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2019-02-10
L’intesa coop-sindacati che frega i lavoratori
Ansa
L'articolo della Verità sui contratti capestro applicati ai lavoratori delle coop sociali, alle quali è appaltata in Emilia Romagna la raccolta rifiuti per conto della holding Hera, ha sconquassato i sonni tranquilli di chi, sulla pelle (e sulle tasche) dei dipendenti, faceva business e risparmiava sostanziosi versamenti previdenziali e fiscali. Immediata è però arrivata la contromossa, elaborata in gran segreto nella sede di una delle società condannate dal giudice del lavoro per aver sottopagato i propri operai.
Il nostro giornale è in grado di anticipare i contenuti di una dichiarazione congiunta che dovrebbe essere firmata nei prossimi giorni, oltre che dalla coop 134 Cooperativa sociale, dai rappresentanti di Federcoop Romagna, Legacoop Romagna e i sindacati Fp Cgil, Fisascat Cisl Romagna e Uil Fpl. Che cosa dice il documento? È in pratica un accordo che va contro gli interessi dei lavoratori che, è opportuno ricordare, versano le quote associative ai sindacati proprio per essere tutelati a livello contrattuale.
In pratica, datori di lavoro e sindacati, di fronte al rischio di trovarsi travolti da una valanga di ricorsi alla magistratura, s'impegnano a legare le mani ai dipendenti. La lettura del testo non offre diverse interpretazioni. «Le parti (quelle poco prima citate, ndr) si impegnano a mettere in campo tutte le azioni possibili atte a dissuadere i lavoratori addetti dal presentare ricorsi innanzi al Tribunale di Rimini per chiedere il riconoscimento dell'applicazione del Ccnl dell'igiene ambientale fino all'accertamento definitivo del contenzioso». I contratti delle coop sociali, infatti, sono più bassi di circa 500 euro al mese e non prevedono la quattordicesima rispetto a quelli nazionali di categoria. Se le coop, che godono di importanti agevolazioni fiscali, fossero obbligate da una sentenza ad adeguare gli stipendi a tutti i lavoratori (solo in Emilia Romagna ci sono 1.000 potenziali interessati) si «metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa di tutte le cooperative», si legge ancora nella bozza di dichiarazione congiunta, «in quanto non si consentirebbe il mantenimento di economie tali da giustificare offerte tecniche ed economiche a prezzi e condizioni competitive». Insomma, pur di vincere un appalto si può spremere i lavoratori, secondo i sindacati.
Una tesi, peraltro, fatta a pezzi proprio dal giudice del lavoro di Bologna, che aveva già risolto a favore di un dipendente un caso analogo, con un ragionamento assai critico sulle modalità di conduzione delle aziende sociali. «Che le società cooperative possano e debbano partecipare ad ogni gara come previsto anche dal codice degli appalti è fuori discussione», si legge nella sentenza, «quello che non è possibile consentire è che in nome di benefici, accordati per tutt'altre finalità, possano offrire servizi a prezzi non concorrenziali pagando i propri lavoratori meno degli altri». Il giudice ha anche analizzato e demolito l'ipotesi difensiva di Hera, in quella circostanza condannata in solido per omesso controllo sulla corretta esecuzione contrattuale, scrivendo: «L'altro argomento offerto in sede di discussione da Hera sui prezzi offerti ai propri clienti-utenti, consentiti in termini contenuti solo per il costo del lavoro concorrenziale (in sostanza, pagando di più i lavoratori, i costi dei propri servizi risulterebbero maggiorati a scapito degli utenti che pagherebbero tariffe maggiori)... si osserva che ci sono molti metodi per ridurre i propri costi, e non si comprende perché solo il sistema che introduce nella sostanza dumping contrattuale possa essere ritenuto praticabile».
