2022-06-10
Lindo Ferretti torna e scrive la fatica d’amare questa Europa
L’artista torna con «Il libretto rozzo dei Cccp e Csi»: «Chi l’ha iniziata parla di “operazione”, chi sobilla è vittima sacrificabile».La civiltà occidentale riassunta in nove righe esatte: «Ventennio, primo secolo del terzo millennio, schermo tascabile, solitudini accatastate in video, agglomerate in dati, democrazia h24 in diretta, social media e il meteo dà alla testa. Ci si ammala facilmente si muore più del solito, distanziamento sociale, coprifuoco pandemico. Si sta seduti nei concerti all’aperto, contingentati. Bologna, Verona, Cervia, Padova, Torino, Colle Val d’Elsa, Pordenone, Bologna, in teatro a Faenza, l’ultima volta». Giovanni Lindo Ferretti è sempre stato maestro di sintesi, raffinato alchimista delle parole al punto da dire tutto della nostra società usandone solo tre: «Produci, consuma, crepa». In quel verso (che nel brano Morire veniva ripetuto con ossessione da catena di montaggio) era contenuto il senso profondo della «società libera» che si andava edificando appena scavallata la metà degli anni Ottanta. Oggi quel testo indimenticabile riaffiora dalle pagine de Il libretto rozzo dei Cccp e Csi, volume uscito in origine negli anni Novanta, divenuto leggendario, e meritoriamente riproposto in nuova versione dall’editrice Gog. Tra le altre piacevolezze, il libro offre un testo scritto da Giovanni Lindo nel marzo di quest’anno. Non molte righe, a dire il vero, ma sufficienti a restituire al lettore una potente visione del mondo, una critica più costruttiva ed efficace di migliaia di articoli e documenti politici. Ferretti parla di economia, di religione, di Covid e di guerra. Ma non ha, come tanti, «una posizione», una opinione da trasformare in bandierina. Ha, semmai, un ben chiaro punto di osservazione. Quello, par di capire, di uno che vede la nostra civiltà perdersi, disperatamente, nel poundiano «naufragio d’Europa». Le canzoni scandiscono il ritmo dell’analisi. «Curami all’inizio non volevo proprio cantarla», scrive a proposito di uno dei pezzi più famosi. «La volevano musicisti e pubblico, ho fatto fatica a ritrovare tono e ritmo e intenzione, ho aggiunto poche parole, Kirill il Patriarca, Putin il presidente, Gran Madre Russia, Ortodossia: solo una terapia… solo una terapia… terapia… terapia… come in trance». Da qui, è ovvio, si entra nel ginepraio ucraino. Ferretti fornisce una fotografia nitida ma dolorosa da osservare: «Che dire? Molte troppe ottime ragioni. La realtà travalica le canzoni. Che fare? Non posso cambiarla non voglio cantarla, a cuor contrito le cose vanno allo scontro, irrimediabilmente. L’Intelligence, da remoto, allestisce lo spazio addestra esecutori circuendo comparse, l’Aquila americana spennata nei bazar nidifica in Europa, il permafrost si squaglia, l’Orso russo uscito dal letargo barcolla intrappolato molto incattivito nel cortile di casa U.E.?? U.E.!!». Giovanni Lindo sfocia nella poesia geopolitica: «Il Celeste Impero sorride a denti stretti, la Sublime Porta sogna ottomano Aghia Sophia, l’Ortodossia sotto attacco, ancora combattente il Vaticano è in atto la più drammatica e pericolosa crisi del dopo Yalta, la guerra dopo aver massacrato quel pezzo di mondo che partendo dall’Afghanistan scende nella Mezzaluna fertile, ha distrutto Siria, Libano, ribolle nello Yemen, in Libia, e fa la sua comparsa in Europa. Ola al G7. La Jugoslavia già dimenticata mentre accadeva, il Kosovo mai pervenuto. Ora chi l’ha iniziata la chiama operazione militare, fallimentare, chi l’ha sobillata e l’invoca, conto terzi, è vittima sacrificale/sacrificabile e alza il tiro postando innocenza democratica. Ola in Nato».Difficile obiettare. Ragioni e torti sono equamente distribuiti, molte ipocrisie sono svelate. Ma, soprattutto, Ferretti inquadra alla perfezione lo stato di salute del nostro sistema mediatico: «Un format ben studiato, casting eccellente: ribalta i palinsesti, l’economia e i ragionamenti. Povera povera Ucraina, terra di frontiere. Massacrata, sfollata, figurante della comunicazione. Storia e Geografia, entità gravose, carnali quindi sanguinarie, pericolose da maneggiare, contro Cronaca in diretta, l’attimo mediatico. Umanitaresimo politico in connessione sanguinolenta». La psicosi informativa è restituita nella sua drammatica interezza. Siamo in effetti, come dice Giovanni Lindo, nel «regno idiota dello schermo». Abbiamo vissuto «un lungo autunno pandemico, qualche giorno d’inverno, qualche ora di neve arida primavera, previsioni di una estate torrida e vacanziera». E adesso ci ritroviamo, d’un colpo, buttati in un nuovo carnaio informativo, nell’ennesimo spettacolo catodico-internettiano che non riesce a cogliere bene nemmeno la superficie degli eventi. Siamo in preda ad antichi deliri, e a pericolose derive. Di sicuro, mentre scriveva a marzo, Ferretti non poteva sapere che sarebbe arrivato il momento delle liste dei putiniani immaginari, del linciaggio a mezzo stampa. Però aveva intuito tutto. E senza fare concessioni a nessuno, senza schierarsi nel gioco triste del bar, ha lanciato la sua freccia: «So come era la Russia prima di Putin», afferma. «Come piacerebbe all’Occidente, alle Pussy Riot, alla Nato, a tanta bella/buona/brava gente. Eccomi nelle liste di proscrizione democratica». Di nuovo una sintesi perfetta, un’intuizione formidabile, una sincerità cristallina. E la consapevolezza della cappa di conformismo che continua a schiacciarci. Chissà, magari adesso diranno che Giovanni Lindo è sempre il solito vecchio punk filosovietico, che è un nemico dell’Occidente perché anti liberale, che è bollito, incattivito, provocatore senza ritegno, cattolico imbigottito. A noi sembra piuttosto che sia un artista sensibile che l’Occidente lo ama eccome, e per questo vorrebbe salvarne le identità, le tradizioni, il cuore e soprattutto l’anima. A ben vedere, non c’è altra via di uscita che questo disperato amore. Se si osservano lo scempio nichilista e la dissoluzione che ci avvolge, solo una canzone struggente è possibile dedicare a questa Europa affranta: «Amarti m’affatica, mi svuota dentro, qualcosa che assomiglia a ridere nel pianto».