2019-04-14
Siamo arrivati alla pulizia etnica delle fragilità
Dopo il caso di Alessandra, «terminata» per depressione alla clinica Dignitas, torna il dibattito sul fine vita. E si rafforza il timore di molti: sui temi etici, quando si apre un pertugio si crea subito una voragine.L'immenso orrore si è spalancato davanti ai nostri occhi. Basta saperlo guardare. Basta volerlo guardare. Il fatto è che la maggior parte delle persone preferisce girare la testa dall'altra parte. E così, magari, sfugge il senso della storia che la Verità ha raccontato nei giorni scorsi. Se una quarantenne depressa, si badi bene: soltanto depressa, non malata, non terminale, non Dj Fabo, senza tumori o patologie irreversibili, soltanto depressa, non malata non terminale, non Dj Fabo, senza tumori o patologie irreversibili, soltanto depressa, perfettamente curabile e per il resto in buona salute, se una quarentenne così sceglie la clinica della morte in Svizzera, ebbene, vuol dire che questa nostra società sta arrivando laddove temevamo arrivasse: all'eliminazione sistematica dei deboli. Allo sterminio di chi è in difficoltà. Alla pulizia etnica delle fragilità. Ma sì: basta avere un cedimento, basta stare indietro un passo, basta non tenere, per un istante, il ritmo assurdo imposto dalla civiltà bytes e i-phone, e ti indicano la via d'uscita. Fatti più in là. Sparisci per sempre. Ammazzati.È terribile, ma è così. Alessandra aveva 47 anni e viveva in Sicilia. Una donna bella, dicono, una donna solare per buona parte della sua esistenza. Un matrimonio alle spalle, finito, come tanti, con un divorzio. Una famiglia che si è preoccupata per lei. I nipoti che la cercano ancora. Alessandra era un'ex insegnante, amava i suoi alunni, era riamata da loro. Ma da due anni se ne stava chiusa in casa perché era depressa. E aveva male al collo. Ma sì: sindrome di Eagle, in pratica una specie di supercervicale, un'infiammazione perfettamente curabile, anche da uno specializzando in medicina. Avrebbe potuto guarire. Avrebbe potuto vivere. Avrebbe dovuto vivere. A 47 anni c'è ancora il futuro davanti agli occhi, tanti amici da trovare, viaggi da inventare, città da scoprire. E il mare da guardare sulle spiagge della Sicilia, una terra così bella da essere feroce. E allora perché anziché aiutarla a vivere abbiamo aiutato Alessandra a morire? Non so darmi pace. E continuano a risuonarmi nelle orecchie le parole di Emilio Coveri di Exit, l'associazione cui la donna si era rivolta. Ha detto: «Io farei l'eutanasia a chiunque, senza neanche guardare la cartella clinica». Non è una descrizione perfetta dell'esecuzione di massa in atto? Avanti, tutti in fila: sei depresso? Ammazzati. Sei triste? Ammazzati. Hai litigato con il marito? Ammazzati. Che cosa aspetti? Fatti sotto. Ti fa male il collo? Ammazzati. Ti senti solo e abbandonato? Ammazzati. C'è un'occasione per te in Svizzera. C'è un'occasione per tutti. Ammazzati. Costa solo 10.000 euro. Come anti depressivo è un po' caro, si capisce. Però ha un vantaggio: lo devi comprare una volta sola. Il capolavoro si sta compiendo. Abbiamo tolto ogni senso alla vita, ora passiamo a togliere direttamente la vita. È ovvio, no? Di fronte alla sconforto non abbiamo più risposte. Non abbiamo nemmeno tempo da perdere, visto che incombe la prossima diretta Instagram. Si può rovinare la diretta Instagram con un depresso? E allora facciamo in fretta: se c'è qualcuno che si sente a disagio bisogna aprirgli subito le porte della clinica svizzera. Senza nemmeno sapere chi è, come sta, che vita fa, di che cosa soffre. Senza nemmeno chiedergli le analisi mediche. Non servono. L'unica cosa che serve è la preparazione metodica del viaggio. Si capisce, il tour della morte non deve aver sbavature né via d'uscita: martedì sistemazione in albergo, giovedì gita sulle rive del lago con annessa iniezione, venerdì cremazione. E così sia. Quando, ormai tanti anni fa, è cominciata in Italia la battaglia sull'eutanasia qualcuno osava mettere in guardia dal pericolo: sui temi etici non si scherza. Se si apre un pertugio, diventa una voragine. Se rotola un sasso, poi diventa una frana. È successo con l'aborto: una volta introdotto è stato banalizzato al punto da diventare pratica anticoncezionale. È successo con la fecondazione artificiale: una volta introdotta ha aperto le porte a uteri in affitto e compravendita di ventri materni. È successo con l'eutanasia che ha commosso tutti con i casi scelti di Welby e Dj Fabo (come fai a dire di no a Dj Fabo che chiede la morte?) ed è arrivata, nel giro di un amen, alla soppressione dei depressi.Perché, diciamocelo, il problema non è mai stato l'accompagnamento alla morte di chi soffre. Quello lo si è sempre fatto, da che mondo e mondo, nella silenziosa complicità di medici, familiari e pazienti. Chiunque abbia esperienza di parenti in fin di vita, in coma o malati incurabili, sa che c'è sempre un punto di non ritorno, in cui gli occhi pietosi s'incrociano con assensi più o meno espliciti e definitivi. L'eutanasia si è sempre fatta nelle corsie d'ospedale, in questo senso, ovviamente, come momento di umana pietà. Il guaio è stato quando si è trasformata in una bandiera, in un vanto, in una battaglia ideologica, ancor prima che giuridica, e quindi in un'industria. L'industria della morte. Sistemazione in albergo e tour sul lago compresi. Perché da lì, inevitabilmente, come era prevedibile, è partita la corsa all'abisso che ci aspetta. E che la Corte costituzionale ha ordinato al Parlamento italiano di avvicinare. Se crolla la barriera etica, infatti, se crollano il pudore e il rispetto, se il fine vita diventa una macabra conquista da sbandierare, poi nessuno è più in grado di fermare l'orrore. Che già ora si sta spianando davanti agli occhi, soltanto a volerlo vedere. L'eliminazione dei depressi. L'eliminazione dei deboli. L'eliminazione degli anziani non più produttivi. L'eliminazione degli anziani che si sentono un peso. L'eliminazione di chiunque non sappia tenere il passo e il ritmo di una società che ha perso lo slancio vitale e forse perciò ricopre tutto di morte. Anche una quarantenne siciliana che aveva mal di collo e tanti anni da vivere ancora.