
Nessuno considerava «Soldi» fra i brani favoriti, ma l'ideologia pesa più di tutto. Se Mahmood si fosse chiamato Michele, avrebbe perso...Ma se si fosse chiamato Michele, se fosse stato perdutamente italiano, se il suo genere musicale non fosse stato il Marocco pop, come lui stesso lo definisce, Alessandro Mahmoud o Mahmood avrebbe vinto Sanremo? Non sono un esperto di canzoni, non seguo Sanremo, non pretendo di giudicare una canzone. E trovo Mahmood un ragazzo simpatico, e probabilmente un bravo cantante. Ma se la giuria popolare aveva indicato un altro cantante, se la platea di Sanremo è insorta per il verdetto, se i mass media davano per favorite altre canzoni, se i critici non avevano ritenuto che la canzone del ragazzo italoegiziano svettasse sulle altre, allora mi chiedo: qual è il valore aggiunto, la ragione decisiva del premio a Mahmood? È il messaggio, come già hanno cominciato a dire i media, ossia premiare un ragazzo di nome Mahmood, metà italiano e metà egiziano, il suo stile canoro arabo, il suo genere Marocco pop. Fosse stato il più bravo, il migliore, nulla da eccepire. Ma è il messaggio che giustifica il premio. Del resto che quel ragazzo, nel giro di due mesi, con sua somma sorpresa, come ha candidamente detto ai microfoni, vinca prima Sanremo giovani e poi Sanremo-Festival, non vi fa capire che la motivazione determinante sia proprio quella? Quel messaggio è sempre - ma guarda un po' - una prevedibile polemica con il tempo di Matteo Salvini e gli sbarchi negati dei migranti. GlobaleOltre che global, Mahmood è italiano a tutti gli effetti, ha tutti i diritti degli italiani; non dovrebbe essere né discriminato né favorito per la sua origine o per il suo mix.Non voglio aggiungere altro su Sanremo, se non gli auguri più sinceri al vincitore. Però lasciatemi dire che questa furbizia di usare anche un festival canoro, anzi il Festival della canzone italiana, per lanciare il solito messaggino e riprendere la solita menata global, mi pare un tantinello meschino, oltre che scontato, risaputo, e anche un po' ruffiano, moralista e conformista. Invece ancora una volta ha vinto il messaggio che gli italiani migliori sono sempre i meno italiani e il più possibile stranieri o ponte con gli stranieri. C'è chi sventola la bandiera francese e tifa perfino per Emmanuel Macron, detestato in patria, pur di fare un dispetto a Salvini e agli italioti. C'è chi parteggia per Jean-Claude Juncker e Pierre Moscovici, per il Fondo monetario internazionale e per tutti quelli che vogliono penalizzarci, avviare procedure d'infrazione, farci passare i guai. E c'è chi è dalla parte degli immigrati clandestini qualunque cosa facciano. Essi ritengono gli sbarchi un imperativo categorico a cui non possiamo sottrarci e hanno questa strana idea del diritto: chiunque decida di venire a vivere da noi ha diritto a farlo e non ha bisogno nemmeno del passaporto. Il suo desiderio coincide con il suo diritto. I nostri diritti, invece, coincidono col nostro dovere di accoglierli. Benvenuti a Bergoglia, un tempo chiamata Italia.In questo contesto capite bene perché si premia un cantante che evoca il mondo arabo e il melting pot, anziché un altro cantante tristemente nostrano. E la cosa non riguarda solo la canzone, come ben sappiamo; altri premi nel mondo del cinema e della letteratura e in ogni altro campo vedono ormai vigente un solo codice: priorità a chi è nero, arabo, rom, oppure gay, lesbica, trans, discendente alla lontana di deportati ma non dai gulag comunisti, e altri ancora, oltre che i disabili. Ora, vi prometto, non farò più polemica coi premi attribuiti a tutto quanto odori di politically correct, di razzismo etico, di valorizzazione oltre ogni valutazione onesta delle categorie ideologicamente protette. Anzi, visto che ci siamo, desideroso di rispettare le idee o ideologie altrui, volendo cercare di conciliare la realtà con la sua rappresentazione, le cosiddette élite con la plebe, il merito con la «correttezza», suggerisco di adottare d'ora in poi un metodo rivoluzionario. Lo chiamerò il Manuale Spike Lee, variante nero-americana del Manuale Cencelli, quello che veniva usato da noi per la lottizzazione. Prende il nome dal regista nero che ovunque, nei premi cinematografici come nelle assunzioni, nell'alta moda e in ogni altro ambito, chiede la quota obbligatoria di neri, indipendentemente dal merito e dalla capacità. Ecco la proposta: d'ora in poi ogni festival musicale, ogni rassegna cinematografica, ogni premio letterario e artistico, ogni concorso di miss, ogni riconoscimento pubblico sia sdoppiato in due sezioni: un premio lo attribuiamo al tapino che lo merita, e un altro premio lo attribuiamo a chi esprime il politically correct. Ovvero a chi appartiene alle categorie protette di cui sopra o tratta temi inerenti le stesse categorie, con animo «correct». Poi magari la fabbrica dei media valorizzerà più questi ultimi. Ma salvate per favore quella piccola, valorosa categoria di chi riceve premi per canzoni, film, libri, opere d'arte, di moda, perfino Nobel, o di che volete voi, solo perché lo hanno meritato. Chiedo troppo, è razzismo ammettere almeno due criteri selettivi? Premio doppio per accontentare tutti.
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 novembre con Carlo Cambi
Martin Sellner (Ansa)
Parla il saggista austriaco che l’ha teorizzata: «Prima vanno rimpatriati i clandestini, poi chi commette reati. E la cittadinanza va concessa solo a chi si assimila davvero».
Per qualcuno Martin Sellner, saggista e attivista austriaco, è un pericoloso razzista. Per molti altri, invece, è colui che ha individuato una via per la salvezza dell’Europa. Fatto sta che il suo libro (Remigrazione: una proposta, edito in Italia da Passaggio al bosco) è stato discusso un po’ ovunque in Occidente, anche laddove si è fatto di tutto per oscurarlo.
Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi (Ansa)
Giancarlo Giorgetti difende la manovra: «Aiutiamo il ceto medio ma ci hanno massacrati». E sulle banche: «Tornino ai loro veri scopi». Elly Schlein: «Redistribuire le ricchezze».
«Bisogna capire cosa si intende per ricco. Se è ricco chi guadagna 45.000 euro lordi all’anno, cioè poco più di 2.000 euro netti al mese forse Istat, Banca d’Italia e Upb hanno un concezione della vita un po’…».
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dopo i rilievi alla manovra economica di Istat, Corte dei Conti e Bankitalia si è sfogato e, con i numeri, ha spiegato la ratio del taglio Irpef previsto nella legge di Bilancio il cui iter entra nel vivo in questa settimana. I conti corrispondono a quelli anticipati dal nostro direttore Maurizio Belpietro che, nell’editoriale di ieri, aveva sottolineato come la segretaria del Pd, Elly Schlein avesse lanciato la sua «lotta di classe» individuando un nuovo nemico in chi guadagna 2.500 euro al mese ovvero «un ricco facoltoso».