Nella bozza di dichiarazione congiunta che La Verità ha potuto leggere c'è riportato pure che i «sindacati sono a conoscenza da sempre dell'applicazione del ccnl cooperative sociali» ai dipendenti che dovrebbero invece essere contrattualizzati sulla base di quello Utilitalia. E questo nonostante l'obbligo di rifarsi al contratto nazionale di categoria fosse previsto sia nel protocollo d'intesa sugli appalti del gruppo Hera sia nel protocollo regionale tra i sindacati più rappresentativi e l'Atersir, l'agenzia territoriale dell'Emilia Romagna per i servizi idrici e di igiene ambientale. La conclusione della dichiarazione d'intenti è drammatica per i lavoratori: se le coop fossero costrette a pagare di più i dipendenti, i conti correnti si assottiglierebbero e, senza soldi, dovrebbero essere messe in liquidazione. Con tanto di licenziamenti dietro l'angolo per dipendenti normodotati e portatori di handicap.
«Tutto ciò è di inaudita gravità», commenta il capogruppo consiliare della lista La Pigna di Ravenna, Veronica Verlicchi che da mesi segue la vertenza in solitaria. «A seguito dell'articolo apparso nei giorni scorsi sul quotidiano La Verità e successivamente alla riunione tra la lista civica La Pigna e i lavoratori delle coop sociali ravennati e romagnoli dell'igiene ambientale, alla quale ha partecipato in incognito un rappresentante di una coop sociale, nelle cooperative è scattata l'azione di pressione e di intimidazione sui lavoratori che hanno espresso la volontà di rivolgersi al giudice del lavoro per vedere riconosciuti i propri diritti e le proprie spettanze. Solo a Ravenna sono circa 20 i lavoratori che hanno espresso la volontà di far causa alla propria cooperativa».
Cgil, Cisl e Uil attaccano i gialloblù perché hanno demolito la Fornero
«Questi non sanno neanche dov'è la sinistra, li mandi a guidare in Inghilterra e fanno subito un frontale». La battuta feroce, su Twitter, sta sotto una foto che potrebbe essere stata scattata negli anni Ottanta: palloncini rossi sullo sfondo, teste lambite da bandieroni postmarxisti e in primo piano loro tre, i compagni d'Italia: Massimo D'Alema, Sergio Cofferati e Guglielmo Epifani. Come grida Maurizio Landini dal palco di piazza San Giovanni a Roma: «Il cambiamento siamo noi».
Benvenuti al corteo dei sindacati riuniti dove il cambiamento è D'Alema (70 anni) che torna come un Visitor ad allungare la sua ombra sulle spoglie renziane, produce vini algidi come lui in provincia di Terni (il nome del feudo sembra quello della moglie di un ambasciatore francese, la Madeleine) e lancia un anatema che gli somiglia: «Il governo? Solo nazionalismo straccione». Benvenuti dove il cambiamento è Cofferati (71 anni) sceso da una cornice in sede alla Cgil dopo un decennio di nulla, anonimo parlamentare europeo, noto agli happy few dell'Ulivo prodiano per aver usurpato il buon nome di Tex Willer. O addirittura dove il cambiamento è Epifani (69 anni), che dopo una vita da grigio custode dell'articolo 18 ha scandalizzato la sinistra operaia quando ha allegramente votato il Jobs Act che ha picconato lo Statuto dei lavoratori.
Nuovi come un trumeau trovato in cantina durante un trasloco, brillanti come un romanzo di Sandro Veronesi, gli allegri rivoluzionari annoiati a forza di guardare i cantieri sono il simbolo del corteo del Paese che insorge contro il governo dei quarantenni. E lo osteggia, lo boccia, lo deride con la bava verde alla bocca saltando a piè pari la fase d'una legittima e perfino doverosa critica costruttiva. Il melting pot politico è bizzarro: accanto ai duri e puri della Cgil in marcia c'è la Confindustria dell'Emilia Romagna (anche questa si chiama concertazione); accanto alla sempre più pasionaria arcobaleno Laura Boldrini ecco il Carlo Calenda in cachemire, gran visir di Siamo Europei, ammucchiata anti sovranista mascherata da convention permanente dei Competenti.
