
L'esecutivo litiga su tutto e non combina nulla. Occupa soltanto poltrone cercando di arrivare al 2023. Così però il Paese affonda.Usque tandem Giuseppi? Fino a quando pensi di poter andare avanti? Fino a quando pensi di poter trascinare con te l'Italia in questa deriva paludosa, fatta di eterni rinvii, slittamenti, differimenti, non decisioni, finzioni, attorcigliamenti di soluzioni impossibili, litigate più o meno (ormai meno) nascoste sotto il tappeto, mentre l'economia si ferma, le culle di svuotano e il Paese muore? Fino a quando pensi di poter giocare sulla pelle degli italiani la partita del tuo potere cicisbeo, rimandando ogni atto concreto alla settimana dei tre giovedì? Fino a quando pensi di poter reggere questo stallo sul nulla, incapace di scegliere qualsiasi cosa che non sia il colore della tua pochette? Molti esponenti della maggioranza, davanti ai microfoni, hanno giurato negli ultimi tempi che questo governo andrà avanti fino alla scadenza della legislatura, cioè fino al 2023. Ma dopo quello che è successo nelle ultime ore viene davvero da chiedersi se lo pensino davvero. Se davvero, cioè, pensano che si possa arrivare fino al 2023 in questo modo con consigli dei ministri convocati un giorno per l'altro senza sapere nemmeno perché, con due ministri (Teresa Bellanova ed Elena Bonetti) che disertano in modo polemico, gli ordini del giorno che al confronto Nureyev è meno ballerino, la patata bollente della prescrizione che salta di provvedimento in provvedimento tentando di intrufolarsi dappertutto (tra un po' lo troveremo anche come emendamento al menu della buvette di Montecitorio), con uno dei partiti di maggioranza (Italia viva) che si rifiuta i votare le proposte della maggioranza ma vota allegramente tutte quelle dell'opposizione, un altro partito di maggioranza (i 5 stelle) che si appresta a scendere in piazza per protestare dimenticandosi di essere al governo, e un premier che sostiene di essere ricattato dai renziani, che pure dovrebbero essere suoi sostenitori, e li definisce «aggressivi e maleducati». Roba che il circo Barnum, al confronto, è un esempio di composta serietà. Per l'amor del cielo: capiamo tutto. Capiamo l'amor di seggiola e il fascino del potere, capiamo quella particolare colla che si produce con la frequentazione di Palazzo Chigi e che attacca prepotentemente il fondoschiena alla cadrega, capiamo la questione delle nomine, la spartizione del sottobosco, la paura di alcuni ministri di trovarsi senza un lavoro, capiamo la paura del babau Salvini e il terrore di sottoporsi al giudizio degli italiani attraverso democratiche elezioni. Capiamo tutto. Ma davvero pensano di poter andare avanti per tre anni in questo modo? Facendosi i dispettucci? Le ripicche? I tranelli? Insultandosi a mezzo stampa e disertando le riunioni in cui si dovrebbero decidere qualcosa (almeno qualcosina) di utile per gli italiani? Il Paese è in ginocchio, le partite Iva stanno soffocando, le imprese non sanno più dove sbattere la testa: e questi giocano a disertare il Consiglio dei ministri? Sulle nostre spalle? Solo per questioni di bottega? E pensano di poter andare avanti così tre anni? Davvero? Ma che cos'è? Un suicidio di massa? Uno sterminio pianificato? La desertificazione programmata del Paese? Sono senza vergogna, è chiaro. Prendete la riforma della giustizia, che è al centro del dibattito in queste ore. Tema nobilissimo, di cui tutti si riempiono la bocca, giustamente, con sommi paroloni e principi solenni. Ma voi avete visto come viene trattata la riforma della giustizia? Un pezzo di qui, un pezzo di là; la prescrizione viene rinviata, il resto si discute; però se si discute io non vengo, allora non ne parliamo più; o forse sì ma solo un po'; il lodo Conte entra di qui, esce di là, lo mettiamo nel Milleproproghe, no non si può; allora ne facciamo un decreto a parte; no meglio che lo mettiamo come emendamento alla legge Costa; nel frattempo voi siete maleducati, voi siete paralizzati, voi siete brutti, voi avete le ascelle che puzzano, chi fa la spia non è figlio di Maria, ciccio bomba cannoniere con tre buchi nel sedere… Suvvia: ma può quel che resta della settima o ottava potenza del mondo essere governata in questo modo? Fino al 2023? Non scherziamo… «La pazienza ha un limite», ripete regolarmente Nicola Zingaretti, segretario del Pd, da almeno tre mesi. Ma evidentemente, nel suo caso, si tratta di un limite illimitato. O, almeno, un limite trasportabile: ogni giorno, infatti, lo sposta un po' più avanti, permettendo nuovi spettacoli, nuove evoluzioni sul nulla, nuove pirotecniche esibizioni di equilibrismo tattico, che non hanno altro risultato che il medesimo equilibrismo. Siamo di fronte al primo gigantesco caso di onanismo governativo, sterili manovre su se stessi che non producono nulla, se non l'orgasmo del potere autoriferito. E Renzi, che come al solito gode nello sfascio altrui, perché solo un panorama di macerie permette alla sua piccolezza di emergere, è il principale responsabile di tutto ciò: questo governo, infatti, l'ha voluto lui. Lo sapeva benissimo che cosa volevano i 5 stelle. Lo sapeva benissimo che non avrebbe potuto accettarlo. Per quello ripeteva sempre: «Mai con i grillini». Poi ha cambiato idea, per una pura convenienza tattica. E così ci ha trascinato fino al collo dentro queste sabbie mobili che stanno inghiottendo lui, il governo che ha creato, i partiti che ne fanno parte. E fin qui non ci sarebbe nemmeno nulla di male. Il problema è che le sabbia mobili stanno inghiottendo anche l'Italia, che mai come ora per salvarsi avrebbe bisogno di un governo vero e di un premer capace di decidere. Non di un rinvio fatto pochette.
(IStock)
Prima di rimettere in circolazione il maliano di San Zenone, la giudice progressista «graziò» un altro straniero che abusava della moglie. Dopo 40 giorni fece retromarcia.
Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune di Roma che aveva censurato il manifesto con la foto di un feto. L’ennesimo blitz liberticida dei progressisti, che però sbraitano contro l’intolleranza di Meloni e Trump.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi