2021-04-12
Claudio Borghi «Draghi critica l’Europa più della Lega»
Il deputato del Carroccio: «Positivi i primi due mesi del governo. Non c’è più Conte, che era ormai diventato un pericolo per la Repubblica. Manderei però via il ministro Speranza e vorrei un Parlamento più coinvolto»Claudio Borghi, deputato leghista, già presidente della commissione Bilancio della Camera, ha accettato di stendere con la Verità un primo bilancio dell’esperienza del governo Draghi, a due mesi dall’insediamento. Onorevole Borghi, cos’ha funzionato in questi primi sessanta giorni? Ci dica una cosa positiva.(Sorride) «Non c’è più Giuseppe Conte. Sono convinto che fosse divenuto un pericolo per la Repubblica. Ora invece vedo a Palazzo Chigi una persona di grande esperienza, con la quale si può essere d’accordo o in disaccordo sull’uno o sull’altro tema, ma siamo evidentemente in tutt’altra situazione».Per par condicio, ce ne dica anche una negativa. «Un insufficiente o in qualche caso addirittura mancante coinvolgimento del Parlamento. Scherzando, potrei dire che il premier sarà forse rimasto scottato dalla maratona della fiducia, quando in Aula qualcuno gli raccontò pure il ciclo del glucosio. Ma resta un errore».Inutile girarci intorno: la presenza ingombrante di Roberto Speranza esprime una linea lontanissima da voi… Come va interpretata la frase di Draghi l’altra settimana («l’ho scelto e lo stimo molto»)?«Che poteva dire? Mica poteva rispondere: “Me l’ha messo il Quirinale e non lo stimo…”. Ovvio che difenda la squadra. Mettiamola così: la logica che ha portato alla conferma del ministro è: visto che c’è un’emergenza sanitaria, non possiamo permetterci un “vuoto” legato a un passaggio di consegne. Ma l’argomento non mi convince: se è universalmente accertato che la gestione della pandemia è stata disastrosa, tenersi l’artefice di quella gestione non mi è parsa e non mi pare tuttora una buona idea».Ma si può arrivare a un calendario serrato e ravvicinato di riaperture? «Torno al punto su ciò che non va, e cioè a una fondamentale questione di metodo: questo tema avrebbe dovuto essere trattato in Parlamento. Ormai è chiaro che nel mondo sono state fatte scelte diversissime (aprire, o invece aprire in parte, o invece tenere chiuso): dunque, non è aritmetica, ma politica. I tecnici prospettano ai politici una situazione, e poi è la politica che deve assumersi le sue responsabilità».Quindi lei dice: per prima cosa, discutere nella sede propria e a porte aperte.«Vede, il solo fatto che la decisione avvenga a porte chiuse la rende sgradita ai cittadini. Magari, per assurdo, si poteva arrivare a decisioni simili, ma il solo fatto di esserci giunti in una discussione davanti agli occhi di tutti avrebbe reso tutto più normale e comprensibile. Le faccio io una domanda».Prego.«Ha mai sentito un esponente dei 5 stelle parlare in modo chiaro di aperture e chiusure?».Ovviamente no…«Proprio questo non è normale. Se in Parlamento fossero stati chiamati, come tutti, a esprimersi con chiarezza, anche i loro elettori avrebbero potuto manifestare le proprie rimostranze. È per questo che da mesi dico: cos’è la “cabina di regia”? C’è il Parlamento… Non solo: in Parlamento si sarebbero potuti ascoltare fior di virologi internazionali che dicono cose ben diverse da quelli che ci terrorizzano nei talk show».Nella conferenza dell’altra settimana, Draghi ha detto una cosa ragionevole: legare le riaperture alle vaccinazioni dei più anziani. Il che ha fatto ottimisticamente pensare che i tempi possano accorciarsi…«Da un lato molti inciampi, anche in questo caso, derivano dalla mancanza di discussione di cui dicevo. Dall’altra, capisco anche che ci sia un learning by doing, un aggiustamento progressivo delle cose, una correzione in corsa. Ma ciò implica l’ammissione degli errori commessi: non puoi mantenere l’obbligo per tutti i sanitari, e contemporaneamente prendertela con lo psicologo di 35 anni se fa ciò a cui le tue norme lo costringono…».In un governo simile tutti sono chiamati, politicamente parlando, a tirare la corda dalla propria parte. Speranza lo fa dall’altro lato, mentre tocca a voi convincere Draghi a non dar retta ai chiusuristi. «Attenzione. Questo dovrebbe essere un governo di unità nazionale nato per fronteggiare alcune precise emergenze: vaccinazioni e riaperture, ristori, Recovery plan. Se invece qualcuno ci infila elementi più politici, o addirittura un po’ di lotta di classe, non va più bene. Se sono ministro e penso di fare alcune scelte sulla pelle dell’altra “parte” o “classe”, questo non è lo spirito giusto per un governo di questo tipo».Ma non è che qualcuno aveva fatto intendere a Draghi che lui si sarebbe dovuto occupare essenzialmente del Recovery plan e della manovra? Non è che per caso il premier ha sottovalutato il fatto che proprio da vaccinazioni e riaperture si deciderà la sorte della sua stessa esperienza di governo? «È vero che ogni lavoro, ogni attività, la conosci davvero mentre la fai, non prima. E può anche darsi che qualcuno gli abbia fatto intendere qualcosa del genere. Ma ora il premier sa benissimo che salute ed economia vanno insieme».Qualcuno a sinistra lavora per azzopparlo in vista del Quirinale, considerando che il Pd ha almeno una mezza dozzina di aspiranti?