Le frasi simbolo del pomeriggio romano dei 150.000 in gita dentro il loro passato sono tre: «Dopo questa giornata, se il governo ha un minimo di saggezza apre una trattativa con noi. Se non dovesse succedere andrà a sbattere» (Maurizio Landini, Cgil). «Il governo esca dalla realtà virtuale, dopo tanti anni di una crisi tremenda avevamo iniziato a riandare la testa e ad avere una speranza nel futuro. Oggi si parla di recessione tecnica, cala la produzione industriale. Solo lo spread sale abbattendo salari e pensioni» (Annamaria Furlan, Cisl). «Il governo del cambiamento non può cambiare il Paese in peggio» (Carmelo Barbagallo, Uil).
L'ego ipertrofico di Landini necessitava di una rentrée da cantante lirica, di un bagno di folla per archiviare la stagione della bibliotecaria Susanna Camusso. Ed ecco che anche Cisl e Uil con Furlan e Barbagallo lo affiancano per un happening dal titolo «Futuro al lavoro» con lo scopo di chiedere all'esecutivo un confronto su crescita, sviluppo, pensioni e fisco. È la prova generale della primavera degli scioperi per dare una spallata alla maggioranza prima delle elezioni europee. Ed è la prima manifestazione unitaria dal 2013, dato che viene sottolineato con trionfale senso dell'alleanza, mentre noi ci domandiamo dove fosse la triplice mentre Matteo Renzi inneggiava al globalismo mercatista, intaccava le garanzie dello stato sociale, faceva sue le storture della legge di Elsa Fornero.
È davanti a questa evidente contraddizione che si fermano a replicare Matteo Salvini e Luigi Di Maio, rappresentati nel corteo con cartonati vestiti da scolaretti. Il vicepremier della Lega adombra la possibilità che dietro la ritrovata unità sindacale ci sia una manovra politica per puntellare un sempre più traballante Pd: «È curioso che la Cgil, rimasta muta sull'infame legge Fornero, nella prima settimana in cui viene smontata vada in piazza». Parlando, anch'egli da Vicenza, a margine dell'incontro organizzato dai risparmiatori della Banca Popolare di Vicenza ridotti sul lastrico, il ministro del Lavoro nonché vicepremier in quota Movimento 5 stelle aggiunge: «Ho a che fare con i sindacati tutti i giorni sulle più grandi vertenze del paese. Certo, è un po' singolare vedere che si scende in piazza contro quota 100 e non si è scesi in piazza quando è stata fatta la legge Fornero».
La manifestazione non si pone problemi di coerenza, semplicemente avanza al ritmo di Bella Ciao. Tutto secondo copione antico, tranne uno slogan che rimane impresso: «Meno Stato sui social, più Stato sociale»; probabilmente Boldrini, Calenda, Zingaretti, Martina e Fratoianni (la nuova sinistra, mentre ormai D'Alema e i suoi compari arrancano più indietro) intendono quello rottamato da Renzi. È un invito retorico, perfino da dissociazione psicologica perché i suddetti scandalizzati dalla Nutella di Salvini e dalla piattaforma Rousseau hanno la residenza prima casa sui social, dentro la bolla mediatica che vorrebbero bucare. Da lì in presa diretta (e proprio mentre scandiscono la frase) pubblicano selfie, servizi fotografici da San Giovanni, tweet di autopromozione, filmati con pretese registiche da Oliver Stone. Soprattutto postano scorci di tramonto rosso. Che sia il loro?
