2020-09-14
Raffaele Volpi: «5G anti Cina? Si può lavorare col Pd»
Il presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti: «Meglio un'autorità che si occupi a tempo pieno dell'intelligence. Qualcuno in Italia si offre come cavallo di Troia alla penetrazione del Dragone in Occidente».Raffaele Volpi, alla terza legislatura, dirigente della Lega, politico rispettato da amici e avversari, è stato sottosegretario alla Difesa nel governo gialloverde e da ottobre 2019 presiede il Copasir, l'organismo che esercita il controllo parlamentare sull'attività dei servizi di intelligence. Lo abbiamo incontrato a Palazzo San Macuto, sede del Comitato. Presidente, secondo lei in Italia, anche ai piani alti della politica, hanno capito che tra Washington e Pechino non si può scherzare?«Penso che la consapevolezza stia crescendo, e che si stia opportunamente avviando anche qui un dibattito che in altri Paesi è più avanzato. La sensibilità sul tema è emersa quando si è posta la questione del 5G».Ecco, qualcuno si illude che la sfida del 5G possa essere trattata solo in termini di contesa tecnologica, dimenticando la dimensione geopolitica complessiva?«Questo è il passaggio che va fatto nella discussione. Io sono storicamente e convintamente un atlantista. Se non si capisce che si tratta di scegliere insieme, nel campo occidentale, il futuro dei prossimi decenni, si perde di vista il cuore della questione. Anche la Nato deve valorizzare sempre di più, come ha iniziato a fare, il fatto che ci sia un fronte Sud dell'alleanza da presidiare». A maggior ragione dopo lo stop britannico a Huawei, c'è qualcuno in Italia che vuole offrirsi come cavallo di Troia della penetrazione cinese in Occidente?«Purtroppo ne sono certo. Forse qualcuno dovrebbe studiare meglio quanto successo in Grecia. Quando l'Ue non li aiutava, i greci hanno aperto alla Cina il loro sistema portuale, con la convinzione, poi rivelatasi un'illusione, di grandi effetti sull'occupazione. Ora, in materia di infrastrutture immateriali, il nuovo governo di Atene ha cambiato rotta, e punta alla collaborazione con Nokia ed Ericsson. Non si tratta di essere contro la Cina, ma di capire il contesto globale. L'Occidente è fatto di valori che non possiamo e non dobbiamo dimenticare».Come svelato dalla Verità, il 7 agosto scorso il governo, con un Dpcm, ha di fatto aperto a Huawei. Poi è scattata una prima intesa che ha coinvolto il fondo Usa Kkr nell'accordo Tim-Cdp per la rete. Qualcuno ha capito che occorreva correggere la rotta?«Mi fa piacere che, anche in modo bipartisan, si sia lavorato per creare consapevolezza sui rischi di una certa strada. Nel secolo scorso l'interesse nazionale riguardava solo le infrastrutture fisiche. Ora il concetto va esteso anche a quelle immateriali». Sarà per questo che Beppe Grillo è rimasto male?(Sorride) «Non frequento Grillo».A proposito, che ci faceva Grillo a novembre dall'ambasciatore cinese? Gli aveva portato del pesto, disse. Pensa che qualcuno gli abbia creduto?«Non conosco le abitudini alimentari dell'ambasciatore cinese. Certo, quell'episodio colpì molti. Occorrerebbe che tutti capissero dove sta il confine tra rapporti istituzionali e qualcosa di diverso…».Sempre Grillo, a Roma, a dicembre indossava già una mascherina, quando a nessuno sarebbe venuto in mente di farlo. E spiegò ai cronisti: «Mi proteggo dai vostri virus». Poi, con un gioco lessicale che - interpretato a posteriori - fa pensare, accennò alle sardine come a un «movimento igienico sanitario» («vogliono igienizzare la società», disse). Magari l'uso di quelle parole fu solo un caso, come l'aver indossato la mascherina. Lei che idea si è fatto?«Non so dirle, su questo non mi esprimo. Certo, prima o poi occorrerà discutere, se non delle colpe, quanto meno di alcune omissioni di Pechino sulla pandemia».Torniamo al 5G e a qualche scivolata filocinese del governo. Come valuta il fatto che alcuni esponenti del Pd abbiano preso le distanze da quella deriva? Penso al ministro Lorenzo Guerini, al ministro Enzo Amendola, al membro del Copasir Enrico Borghi…«Appunto evocavo un lavoro bipartisan su certi aspetti. Io stesso ho ereditato da Guerini, mio predecessore al Copasir, l'avvio dell'indagine conoscitiva sul 5G. E, con la mia gestione, la relazione è stata votata da tutti. Il Comitato sta dimostrando di essere un riferimento per il Paese. Le segnalo anche il lavoro che stiamo svolgendo sul sistema bancario e assicurativo come parte dell'interesse nazionale inteso nel senso che le dicevo poco fa». La Verità ha ricostruito tutti gli avvisi Usa all'Italia a non sbagliare la metà campo geopolitica dove collocarsi. Dall'ambasciatore Usa a Roma al segretario di Stato Pompeo, passando per il portavoce del National security council. Qualcuno fa ancora finta di non aver capito?«Più volte le autorità statunitensi hanno detto a tutti gli alleati che o le infrastrutture sono completamente sicure, oppure i dati sensibili e di intelligence non verranno condivisi».