2019-04-29
Stefano Patuanelli: «Siri si dimetta, la Lega ci ringrazierà»
Il capogruppo del M5s al Senato: «Non ha preso soldi? Ma il problema sono gli emendamenti lobbistici. Noi diamo agli alleati la possibilità di mostrarsi diversi rispetto ai governi omertosi e impuniti del passato».Senatore Patuanelli, lei è l'uomo che tiene il pallottoliere dei numeri al Senato. «Mi tocca». E durerà il governo? «Se risolverà i problemi dei cittadini di sicuro». Bello, ma detto così non vuol dire nulla. Chi cede sul caso Siri? «In queste ore si capirà qual è la reale volontà di cambiamento, anche nella Lega». Voi volete sempre le dimissioni del sottosegretario?«Sì. Il problema per me non è se abbia preso dei soldi. Ma che abbia fatto presentare quegli emendamenti lobbistici». E la Lega può accettarlo, secondo lei? «Se vogliono che questo governo cambi davvero il Paese devono accettarlo». Addirittura. «Certo. E quando lo avranno fatto ci ringrazieranno per avergli offerto questa possibilità di essere diversi rispetto ai governi omertosi e impuni del passato». Stefano Patuanelli, veterano del M5s. Giuliano, faccia da bravo ragazzo, occhiali tondi di acciaio e barbetta. Il più pacato dei pentastellati in tv. Era sul camper con Grillo nel giorno più drammatico della crisi del 2013: «Vi racconto cosa accade davvero».Da dove arriva lei? «Sono nato e cresciuto a Trieste. Mia madre era casalinga. Mio padre era commercialista è morto a 49 anni, quando io ne avevo 23». Quella morte mette fine a tutto. «Il lutto ha cambiato la nostra vita. Avevamo una delle ville più belle della città: il benessere, quattro macchine in quattro, e in pochi giorni siamo passati alla sopravvivenza, appesi alla pensione minima di mia madre: 750.000 lire». Momenti drammatici. «Ricordo di aver venduto la mia macchina precipitosamente per pagare la liquidazione delle dipendenti. E poi abbiamo dovuto chiudere lo studio di papà. Non avevamo liquidità per far fronte a tutto». E quando ne siete usciti? «Quando abbiamo venduto anche la casa. Dieci anni fa ne ho ricomprata una, a otto metri di distanza da quella dove oggi vive mia madre. Tutto si è ricomposto, solo con il tempo».Che bilancio fa di questo terremoto? «Ho capito, nell'unico modo in cui è possibile - cioè vivendolo sulla mia pelle - che i soldi non servono davvero a niente della vita. Del periodo in cui era vivo mio padre non mi mancano i suoi soldi. Mi manca mio padre». Eravate molto diversi dal punto di vista politico.«Lui era di destra, votava Msi: prima vicino alla destra sociale, poi simpatizzante di Fini. Non ha visto come è andata a finire». E lei? «Io da giovane, se non altro per contrapposizione familiare, sono diventato di sinistra. Il primo voto a Rifondazione». Laurea in ingegneria.«Ci sono arrivato tardi, per via di tutto. Ma ho finito con la media del 29.7 una delle più alte della storia universitaria triestina». E poi? «Ho iniziato con un'opera pubblica e poi ho lavorato quasi esclusivamente in quel campo, per via di questo paradosso: solo se fai opere pubbliche hai il curriculum per poter concorrere nelle opere pubbliche». Come il Fight club. Esperienza utile, oggi?«Preziosa, l'Italia si deve riattivare lì».E deve fermare la lievitazione dei costi. «Pensi che non sono mai andato fuori da un quadro economico, a meno che non fosse per una scelta. Per questo penso di sapere cosa bisogna fare e non fare per sbloccare i cantieri». Quando si avvicina al M5s? «Nel gennaio del 2005. Ancora non esistevano il blog di Beppe Grillo e i meet up».E cosa accade? «Beppe fa a Trieste il suo spettacolo: era quello con la parodia sul latte all'Omega 3: “Alla Parmalat ci mettono un pesce dentro". Ah ah ah». Lo spettacolo cosa fa scattare? «Mi ritrovo molto nel suo modo di fare politica facendoti pensare. Poi tornando a casa...».Cosa? «Rifletto sull'incredibile quantità di notizie che avevo appreso. E mi si accende la lampadina: C'erano cose che si potevano scoprire solo andando allo spettacolo di un comico. Lì mi scatta la molla». Il meet up?