2020-08-10
«Conte non sa decidere, perciò dura»
Per il filosofo, Massimo Cacciari, Giuseppi «è trasformismo puro, perfetto per la sopravvivenza di una compagine senza qualità. Lo prova il lockdown: non fu colpo di mano, ma incapacità. Il voto? Solo se collassa tutto. È una possibilità».Massimo Cacciari ha da poco pubblicato Il lavoro dello spirito (Adelphi), un saggio su Max Weber che affronta una delle questioni cruciali del XIX, come del nostro secolo: il rapporto tra scienza e politica.Professore, nei mesi della pandemia abbiamo visto una politica debole nascondersi dietro gli scienziati e, a volte, una scienza al servizio della politica. Come quando l'Oms, per screditare Donald Trump, ha tirato fuori uno studio farlocco contro la clorochina.«Il rapporto tra scienza e politica non può essere giudicato solo in relazione alla pandemia. È un problema delicato e strategico».Si spieghi.«Una politica che non abbia un rapporto consistente e continuo con l'evoluzione della conoscenza scientifica e con i processi innovativi che essa innesca, anche nel sistema produttivo, sarà costantemente spiazzata».Spiazzata?«Come si può pensare a una strategia industriale e, di conseguenza, occupazionale, se non si ha un quotidiano rapporto con i processi innovativi?».Quale dev'essere il criterio regolativo di questo rapporto?«L'interesse nazionale».Come lo spieghiamo all'Ue?«A livello europeo vale lo stesso discorso. Se no continueremo a fare gli Stati generali con le grida, i desiderata, i “vorremmo", gli “occorre". L'Europa, travolta dalle varie emergenze, ha accantonato il tema. Nei grandi imperi si ragiona diversamente».A chi si riferisce?«Prenda gli Stati Uniti. Una politica di tipo imperiale che ha bisogno di un apparato militare costantemente all'avanguardia. Ciò comporta investimenti ingenti in innovazione e ricerca».L'ha sorpresa che la decisione sul lockdown sia stata politica, presa dal governo contro il parere del Comitato tecnico scientifico?«Non era una decisione “contro". Semplicemente, il governo non aveva la capacità di affrontare l'emergenza in modo articolato, come proponevano gli scienziati».Quindi?«Ha pensato di non potercela fare a reggere la situazione se non con un approccio esasperatamente centralistico e statalistico. Senza che ciò suscitasse l'avversione delle autorità sanitarie».Be', ma era un'ammissione d'incapacità…«Certo. Per affrontare le cose articolate serve non solo un governo forte, capace di assumere decisioni difficili, ma occorre anche la piena concertazione con le autonomie e le Regioni. Tutti presupposti che mancavano».Giuseppe Conte non avrà pure intravisto qualche opportunità politica nell'emergenza?«Non credo a queste dietrologie. C'era una situazione di grande confusione, d'incapacità di comunicazione con le autorità regionali. Così il governo ha scelto la soluzione più semplice e diretta: chiudiamo tutto e buonanotte».Gli scienziati avevano chiesto la zona rossa nella Bergamasca. Il governo non li ha ascoltati.«C'è stata una serie di errori, commessi sia dal governo, sia dalle autorità regionali».Conte con i magistrati ha sostenuto di non aver mai ricevuto quel verbale. Possibile?«Saranno successi casini di ogni genere».Il premier vuole farsi un partito? O rafforzarsi nel ruolo di collante delle forze di maggioranza?«Conte è il simbolo del trasformismo italiano. E non lo dico in senso spregiativo».No?«Questo è un Paese in cui occorre essere, in qualche misura, trasformisti».Dunque?«Non penso che Conte sogni grandi avventure politiche personali. Da perfetto trasformista, semmai, punta a metabolizzare, componendole, tendenze diverse».Più semplicemente?«Lavorare a compromessi, anche di brevissima durata. E tirare avanti».E non è un giudizio spregiativo?«Ma no. Anzi, mi convinco sempre di più che Conte sia l'uomo necessario in questo momento».Perché?«Perché si barcamena. È il massimo che possa fare questo Paese adesso».Qualcuno comincia a temere che si stia rafforzando troppo? S'era vociferato che Nicola Zingaretti mirasse al Viminale. Lui ha smentito, ma la circostanza rendeva l'idea di una componente della maggioranza che ritiene di dover controllare più da vicino questo libero battitore di Palazzo Chigi…«Ma nemmeno queste componenti della maggioranza sanno dove andare…».Lapidario.«È chiaro che una politica trasformistica dura solo fintantoché mette insieme persone che non sanno decidere».Il Pd non sa decidere?