«Se ricorda, nella fase in cui i partiti discutevano sull’opportunità di appoggiare Draghi, io feci presente che Draghi poteva essere autonomo rispetto - diciamo - a un’impostazione politica di sinistra, e che quindi questa circostanza poteva essere un’opportunità da cogliere. Indubbiamente, invece, vedo in area Pd un grande interesse alle faccende - chiamiamole così - “poltrone e Quirinale”».Parliamo della Lega. Avete scelto un posizionamento coraggioso, e cioè stare in questa maggioranza. Ma c’è il rischio di un logoramento in trincea?«Siamo entrati con la speranza e la convinzione di contribuire a cambiare un po’ le cose. E il fatto che sin da subito la nostra scelta abbia creato così tanti imbarazzi a sinistra ne conferma la bontà. Certo, noto con rammarico che spesso siamo soli (e non soltanto dentro il perimetro della maggioranza) a portare avanti certe istanze».Esempio?«Pensi al tema dell’obbligo di vaccinazione sui medici. Noi eravamo contro l’obbligo sia per ragioni di principio sia per motivi pratici. È noto che, se vuoi ottenere un risultato (in questo caso, la vaccinazione), la costrizione rende antipatica e sgradevole ciò su cui invece dovresti creare fiducia. Ma su questo siamo stati soli nell’intero arco parlamentare. Altre volte si riesce a incidere però, come quando abbiamo messo in minoranza il M5s sul “trojan pigliatutto”».C’è molta letteratura sulla dialettica tra ministri della Lega (descritti come governisti) da una parte, partito e Salvini dall’altra (descritti come più esigenti e insoddisfatti). Con la sua proverbiale sincerità, non ci dica che è tutta fiction.«Che in ogni partito Draghi abbia scelto come ministri i “moderati”, è un fatto. Però è sempre rischioso creare “bolle” separate dai partiti, a maggior ragione quando ci sono più partiti e le differenze tendono ad acuirsi. E forse è proprio questa la ragione per cui c’è ritrosia a venire in Parlamento».Lei, insieme ad Alberto Bagnai, guida una componente robustamente eurocritica. C’è spazio per indurre il governo a una linea più assertiva in Ue? Draghi era partito un po’ religiosamente sull’irreversibilità dell’euro (tema quasi mistico), poi però ha dato dei segnali positivi meno scontati («coordinamento se possibile, far da soli se necessario»).(Sorride) «Ah, su questo non possiamo lamentarci. A ogni conferenza, rifila una “botta” all’establishment Ue meglio di come faremmo noi. Certo, se l’avessimo fatto noi, il Pd si sarebbe stracciato le vesti: invece deve abbozzare… Anche su Alitalia, è stato interessante il passaggio in cui ha detto che non tollererà asimmetrie rispetto ad altri».Si può immaginare una battaglia comune sul rinvio del ritorno in vigore (e soprattutto sulla modifica) del Patto di stabilità? «Non vorrei dare l’idea che stiamo diventando “draghiani”. Scherzi a parte, anche nella penultima conferenza stampa, mi era piaciuta la parte in cui spiegava che ora è il momento di spendere, investire “e basta”. Quell’“e basta” vuol dire molte cose dal mio punto di vista».Come sta la vostra community eurocritica? Rumoreggia?«Quando ci sono elezioni in vista, può capitare che magari qualcuno si faccia abbagliare da piccole ambizioni, in cerca di partiti da “zero virgola”. Ma la stragrande maggioranza capisce la battaglia in corso. E sa che da dieci anni diciamo loro la verità».I rapporti con la Meloni. Qualcuno dice: se anche Fdi fosse entrata, il centrodestra avrebbe avuto una golden share pazzesca di oltre 140 senatori, potendo decidere vita, morte e agenda del governo. Lei ha questo rimpianto? «È vero, lo dissi in quei giorni. Non solo: la presenza di Fdi avrebbe ancora alimentato divisioni tra Pd e M5s. E quindi a maggior ragione avrebbe reso la nostra area fortissima nell’ottenere proprio quelle cose che ora, a volte strumentalmente, Fdi chiede da fuori sapendo che non si potranno avere. Per questo, sono deluso dalla loro scelta».Come finisce la vicenda Copasir?«È curioso che in una situazione in cui il Pd ha mille cariche, il problema diventi l’unica posizione occupata dalla Lega. Tra l’altro, il governo è una cosa e il Parlamento un’altra: quando c’è un cambio di maggioranza, tutto è regolato da prassi. E quindi Raffaele Volpi ha fatto bene a rivolgersi ai presidenti delle Camere. Segnalo anche che alla Camera, dove noi siamo 131 e Fdi 36, loro hanno un vicepresidente e un questore. Dopo di che, se il problema è la nostra posizione, gliela si può anche lasciare».A Milano il candidato del centrodestra ancora non c’è, a Roma nemmeno e a Napoli si parla di un pm. Volete per caso far vincere il centrosinistra alle comunali? «No. C’è una difficoltà a trovare dei martiri disposti a candidarsi in una situazione in cui, se non sei di sinistra, potresti consegnare la testa al patibolo poco dopo essere stato eletto. Ma troveremo candidati forti e vincenti».
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)