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Dopo le sentenze che hanno punito i contratti capestro applicati, le holding rosse romagnole preparano un patto con le parti sociali per «dissuadere i dipendenti dal fare ricorso al Tribunale». E così rivendicare l'applicazione dei livelli retributivi previsti dalla legge.Tra minacce («andrete a sbattere»), e fantasmi dal passato come Guglielmo Epifani, al corteo partecipa pure Confindustria. Matteo Salvini e Luigi Di Maio: «Curioso protestare adesso piuttosto che ai tempi di Monti».Lo speciale contiene due articoli.L'articolo della Verità sui contratti capestro applicati ai lavoratori delle coop sociali, alle quali è appaltata in Emilia Romagna la raccolta rifiuti per conto della holding Hera, ha sconquassato i sonni tranquilli di chi, sulla pelle (e sulle tasche) dei dipendenti, faceva business e risparmiava sostanziosi versamenti previdenziali e fiscali. Immediata è però arrivata la contromossa, elaborata in gran segreto nella sede di una delle società condannate dal giudice del lavoro per aver sottopagato i propri operai.Il nostro giornale è in grado di anticipare i contenuti di una dichiarazione congiunta che dovrebbe essere firmata nei prossimi giorni, oltre che dalla coop 134 Cooperativa sociale, dai rappresentanti di Federcoop Romagna, Legacoop Romagna e i sindacati Fp Cgil, Fisascat Cisl Romagna e Uil Fpl. Che cosa dice il documento? È in pratica un accordo che va contro gli interessi dei lavoratori che, è opportuno ricordare, versano le quote associative ai sindacati proprio per essere tutelati a livello contrattuale. In pratica, datori di lavoro e sindacati, di fronte al rischio di trovarsi travolti da una valanga di ricorsi alla magistratura, s'impegnano a legare le mani ai dipendenti. La lettura del testo non offre diverse interpretazioni. «Le parti (quelle poco prima citate, ndr) si impegnano a mettere in campo tutte le azioni possibili atte a dissuadere i lavoratori addetti dal presentare ricorsi innanzi al Tribunale di Rimini per chiedere il riconoscimento dell'applicazione del Ccnl dell'igiene ambientale fino all'accertamento definitivo del contenzioso». I contratti delle coop sociali, infatti, sono più bassi di circa 500 euro al mese e non prevedono la quattordicesima rispetto a quelli nazionali di categoria. Se le coop, che godono di importanti agevolazioni fiscali, fossero obbligate da una sentenza ad adeguare gli stipendi a tutti i lavoratori (solo in Emilia Romagna ci sono 1.000 potenziali interessati) si «metterebbe a rischio la sopravvivenza stessa di tutte le cooperative», si legge ancora nella bozza di dichiarazione congiunta, «in quanto non si consentirebbe il mantenimento di economie tali da giustificare offerte tecniche ed economiche a prezzi e condizioni competitive». Insomma, pur di vincere un appalto si può spremere i lavoratori, secondo i sindacati. Una tesi, peraltro, fatta a pezzi proprio dal giudice del lavoro di Bologna, che aveva già risolto a favore di un dipendente un caso analogo, con un ragionamento assai critico sulle modalità di conduzione delle aziende sociali. «Che le società cooperative possano e debbano partecipare ad ogni gara come previsto anche dal codice degli appalti è fuori discussione», si legge nella sentenza, «quello che non è possibile consentire è che in nome di benefici, accordati per tutt'altre finalità, possano offrire servizi a prezzi non concorrenziali pagando i propri lavoratori meno degli altri». Il giudice ha anche analizzato e demolito l'ipotesi difensiva di Hera, in quella circostanza condannata in solido per omesso controllo sulla corretta esecuzione contrattuale, scrivendo: «L'altro argomento offerto in sede di discussione da Hera sui prezzi offerti ai propri clienti-utenti, consentiti in termini contenuti solo per il costo del lavoro concorrenziale (in sostanza, pagando di più i lavoratori, i costi dei propri