È una spia lampeggiante sul cruscotto. Il «guidatore» ha capito?«Diciamo che si è fermato al semaforo».Che ha combinato Giuseppe Conte con le norme sul rinnovo dei vertici dei servizi?«Non voglio partecipare a questa polemica. Dico però che occorre una manutenzione complessiva della legislazione relativa al settore dei servizi, alla quale penso e spero si possa lavorare in modo condiviso».In che direzione?«In primo luogo, per immaginare tempi adeguati per chi dirige i servizi. Dal 2014 in poi la consuetudine è stata di non dare incarichi di 4 anni, ma di 2. In Spagna l'ultimo mandato è durato 12 anni, all'MI6 britannico 8 anni… È bene dare una certezza di lavoro a chi ha quel tipo di incarico. La legge attuale prevede 4 anni più 4».Ma lei ritiene igienico e normale che un premier che ha guidato due diversi governi con maggioranze opposte tenga per sé la delega ai servizi?«Intanto, diciamo che è per lo meno particolare che qualcuno sia riuscito a fare il premier di due governi così diversi… Per il resto, la mia opinione è che sarebbe bene avere un'autorità (ministro o sottosegretario) dedicata a tempo pieno al tema dell'intelligence. Anche il capo del governo, a quel punto, potrebbe aver a che fare positivamente con un materiale già esaminato e scremato, per così dire».Sul Corriere della Sera questa estate è uscito un retroscena secondo cui il premier inizierebbe le sue giornate leggendo il report dei servizi…(Sorride) «Che le devo dire… Spero che lo faccia. Le ripeto: non partecipo a polemiche, né voglio alimentarle. Anzi, i servizi italiani, dai vertici fino all'ultimo collaboratore, hanno una professionalità riconosciuta nel mondo. E da anni è in corso un lavoro importante anche rispetto ai temi economici. È importante che chiunque sia al governo possa aver a che fare con istituzioni affidabili e di alta professionalità, che non andrebbero tirate in mezzo alle beghe politiche».Situazione in Libia. Erdogan ci ha già fatto fuori?«Abbiamo tutte le opportunità per essere un attore importante. Siamo tra i pochi al mondo a non essere percepiti in modo negativo. Quanto a Erdogan, un conto è l'immagine della strategia neo-ottomana che lui vende alla sua opinione pubblica, altro conto è l'influenza che invece viene esercitata su di lui da alcuni attori, penso al Qatar. Anche la radicalizzazione religiosa in Turchia va interpretata in questa chiave, come il frutto di influenze e richieste anche esterne».Come andranno le elezioni regionali di domenica? «Bene per la Lega e il centrodestra. È già il secondo anno in cui una roccaforte di sinistra si rivela contendibile. Occorre riscoprire il rapporto tra politica e corpi intermedi: ci sono aree che stanno evolvendo e possono giocare un ruolo. Il centrodestra deve riflettere su questo: la stagione della disintermediazione totale è forse alle spalle, e la vita economica e sociale non può essere del tutto disintermediata e ultrasemplificata».Ma se il governo, dopo questa tornata, si ritrovasse all'opposizione in 16-17 regioni su 20, come potrebbe andare avanti?«Per serietà politica, al Nazareno dovrebbero fare una bella riunione. E dico al Nazareno perché, se le cose andassero in un certo modo, sarebbe il Pd a perdere. Per il resto, sarebbe la conferma del fatto che fuori dal Parlamento non hanno i numeri».Hanno paura del voto politico?«Mettiamola così. Io ho rispetto assoluto per le differenze. Ma le differenze ci sono, servono, e non vanno negate. Occorre tornare alla fisiologia del confronto davanti ai cittadini, anziché far di tutto per schivare quel passaggio democratico decisivo. La paura del voto è sempre il sottoprodotto di una paura più profonda: quella di chi sente di avere sempre meno da dire. E chi perde dovrebbe evitare di dire che sono gli elettori a non aver capito».Come sta la Lega?«La Lega è un partito con una lunga e grande storia, che ora ha accettato la sfida di diventare un partito nazionale, ha un seguito straordinario tra i giovani, concilia le sue aspirazioni antiche con le esigenze di tutto il territorio nazionale, e ha un segretario che è un divulgatore eccezionale, qualità che non si impara né a scuola né nelle strutture di partito».Non c'è un eccesso di ostilità contro di voi? «Non mi dà fastidio se ci dicono che siamo populisti. Ma che non capiscano che, quando hai un certo livello di consenso, sei soprattutto popolare, cioè rappresenti istanze vere».Perché non ve lo riconoscono?«Lo capiranno. Se per caso arriverà qualcosa - non so quando e quanto - dall'Ue, in fondo sarà dipeso anche dal ruolo giocato da Salvini, o dalla percezione che a Bruxelles hanno di Salvini e della sua forza nel Paese. Qualcuno dovrebbe rifletterci».Vi preoccupa l'inchiesta sui tre commercialisti che, su questioni diverse dall'oggetto dell'inchiesta, hanno lavorato anche per la Lega?«Qualsiasi indagine giudiziaria deve saper distinguere bene le responsabilità personali dalla vicinanza politica di ognuno. Sono cose distinte».