2019-11-25
Guido Crosetto: «Il salva Stati somiglia alla Spectre»
L'imprenditore e fondatore di Fratelli d'Italia: «Il nuovo Meccanismo di stabilità è fatto per terrorizzarci e complicare la vita a quanti sono già in difficoltà. Ex Ilva nazionalizzata? Farebbe la stessa fine di Alitalia».Guido Crosetto, imprenditore e tra i fondatori di Fratelli d'Italia, lei fu uno dei pochi a non votare in Parlamento l'istituzione del Mes, il famigerato Meccanismo europeo di stabilità, nella versione originaria. Oggi che l'Europa spinge per una riforma, in tanti vedono il fondo salva stati come una minaccia per la stabilità del debito italiano. «È un organismo nato al di sopra degli Stati, della legge e dei popoli: i suoi membri non possono essere sottoposti ad alcun controllo o giudizio in nessuna parte del mondo. Sembra costruito per spaventarci: la Spectre. Una volta insediati, i componenti non rispondono a nessuno. E con la riforma in atto, aumenteranno i suoi poteri, anche a discapito della stessa Commissione».E allora perché i rappresentanti europei tengono così tanto alla riforma, al punto da spedire il commissario Pierre Moscovici a colloquio con il presidente Mattarella per assicurarsi che tutto vada come deve andare?«Mi sembra un gesto poco elegante istituzionalmente e certamente anomalo. Per il resto, mi sono limitato a prestare ascolto agli allarmi di Giampaolo Galli, del governatore Ignazio Visco, del presidente dell'Abi Antonio Patuelli. Non Borghi, Bagnai o Giacché. Quando incontro esponenti del Pd, con molti dei quali ho un ottimo rapporto, ripeto sempre le stessa domanda: dal punto di vista di una nazione, l'Italia, che si è già impegnata a versare fino a 125 miliardi su semplice richiesta, mi spiegate a che cosa serve questa riforma?».A quali conseguenze andiamo incontro?«Il problema fondamentale è che sarà più semplice “ristrutturare il debito", cioè rimborsarlo in misura minore. E questo strumento facilitato sarà uno dei cardini attraverso il quale accedere agli aiuti se non si è Paesi virtuosi. In ogni caso, l'Italia farà più fatica a finanziarsi nel mercato. Quindi dovrà pagare più interessi, per convincere a sottoscrivere titoli di stato. Insomma, è una modifica che sembra avere un solo scopo: complicare la vita ai Paesi che sono già in difficoltà».Giulio Tremonti la riassume dicendo che i tedeschi vogliono ancora i nostri soldi. Insomma, si ripete lo schema del 2011: solo che al posto della Grecia ci sono le banche di Berlino. «Questo dipende dal fatto che i fondi del Mes possono essere utilizzati anche là dove, in caso di emergenza, fossero insufficienti i fondi delle banche nazionali. Insomma, quando le nostre banche erano in difficoltà, abbiamo dovuto arrangiarci e risolverla in casa. Adesso che la crisi può riguardare altri, dobbiamo mettere mano al portafoglio e alla nostra sicurezza finanziaria? In sintesi, i poveri versano soldi che non hanno in un fondo dove potranno attingere facilmente i ricchi». Lei aveva sottolineato le contraddizioni per tempo. Perché di questi problemi si parla soltanto adesso, mentre il governo cerca in fretta una linea comune?«Perché di solito le brutte notizie restano sempre segrete. Le pratiche arrivano all'Eurogruppo: sono i ministri dell'Economia che hanno il dovere di informare il parlamento. Ricordo una vecchia audizione di Vittorio Grilli, ministro dell'Economia nel governo Monti: mi disse che non poteva rispondermi, era tutto secretato. È come nei film di spionaggio: “Se parlassimo, poi dovremmo ucciderti". Assomiglia alla solita frase: “Ci sono i mercati aperti, non possiamo dirvi nulla"».Le forze di governo su questi argomenti sono ancora divise. Come ne usciamo?«Naturalmente deve esprimersi il Parlamento, che a mio avviso dovrebbe rifiutarsi di approvare una riforma del genere. Ma so anch'io che è una pessima cosa smentire l'esecutivo di uno Stato quando si tratta di temi internazionali. Sarebbe un profondo danno di immagine. Il governo, prima del Parlamento, dovrebbe trovare un modo per uscire dal cul de sac, resistendo alle pressioni europee». Continua la corsa disperata per salvare l'ex Ilva. Il premier Giuseppe Conte, dopo l'incontro con i Mittal, parla di un nuovo piano industriale. È ottimista?«Vorrei vederlo, questo piano industriale. Teniamo conto che il mercato dell'acciaio è molto difficile. Poi, certo: noi all'azienda abbiamo fornito la scusa per andar via. La speranza è l'ultima a morire, ma è difficile che rimangano, a meno di riempirli di soldi pubblici». Un'ipotesi praticabile?