2024-11-10
Libertà di parola garantita per tutti. Dagli Usa la riscossa contro i censori
Sotto l’impulso di Elon Musk, che rilancia suoi vecchi discorsi sull’argomento, Donald Trump è chiamato a sconfiggere i fanatici del bavaglio. Il piano: via i «fact checkers» dalle istituzioni. La direzione è opposta al Digital service act dell.si azzannano fra loro per incolparsi della sconfitta. Ma le braci del risentimento ardono ancora sotto la cenere e presto l’incendio tornerà a divampare, ossigenato dal furore ideologico. Già su qualche giornale - ad esempio il raffinato Salon - si legge che Donald Trump la farà pagare alla stampa che lo ha osteggiato, «si vendicherà con una restrizione della libertà di parola». E non c’è dubbio che a breve i giornali italiani inizieranno a ripetere il ritornello, del resto già sostengono che la democrazia americana sia al tramonto. Il fatto, però, è che se c’è qualcuno in grado di smantellare i meccanismi che oggi impediscono o limitano la libertà di espressione negli Stati Uniti (e non solo), quel qualcuno è Trump. Quanti oggi frignano per la fine della democrazia e firmano petizioni per questo o quell’altro intellettuale di sinistra che sarebbe stato discriminato, regolarmente dimenticano quanto accaduto negli ultimi anni. Fingono di non vedere le briglie con cui la fissazione democratica per l’inclusione e la diversità ha avvinto la libera espressione delle idee. Fingono di non sapere quanto la mentalità woke abbia ristretto il campo del pensiero, emarginando e demonizzando le voci dissenzienti. Dall’industria dell’intrattenimento alle università, il progressismo ha ingabbiato la mente occidentale, producendo una ondata censoria senza precedenti che abbiamo a imparato a identificare come cultura della cancellazione. La vittoria di Trump è, in parte, una reazione a tutto questo. Ma, soprattutto, potrebbe essere un vero antidoto al veleno gnostico woke. L’insistenza sul free speech è un cavallo di battaglia di Elon Musk, che ne ha fatto la bandiera di X, e che continua in queste ore a pubblicare vecchi discorsi in cui The Donald snocciola promesse importanti sull’argomento. Qui però non si tratta di garantire una discussione appena più aperta su un social network che, dopo tutto, continua a essere una sentina di risentimento e aggressività verbale. Si tratta, semmai, di togliere il bavaglio a mezzo mondo, eliminando la mistificazione che da anni impera. Nel dicembre del 2022, The Donald pronunciò un discorso pregnante in cui promise: «Quando sarò presidente, l’intero sistema marcio di censura e controllo delle informazioni verrà estirpato dal sistema. Non resterà nulla. Ripristinando la libertà di parola, inizieremo a rivendicare la nostra democrazia e a salvare la nostra nazione. Se si permette a questo diritto fondamentale di perire, allora il resto dei nostri diritti e delle nostre libertà cadranno proprio come tessere del domino. Ecco perché oggi annuncio il mio piano per mandare in frantumi il regime di censura di sinistra».All’epoca, Trump presentò un piano molto concreto, articolato in cinque punti. Il primo consisteva nella emanazione, non appena entrato in carica, di una direttiva presidenziale che vieterebbe agli organi federali di collaborare con organizzazioni private per applicare restrizioni alla libertà di parola. Che cosa significa, nella pratica? Che le istituzioni pubbliche smetterebbero di rivolgersi ad agenzie di cosiddetti fact checkers, figure che negli anni sono divenute l’avanguardia della censura. Dietro la maschera della neutralità e della caccia alle fake news, questi soggetti hanno pesantemente influito sulla possibilità di pubblicare contenuti in Rete e non solo. Sono gli stessi soggetti a cui pensa di rivolgersi, tanto per fare un esempio, l’Unione europea nell’ambito del Digital services act. È avvalendosi di censori professionisti come questi che, ad esempio, Facebook e altri social facenti capo a Meta hanno oscurato le notizie sul Covid durante la pandemia e hanno contemporaneamente nascosto le informazioni sulle attività dei Biden in Ucraina. L’oscuramento è stato rivelato pubblicamente da Mark Zuckerberg non molte settimane fa, ma sembra che l’evento non abbia provocato molto scandalo. Anche se, con tutta probabilità, l’uscita del fondatore di Facebook è da leggersi alla luce dei piani di Trump per la rimozione della mordacchia (forse anche Zuck ha interesse a mostrarsi conciliante per evitare guai). Tra gli interventi previsti da The Donald ce ne sono guarda caso due che sembrano fatti apposta per i social. Egli infatti aveva annunciato indagini del dipartimento di Giustizia sulle attività di censura, cosa che potrebbe portare ad azioni penali per violazioni delle libertà civili e delle normative elettorali. Esplicitamente rivolta alle Big Tech è invece la modifica delle misure di sicurezza della Sezione 230 per garantire che le aziende tecnologiche siano responsabili della supervisione dei contenuti pregiudizievoli. Si tratta della famigerata Sezione 230 del Communications Decency Act del 1996. Ventisei righe in cui si stabilisce che «nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi». Trump da tempo insiste per modificare o cancellare questo passaggio, dietro al quale le aziende digitali si nascondono pur continuando a esercitare un controllo dei contenuti con parvenza di scientificità. Se la sezione 230 fosse modificata, le società tecnologiche diventerebbero responsabili della supervisione dei contenuti e dovrebbero rendere conto delle censure. Infine c’è in ballo la realizzazione di un Digital Bill of Rights, una carta dei diritti che tutelerebbe le libertà dei cittadini online. Alla università si rivolge il quinto punto del piano che prevede sanzioni - tra cui la riduzione delle sovvenzioni federali - per gli atenei che non consentono la libertà di espressione. Questa forse è la parte più controversa del progetto. Se è vero che potrebbe eradicare la cultura woke dall’Accademia è anche vero che con la scusa della lotta all’antisemitismo e del contrasto alle frange intolleranti dei pro Pal si potrebbe giungere ad altre forme repressive. Vedremo cosa farà Trump di tutte queste idee che in queste ore Musk rilancia con entusiasmo. Fra qualche mese scopriremo quanto (e quando) sarà realizzato di questo piano. Resta che, di tutto quel che Trump propone, questa battaglia per il free speech è forse la parte centrale. O, almeno, la più importante per le sorti della cultura occidentale, a cui solo un po’ di circolazione di libere idee potrebbe impedire di suicidarsi.