«Sì, io apro il meet up a Trieste a metà 2005».Il primo salto di qualità? (Risata). «Ci vediamo a settembre in un bar in centro. Eravamo 150 iscritti al meetup, ci ritroviamo solo in sei». Un fallimento. «Non era così. La considerazione che ho fatto quel giorno è che quello strumento ci dava la possibilità di partecipare anche se non potevamo impegnate la nostra fisicità». E quando capisce che non è una cosa virtuale?«Il grande salto avviene fra il 2009 e il 2010. Organizziamo le liste, ci presentiamo. Alla riunione finale siamo arrivati tutti e 150!».E i voti?«Prendemmo il 9% come candidato sindaco. E il nostro obiettivo era il 3%!».Lei diventa consigliere. «Insieme a Paolo Menis che è ancora in Comune. Siamo diventati come due fratelli. Seguivano tutti i consigli comunali. Li registravano. Eravamo molto preparati. Delibere, pareri tecnici, abbiamo imparato così. Vigilando». E Gianroberto Casaleggio? «Lo conosco nel 2012. L'avevo visto in alcune riunioni ma il legame nasce quando mi chiede: “Mi dai una mano per presentare delle liste?"». Momento storico? «Il Napolitano bis. L'incarico a Enrico Letta, la gente in piazza a Roma, clima da sommossa popolare». E lei dov'era? «Sul camper di Beppe, dove raccoglievamo le firme. Da Udine puntiamo precipitosamente su Roma. C'è rabbia, clima febbricitante». Ma Grillo non arriverà mai. «Oggi posso confermare quello che è stato scritto in alcuni retroscena. Lo chiama la Digos e gli dice: “C'è il rischio disordini"».E lui?«Si consulta con Casaleggio e rinuncia. Non andare ad aizzare una folla con il senno di poi è stata la scelta giusta». Aizzare? (Sorride). «Beh, conoscendo Beppe non avrebbe fatto in discorsino tenero. Sono diventato forza di governo anche con quella rinuncia». Rivede Casaleggio. «Nel 2014 ci chiama tutti a Milano. Nei primi mesi sono rapporti politici. Poi nasce un sentimento di amicizia». E con Luigi Di Maio? «Siamo il gruppo dirigente che ha fatto questa traversata insieme, dal nulla al governo. Sono cose che ti cementano». Un momento che rimpiange? «Nel 2017 era appena diventato capo politico, viene a Trieste. All'aeroporto mi fa: “Voglio vedere un amico, ce ne andiamo al bar?"».E cosa c'è di particolare? «È stata l'ultima volta in cui abbiamo potuto permettercelo, un momento così, spensierato». Perché? «Perché io adesso lavoro 14 ore al giorno, lui il doppio di me. Ci vediamo a cena una volta a settimana e abbiamo a malapena il tempo di parlare dei problemi politici». Al Senato la maggioranza è molto risicata. «E so benissimo che ci sono correnti di pensiero diverse tra noi». Adesso lei è quello che reprime i dissidenti. «Macché! Passo le mie giornate a parlare con le persone. Siamo in 107!».Intanto Gregorio De Falco lo ha espulso. «È stato una delusione. Non si presentava in commissione senza avvisare». Lo dice ora? «No, ci sono tanti che dissentono e non sono stato espulsi». Esempio? «Io stimo Paola Nugnes ed Elena Fattori. Anche quando non condivido il continuo mettersi dalla parte della ragione senza considerare la ragione altrui. Non c'è tema in cui nel gruppo non ci siamo idee diverse». E le pare normale? «Sì, siamo un movimento post ideologico. Per questo è importante decidere insieme». Il rapporto con la Lega? «Alcuni lo vivono come una grande opportunità. Altri come una sofferenza. E accade lo stesso nella Lega». Cani e gatti?«Falso. I due gruppi lavorano benissimo. Io con Massimiliano Romeo lavoro benissimo. Ci sentiamo tutti i giorni, mai litigato». Siete delusi per il reddito? «Siamo entusiasti». Cos'è, la volpe e l'uva? «No, volevamo proprio questo. Abbiamo spiegato che tutti dovevamo avere almeno 780 euro. Ma se già guadagni altri soldi, in qualche modo ovvio che il reddito si limita a integrare. Questa è la differenza con l'assistenza, a cui non abbiamo mai pensato». I giornaloni vi pestano. «Hanno la coscienza sporca. Quando vedo L'Espresso con la copertina di Virginia Raggi mostrificata e sfigurata, mi pare un boomerang». Ovvero? «L'immagine peggiore di una informazione che vuole depistare. Una cosa a metà fra il sessismo e la disinformacija». Non mi ha detto se pensa che il governo supererà le europee. «Se malgrado tutto questo fango teniamo, dureremo cinque anni. Vedrà».
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