«Possono provare a cercare altre cooperazioni con altri grandi gruppi. Ho sentito parlare di aziende cinesi o di gruppi arabi. Ma è impossibile che lo Stato sia in grado di gestire Ilva, così come non è riuscito a gestire Alitalia». Sulla compagnia di bandiera ha chiesto una commissione di inchiesta. «Certo, perché Alitalia è stata depredata. Era una delle compagnie con il migliore servizio di manutenzione al mondo: l'abbiamo appaltato agli israeliani. Avevamo una linea di verniciatura degli aerei fantastica: l'abbiamo venduta ai rumeni. Avevamo tratte in tutto il mondo, quelle che rendono soldi: tutto perduto. C'è stato uno sciacallaggio totale».C'è chi pensa che dovremmo rinunciare alla compagnia di bandiera.«Quelli a favore del mercato puro lo urlano ogni giorno. La decisione dipende dalla risposta aduna domanda semplice: affidare al mercato le rotte aeree sull'Italia vuol dire ipotecare l'intero sistema turistico del nostro Paese? Il resto consegue». Che cosa le fa più paura della manovra economica?«La possibilità estesa anche su Comuni di trasformarsi in esattori dei tributi locali e di mettere il naso nei conti correnti bloccandoli. A tal fine avanzo una proposta».Quale?«L'obbligo per tutti di cointestare il conto corrente allo Stato e ai Comuni. Tanto vale farli entrare nel conto appena lo apri». Una resa allo Stato occhiuto.«Uno Stato che è il più inefficiente del mondo, quando si tratta di pagare, ma il più efficiente quando si tratta di prendere. E la cosa non è tollerabile. Riduce le imprese al fallimento perché si dimentica di pagare i propri debiti, ma diventa spietato quando mette le mani in tasca ai cittadini».Parla per esperienza?«Lo sa che l'Agenzia delle entrate mi chiede ancora il bollo di un'auto che ho venduto sei anni fa? Se non paghi ti bloccano i conti. È sempre il solito Stato: forte con i deboli e debole con i forti. Che poi sono gli stessi che chinano la testa in Europa, e che non inseguono quelli che hanno distrutto i bilanci delle banche arricchendosi».Sta prendendo piede l'idea di un tavolo tra Lega e Pd sulla legge elettorale maggioritaria. Fratelli d'Italia potrebbe essere della partita? «Bisogna chiedere a Giorgia Meloni, io posso parlare per me. Le riforme dovrebbero essere fatte non tra partiti ma nei Parlamenti. Troppo spesso la legge elettorale viene cambiata solo per convenienza, senza puntare alla governabilità e ai diritti dell'opposizione. Detto questo, resto favorevole al maggioritario accompagnato da una riforma della Repubblica in senso presidenziale».Dopo la bocciatura su Rousseau, Di Maio come capo politico ha i giorni contati?«I 5 stelle si stanno facendo male da soli. Non sono il portavoce di Di Maio, ma mi pare sia l'unico leader politico che hanno a disposizione. E la cosa più stupida che puoi fare è indebolire l'unico leader che hai. Del resto, non dispongono di meccanismi di sostituzione: procedono ancora tramite investitura diretta da parte di Beppe Grillo e Casaleggio».Il governo potrebbe cadere sull'Emilia Romagna?«Conquistare quella Regione sarà molto difficile per il centrodestra. Se anche perdessero in Emilia, Pd e M5s resteranno al governo il più possibile. Andare alle elezioni per loro sarebbe un suicidio. Proveranno a durare fino all'elezione del presidente della Repubblica. E non dimentichiamoci le nomine nelle aziende partecipate…».Il popolo delle sardine è un fenomeno informe destinato a sgonfiarsi in fretta? «È un fenomeno che rientra nella capacità della sinistra di autorigenerarsi nei momenti di crisi: ricordo il popolo viola, i girotondi, gli arcobaleno. Prendono un po' di energia dalle piazze, e ripartono. Anche se poi, il più delle volte, la classe dirigente resta quella. Ma la gente che abbiamo visto in strada è sangue del Pd. Non mi pare vogliano costituire qualcosa di nuovo, ma semplicemente richiamare la sinistra alla sua vera responsabilità: occuparsi di risposte vere a problemi reali e non scontrarsi a colpi di slogan. E questo è sacrosanto».A proposito di novità: il nuovo marchio «Azione» di Carlo Calenda pensa possa avere un futuro? «È una persona intelligente e preparata. Ha servito il ministero dello Sviluppo economico con serietà e complessivamente bene. Certo, ha un caratteraccio. Ma se hai carattere, allora hai un pessimo carattere. Ma essendo abituato a convivere con il mio e con quello di Giorgia, gli altri mi sembrano tutti accettabili».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)