servizi risulterebbero maggiorati a scapito degli utenti che pagherebbero tariffe maggiori)... si osserva che ci sono molti metodi per ridurre i propri costi, e non si comprende perché solo il sistema che introduce nella sostanza dumping contrattuale possa essere ritenuto praticabile». Nella bozza di dichiarazione congiunta che La Verità ha potuto leggere c'è riportato pure che i «sindacati sono a conoscenza da sempre dell'applicazione del ccnl cooperative sociali» ai dipendenti che dovrebbero invece essere contrattualizzati sulla base di quello Utilitalia. E questo nonostante l'obbligo di rifarsi al contratto nazionale di categoria fosse previsto sia nel protocollo d'intesa sugli appalti del gruppo Hera sia nel protocollo regionale tra i sindacati più rappresentativi e l'Atersir, l'agenzia territoriale dell'Emilia Romagna per i servizi idrici e di igiene ambientale. La conclusione della dichiarazione d'intenti è drammatica per i lavoratori: se le coop fossero costrette a pagare di più i dipendenti, i conti correnti si assottiglierebbero e, senza soldi, dovrebbero essere messe in liquidazione. Con tanto di licenziamenti dietro l'angolo per dipendenti normodotati e portatori di handicap.«Tutto ciò è di inaudita gravità», commenta il capogruppo consiliare della lista La Pigna di Ravenna, Veronica Verlicchi che da mesi segue la vertenza in solitaria. «A seguito dell'articolo apparso nei giorni scorsi sul quotidiano La Verità e successivamente alla riunione tra la lista civica La Pigna e i lavoratori delle coop sociali ravennati e romagnoli dell'igiene ambientale, alla quale ha partecipato in incognito un rappresentante di una coop sociale, nelle cooperative è scattata l'azione di pressione e di intimidazione sui lavoratori che hanno espresso la volontà di rivolgersi al giudice del lavoro per vedere riconosciuti i propri diritti e le proprie spettanze. Solo a Ravenna sono circa 20 i lavoratori che hanno espresso la volontà di far causa alla propria cooperativa».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lintesa-coop-sindacati-che-frega-i-lavoratori-2628490434.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cgil-cisl-e-uil-attaccano-i-gialloblu-perche-hanno-demolito-la-fornero" data-post-id="2628490434" data-published-at="1765143758" data-use-pagination="False"> Cgil, Cisl e Uil attaccano i gialloblù perché hanno demolito la Fornero «Questi non sanno neanche dov'è la sinistra, li mandi a guidare in Inghilterra e fanno subito un frontale». La battuta feroce, su Twitter, sta sotto una foto che potrebbe essere stata scattata negli anni Ottanta: palloncini rossi sullo sfondo, teste lambite da bandieroni postmarxisti e in primo piano loro tre, i compagni d'Italia: Massimo D'Alema, Sergio Cofferati e Guglielmo Epifani. Come grida Maurizio Landini dal palco di piazza San Giovanni a Roma: «Il cambiamento siamo noi». Benvenuti al corteo dei sindacati riuniti dove il cambiamento è D'Alema (70 anni) che torna come un Visitor ad allungare la sua ombra sulle spoglie renziane, produce vini algidi come lui in provincia di Terni (il nome del feudo sembra quello della moglie di un ambasciatore francese, la Madeleine) e lancia un anatema che gli somiglia: «Il governo? Solo nazionalismo straccione». Benvenuti dove il cambiamento è Cofferati (71 anni) sceso da una cornice in sede alla Cgil dopo un decennio di nulla, anonimo parlamentare europeo, noto agli happy few dell'Ulivo prodiano per aver usurpato il buon nome di Tex Willer. O addirittura dove il cambiamento è Epifani (69 anni), che dopo una vita da grigio custode dell'articolo 18 ha scandalizzato la sinistra operaia quando ha allegramente votato il Jobs Act che ha picconato lo Statuto dei lavoratori. Nuovi come un trumeau trovato in cantina durante un trasloco, brillanti come un romanzo di Sandro Veronesi, gli allegri rivoluzionari annoiati a forza di guardare i cantieri sono il simbolo del