d’appello di Milano. Era stata sollevata la questione della possibile discriminazione derivante dal requisito dei 10 anni di residenza in Italia, previsto dalla normativa sul Rdc. La questione di legittimità costituzionale era stata quindi sollevata dal giudice in riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sulla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. La Corte ha quindi dichiarato «l’illegittimità costituzionale» dell’articolo del decreto sul reddito di cittadinanza, «nella parte in cui prevedeva che il beneficiario dovesse essere residente in Italia per almeno 10 anni, anziché prevedere per almeno 5 anni».La Consulta ha richiamato anche la recente sentenza della Corte di Giustizia europea che aveva dichiarato discriminatorio il requisito dei 10 anni di residenza per poter usufruire dell’assegno di cittadinanza. Secondo i giudici europei, il requisito violava la direttiva che garantisce uguali diritti ai residenti di lungo periodo, e può impedire loro di accedere a prestazioni sociali, contrastando così con la Carta dei diritti fondamentali Ue. Secondo i giudici costituzionali però, «in tale pronuncia la Corte di giustizia ha interpretato il diritto dell’Unione ma non ha operato un sindacato sull’esattezza, o no, dell’interpretazione del diritto nazionale, quale offerta dal giudice del rinvio pregiudiziale», che invece aveva ritenuto la natura assistenziale del Rdc.La Consulta quindi precisa che se i giudici europei hanno potestà sull’interpretazione dei trattati, per assicurare che ci sia una uniforme applicazione in tutti gli Stati membri, l’interpretazione della Costituzione «è riservata a questa Corte».La sentenza ha quindi sottolineato che, non trattandosi di una prestazione meramente assistenziale, un requisito di radicamento territoriale non determina, di per sé, una violazione del divieto di discriminazione indiretta e delle relative disposizioni del diritto dell’Unione. «Per quanto un tale requisito ponga di fatto il cittadino italiano in una posizione più favorevole, non di meno la discriminazione indiretta ben può ritenersi giustificata quando sussistono ragioni che la rendono necessaria e proporzionata». Infine si precisa che «il gravoso termine del pregresso periodo decennale non appare ragionevolmente correlato alla funzionalità precipua del Rdc e si pone in violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e proporzionalità stabiliti dalla Costituzione». La ragionevole correlazione con la misura del Rdc si realizza, invece, sostituendo il termine decennale con quello di cinque anni.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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