2021-10-27
Uk, Lgbt all’assalto delle quote rosa
L'idea del direttore della Consob inglese e dirigente dell'associazione Stonewall: pure i maschi che si sentono femmine vanno inclusi nei posti riservati alle donne nei cda.Le istanze arcobaleno non si fermano nemmeno davanti alle quote rosa. Nel Regno Unito, infatti, sta montando la polemica per l'ennesima controversa proposta (ma potremmo forse dire, quasi, imposizione) della lobby Lgbt. Accade infatti che, molto presto, migliaia di grandi aziende inglesi (come Sainsbury's, Unilever e Astrazeneca) saranno obbligate a comunicare il numero di donne presenti nei consigli di amministrazione. La quota minima suggerita è del 40%, con la raccomandazione che almeno una delle posizioni di vertice sia al femminile. I target richiesti dovrebbero aiutare a valutare e correggere le differenze di retribuzione tra maschi e femmine a parità di prestazioni e inquadramento, il cosiddetto «gender pay gap».Tutto bene, fin qui. Se non fosse che, anche il diritto all'equità salariale ormai deve passare attraverso il filtro arcobaleno. Come scrive il Times, infatti, la proposta delle quote rosa nei cda è stata avanzata dal Financial Conduct Authority (Fca), l'organismo di regolamentazione finanziaria del Regno Unito che dovrebbe tutelare i consumatori, la concorrenza e i mercati finanziari, regolando la condotta di tutte le società del settore dei servizi finanziari, incluso banche, assicurazioni, consulenti finanziari e broker (in pratica, la nostra Consob). E qui arriva il bello: secondo la proposta del direttore esecutivo di Fca per il settore Consumatori e concorrenza, Sheldon Mills, nella quota delle donne che siedono nei cda andrebbero computati anche gli uomini che si identificano col sesso opposto. La condizione, oltre che grottesca, appare lunare, dato che nel Regno Unito non è ammessa l'autocertificazione di genere (il cosiddetto self-id, presente nel ddl Zan). Ma perché, un ente regolatore, dovrebbe avanzare una proposta del genere? È presto detto: Sheldon Mills, direttore esecutivo di Fca, è anche un dirigente di Stonewall, la più grande e potente organizzazione Lgbt inglese. Il conflitto di interesse è evidente e, infatti, il dibattito sulla questione nel Regno Unito si sta accendendo. «Lo sforzo per condizionare ogni compagnia ad agire secondo regole pensate in conformità con gli auspici di Stonewall è contrario alle leggi vigenti», scrive il Times (come dimenticare l'indicazione, data da Stonewall, alle organizzazioni aderenti al programma «Diversity Champions», di mettere al bando dai documenti la parola «madre» e sostituirla con «persona che ha partorito»). «L'Equality Law del 2010 riconosce solo il sesso legale, non l'identità di genere, e non esiste nella legge britannica il diritto di autodichiarare il proprio sesso. Le linee guida della Fca rischiano pertanto di mettere in rotta di collisione le compagnie coi loro dipendenti che hanno caratteristiche protette sulla base delle leggi sull'uguaglianza esistenti, i quali potrebbero sostenere che i loro diritti sono stati violati», continua il Times. E infatti, una misura volta a favorire l'equità sui posti di lavoro e a tutelare le donne da trattamenti sfavorevoli rispetto ai colleghi rischia di essere annacquata in nome dell'ossessione per la fluidità e l'identità. Infatti, con questi criteri, un uomo, che mai nella vita ha quindi subito alcuna discriminazione e frenata alla sua carriera per il suo sesso, potrebbe occupare il posto riservato a una donna, di fatto, sottraendoglielo. In più, l'applicazione di tale regola offrirebbe una fotografia distorta dell'effettiva composizione dei cda, comportando una sottovalutazione del gender pay gap. Ai danni delle donne. I soggetti che, ricordiamo, in nome di una fantomatica inclusione, i paladini arcobaleno insistono a chiamare «persone con utero».
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