2021-05-01
Per 13 anni l’Italia si è «dimenticata» di chiedere l’arresto di Pietrostefani
Giorgio Pietrostefani (Ansa)
La Francia non aveva mai ricevuto richieste ufficiali di estradizione per l'esponente di Lotta continua, anche se la Procura di Milano lo reclama dal 2008. E se «Libération» sforna appelli per gli ex Br, Paolo Mieli si dissocia da quello del 1971 contro Calabresi: «Mi vergogno»Maurizio Di Marzio ancora irreperibile, c'è il sospetto che qualcuno lo abbia aiutato a dileguarsiLo speciale contiene due articoli«La mia libertà ormai è un diritto acquisito». Era tranquilla Roberta Cappelli mentre rivendicava, alcuni anni fa da Parigi, il suo personalissimo colpo di spugna. Aveva sulle spalle tre omicidi, due tentati omicidi e una serie di rapine «con finalità di terrorismo» ma continuava serenamente a lavorare come responsabile delle risorse umane in un'azienda ed era rappresentante dei genitori nella scuola del figlio. Una signora della Rive gauche.Viveva un'altra vita, dopo che la Chambre d'Accusation francese 20 anni fa aveva dato parere favorevole a rimandarla in Italia ma la dottrina Mitterrand aveva bloccato tutto. Eppure per qualche giorno l'ex brigatista rossa aveva tremato perché la richiesta di estradizione era arrivata, era finita sulla scrivania di un giudice. La sua storia era diventata un dossier, poi dimenticato in un cassetto fino al colpo di scena di tre giorni fa. Identica sorte per altri sei dei condannati dalla giustizia italiana, che in passato erano finiti sotto la lente della Gendarmerie, soprattutto quando l'ex ministro della giustizia Roberto Castelli aveva spinto per far rientrare Cesare Battisti e Marina Petrella.Per far pagare loro i conti si era mosso qualcuno, per Giorgio Pietrostefani no. Mai arrivate richieste ufficiali di estradizione, eppure è dal 2008 che sul suo capo pende un ordine di esecuzione di pena emesso dalla procura di Milano. Come conferma il Corriere della Sera, il bureau ministeriale non aveva mai valutato l'ammissibilità e «la giustizia francese non si era mai pronunciata in precedenza». Semplicemente Pietrostalin non esisteva, non era latitante né esule ma un semplice cittadino italiano. Il fondatore di Lotta continua e mandante dell'assassinio del commissario Pietro Calabresi si era costruito un'esistenza alternativa, protetto dalla dottrina Mitterrand ma anche dalla cattiva coscienza della dottrina italiana, da sempre tenera con il cerchio magico di Lc. «La nota lobby», così l'aveva battezzata Francesco Cossiga, imperversava negli uffici ministeriali, nel mondo della cultura, nelle case editrici, nei giornali e pure in Parlamento. Ancora oggi è settaria, compatta e da sinistra distribuisce patenti di democrazia. Trasversale e vendicativa, allora intorbidò le acque di ogni procedimento giudiziario sull'omicidio Calabresi (nove sentenze prima di chiudere il conto con Adriano Sofri e Ovidio Bompressi), provò ad avvelenare ogni pagina della confessione di Leonardo Marino e per decenni è stata l'ombrello protettivo di Pietrostefani dall'Italia. Come sottolinea Giampiero Mughini, che visse in quel brodo di coltura e poi se ne allontanò con disgusto: «Una fetta di verità su quegli anni, per vigliaccheria e opportunismo, non verrà mai a galla». Così i giudici della Chambre d'Accusation il 5 maggio si troveranno per la prima volta a esaminare la procedura di estradizione di Pietrostefani perché l'Italia, a 22 anni dall'ultima sentenza, non l'aveva mai ufficialmente richiesta. Nella stessa situazione si trovano Enzo Calvitti e Narciso Manenti. Il primo deve scontare 18 anni e 7 mesi per associazione sovversiva e banda armata, il secondo ha sulle spalle un ergastolo per avere ucciso a Bergamo l'appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri: cinque colpi di pistola a bruciapelo sotto gli occhi del figlio di 13 anni. Da latitante, Manenti si faceva fotografare nel centro di Parigi mentre leggeva Le Monde. Sulle mollezze procedurali a protezione dei «compagni che sbagliano» è intervenuto Ferdinando Pomarici, magistrato protagonista nella stagione del terrorismo, che chiese 22 anni per i responsabili dell'omicidio Calabresi. «Potevano essere tranquillamente estradati 40 anni fa. Ma non fu fatto per comodità, per pigrizia, per quieto vivere. Per un'ipocrisia di fondo della classe politica e degli intellettuali di questo Paese».In attesa che loro tornino si avverte il brivido freddo di quegli anni. La polemica politica si è subito riaccesa ed è riemerso per un giorno l'appello di 757 intellettuali italiani pubblicato dall'Espresso nel 1971, definito da Giampaolo Pansa «l'avallo all'assassinio di Calabresi». Sotto le frasi d'accusa che scatenarono i killer di Lotta continua c'erano firme altisonanti: Nello Ajello, Giorgio Amendola, Marco Bellocchio, Lucio Colletti, Giorgio Bocca, Giulio Carlo Argan, Gae Aulenti, Norberto Bobbio, Camilla Cederna, Umberto Eco, Giulio Einaudi, Dario Fo, Inge Feltrinelli, Natalia Ginzburg, Renato Guttuso, Carlo Lizzani, Primo Levi, Alberto Moravia, Ferruccio Parri, Pier Paolo Pasolini, Natalino Sapegno, Eugenio Scalfari, i fratelli Taviani, Tiziano Terzani. Nella comédie humaine di eccellenze aureolate c'era anche Paolo Mieli, che ieri in tv ha voluto tornare sull'episodio: «Mi vergogno di quell'appello. Ho già fatto pubblica critica, fu un errore e mi vergogno delle cose che sto dicendo: abbiamo dato la colpa a qualcuno con una scusa. Non è una bella pagina della mia vita». Mentre in Italia si dibatte sulla giustizia tardiva, a Parigi è scattato il meccanismo di difesa degli «esuli» con lo stesso malinconico cliché usato per Cesare Battisti. Anche questa volta sono scesi in campo, con un appello a Emmanuel Macron pubblicato da Libération, gli amici di famiglia della gauche caviar: i cineasti Valeria Bruni Tedeschi, Jean Luc Godard, Costa-Gavras, gli scrittori Eric Vuillard e Annie Hernaux. Con un riflesso condizionato spiegano che non deve esserci estradizione perché quei rivoluzionari erano eroi. Invece erano assassini.
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.