«È costretto a subire e ad appoggiare Conte perché non saprebbe che dirgli contro. Il Pd non ha ancora fatto uno straccio di congresso degno di questo nome; è al governo dopo aver perduto clamorosamente, cosa unica nella storia del mondo; cosa vuole che faccia?».E i 5 stelle?«Sono messi ancora peggio. Non sanno più chi sono. Crisi d'identità totale».Allude alla sconfessione delle politiche migratorie condivise con Matteo Salvini?«Ne hanno fatte di tutti i colori. Una forza politica che un anno sta con Salvini e l'anno dopo lo manda in tribunale: siamo al delirio trasformistico».L'opposizione, invece?«Le ha sbagliate tutte, tranne Giorgia Meloni. Molto abile».Qual è stata la sua abilità?«Non fare le cappelle clamorose che ha combinato quell'altro. Non s'è data una fucilata sulle palle».La competizione che pare essersi instaurata con Salvini scalfirà l'unità del centrodestra?«Ma no. A parte che ormai il centrodestra è destra e basta. Alla fine, comunque, l'unità la ritrova, come sempre».Come vede il ruolo ambiguo di Silvio Berlusconi?«Finché ha dieci voti, li continuerà a usare dentro quella coalizione. Mica è pazzo. A meno che non si verifichi una crisi di governo e si debba salvare la patria…».Dice?«Se il governo trasformista non regge, bisognerà vedere cosa decide Sergio Mattarella».Dal governo giallorosso, Mattarella ha ingoiato un po' di tutto...«Fa parte del suo carattere. E poi, poverino, si metta nei suoi panni: che poteva fare?».Votare proprio non si può?«Certo che si può. Ma solo se collassa tutto».Le pare possibile che, nel pieno della recessione, la maggioranza discuta di legge elettorale?«È una vergogna».Allora il governo rischia, no?«È evidente. Ma la sua situazione di debolezza, paradossalmente, ne favorisce la sopravvivenza. Perché non c'è nessuno, né dentro la maggioranza, né fuori, che sia in grado di presentare un'alternativa che abbia la minima credibilità. Non solo presso Mattarella, ma pure presso l'opinione pubblica».All'opinione pubblica, il governo come la giustifica la ripresa massiccia degli sbarchi, con Covid incluso?«Chi poteva sognarselo che gli sbarchi sarebbero stati eliminati? Salvini bloccava due-tre navi al largo, mentre la gente veniva giù da Trieste».Le cito, però, i dati del Viminale: con Salvini, dal primo gennaio al 7 agosto 2019, 4.039 sbarchi. Con Luciana Lamorgese, 14.832.«Salvini, anziché lasciar sfiatare la bottiglia, ha tenuto disperatamente il tappo chiuso. Dopodiché, è ovvio che la bottiglia esplode di botto. Questo fenomeno lo si governa solo con un nuovo accordo con Ankara, con una politica concordata con l'Europa, che però ancora manca completamente». E continuerà a mancare, con la scusa che adesso ci hanno concesso il Recovery fund…«Ha ragione. Il rischio è che ci dicano: “State buoni, perché vi abbiamo riempito di soldi". Anche se, più che di soldi, ci hanno riempito di debiti».Di debiti?«Gli aiuti a fondo perduto sono 80-90 miliardi. Per il resto, ci danno il permesso d'indebitarci».E l'accordo di Malta?«Non c'era nessun accordo di Malta. Ogni Paese persegue il proprio interesse. E chi sconta questa carenza strategica drammatica siamo noi e i greci».È vero che la base nordista della Lega si è stufata di Salvini?«Conoscendo l'abilità di Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia, stanno preparando una federazione».Cioè?«Un partito in cui Salvini farebbe il leader di pura destra nazionale, il che gli permetterebbe anche di contrastare validamente la Meloni. E con una componente strettamente federata con lui, il cui fulcro sarebbero autonomia e federalismo fiscale. Una situazione analoga a quella dei democristiani tedeschi, con la federazione Cdu-Csu. Se sono intelligenti, vanno in quella direzione. Così, sbancano».E se non sono intelligenti?«La posizione di Salvini diventerebbe, alla lunga, indigeribile per l'elettorato leghista del Nord».E Matteo Renzi?«Può recuperare qualche voto berlusconiano, ma le altre porte sono chiuse. Renzi si è fottuto».La maggioranza ha un disegno: trascinarsi, con l'aiuto dell'emergenza, fino al semestre bianco, per dare le carte in vista dell'elezione del nuovo capo dello Stato. Quale incognita potrebbe far saltare il banco?«L'autunno, con la legge di bilancio, l'uso dei soldi europei e il dramma di redditi e occupazione, per vasti settori di ceto medio, specialmente quelli legati al commercio e al turismo. Ci sono milioni di famiglie in ballo. E a quel punto il trasformismo non basterà più».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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