corteo del Paese che insorge contro il governo dei quarantenni. E lo osteggia, lo boccia, lo deride con la bava verde alla bocca saltando a piè pari la fase d'una legittima e perfino doverosa critica costruttiva. Il melting pot politico è bizzarro: accanto ai duri e puri della Cgil in marcia c'è la Confindustria dell'Emilia Romagna (anche questa si chiama concertazione); accanto alla sempre più pasionaria arcobaleno Laura Boldrini ecco il Carlo Calenda in cachemire, gran visir di Siamo Europei, ammucchiata anti sovranista mascherata da convention permanente dei Competenti. Le frasi simbolo del pomeriggio romano dei 150.000 in gita dentro il loro passato sono tre: «Dopo questa giornata, se il governo ha un minimo di saggezza apre una trattativa con noi. Se non dovesse succedere andrà a sbattere» (Maurizio Landini, Cgil). «Il governo esca dalla realtà virtuale, dopo tanti anni di una crisi tremenda avevamo iniziato a riandare la testa e ad avere una speranza nel futuro. Oggi si parla di recessione tecnica, cala la produzione industriale. Solo lo spread sale abbattendo salari e pensioni» (Annamaria Furlan, Cisl). «Il governo del cambiamento non può cambiare il Paese in peggio» (Carmelo Barbagallo, Uil). L'ego ipertrofico di Landini necessitava di una rentrée da cantante lirica, di un bagno di folla per archiviare la stagione della bibliotecaria Susanna Camusso. Ed ecco che anche Cisl e Uil con Furlan e Barbagallo lo affiancano per un happening dal titolo «Futuro al lavoro» con lo scopo di chiedere all'esecutivo un confronto su crescita, sviluppo, pensioni e fisco. È la prova generale della primavera degli scioperi per dare una spallata alla maggioranza prima delle elezioni europee. Ed è la prima manifestazione unitaria dal 2013, dato che viene sottolineato con trionfale senso dell'alleanza, mentre noi ci domandiamo dove fosse la triplice mentre Matteo Renzi inneggiava al globalismo mercatista, intaccava le garanzie dello stato sociale, faceva sue le storture della legge di Elsa Fornero. È davanti a questa evidente contraddizione che si fermano a replicare Matteo Salvini e Luigi Di Maio, rappresentati nel corteo con cartonati vestiti da scolaretti. Il vicepremier della Lega adombra la possibilità che dietro la ritrovata unità sindacale ci sia una manovra politica per puntellare un sempre più traballante Pd: «È curioso che la Cgil, rimasta muta sull'infame legge Fornero, nella prima settimana in cui viene smontata vada in piazza». Parlando, anch'egli da Vicenza, a margine dell'incontro organizzato dai risparmiatori della Banca Popolare di Vicenza ridotti sul lastrico, il ministro del Lavoro nonché vicepremier in quota Movimento 5 stelle aggiunge: «Ho a che fare con i sindacati tutti i giorni sulle più grandi vertenze del paese. Certo, è un po' singolare vedere che si scende in piazza contro quota 100 e non si è scesi in piazza quando è stata fatta la legge Fornero». La manifestazione non si pone problemi di coerenza, semplicemente avanza al ritmo di Bella Ciao. Tutto secondo copione antico, tranne uno slogan che rimane impresso: «Meno Stato sui social, più Stato sociale»; probabilmente Boldrini, Calenda, Zingaretti, Martina e Fratoianni (la nuova sinistra, mentre ormai D'Alema e i suoi compari arrancano più indietro) intendono quello rottamato da Renzi. È un invito retorico, perfino da dissociazione psicologica perché i suddetti scandalizzati dalla Nutella di Salvini e dalla piattaforma Rousseau hanno la residenza prima casa sui social, dentro la bolla mediatica che vorrebbero bucare. Da lì in presa diretta (e proprio mentre scandiscono la frase) pubblicano selfie, servizi fotografici da San Giovanni, tweet di autopromozione, filmati con pretese registiche da Oliver Stone. Soprattutto postano scorci di tramonto rosso. Che sia il loro?
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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