Nel testo condiviso tra gruppi parlamentari sulla riforma fiscale c'è un cenno al riordino della tassazione, preannuncio di spaccature. Esiste invece accordo su altro. Dal taglio dell'aliquota sul capital gain alla rischiosa minor tutela della privacy
Nel testo condiviso tra gruppi parlamentari sulla riforma fiscale c'è un cenno al riordino della tassazione, preannuncio di spaccature. Esiste invece accordo su altro. Dal taglio dell'aliquota sul capital gain alla rischiosa minor tutela della privacyEntro martedì il governo si occuperà del rinvio delle cartelle esattoriali con l'obiettivo di spostare gli invii da mercoledì a fine agosto. Ma soprattutto il decreto dovrà approvare il congelamento provvisorio di ben 71 tra versamenti e dichiarazioni fiscali previsti anch'essi per questo mercoledì. Un passaggio atteso, ma che è una semplice toppa. Il premier sa bene che prima o poi serve tirare una linea per lasciarsi indietro il buco di gettito provocato dalla pandemia e guardare al futuro fatto da un nuovo impianto fiscale. Mario Draghi ne ha parlato più volte. È stato un passaggio importante del discorso con cui ha chiesto la fiducia all'Aula. È stato anche un tema clou della sua prima conferenza stampa. In quell'occasione ha detto che prima ci si occupa dell'emergenza e della vaccinazione degli italiani e solo dopo avrebbe avuto modo di indicare agli italiani il suo punto di vista sulle tematiche economiche. Con il passare delle settimane ha lasciato trapelare solo scorci del Draghi pensiero salvo prendere il microfono e stoppare Enrico Letta. Il segretario del Pd ormai un mese fa ha proposto una patrimoniale per finanziare l'elemosina per i giovani. Una sorte di dote da 10.000 euro per sovvenzionare qualche sogno estivo. A più non servirebbe. Draghi ha tagliato corto: «Non è il momento per togliere dalle tasche degli italiani, semmai i soldi vanno dati». Il problema è che il segretario piddino insiste e nel testo condiviso tra gruppi parlamentari al lavoro per la riforma fiscale esiste un paragrafo dal titolo «Riordino della tassazione patrimoniale a parità di gettito». Grazie al cielo esiste solo il titolo. Nulla di scritto nel paragrafo. Perché oltre al Pd e Leu nessun altro vuole percorrere questa strada. Il che però non significa che bisogna abbassare la guardia. La fregatura stavolta coinciderebbe con l'inganno. Quando si scrive a parità di gettito si assiste poi a un riordino che finisce per colpire maggiormente alcuni scaglioni o alcuni settori del Paese. Motivo per cui le due anime della maggioranza sono decisamente spaccate. Mentre c'è ampia condivisione sull'abbassamento delle tasse sul terzo scaglione dell'Irpef con una revisione del meccanismo delle aliquote che gravano sui redditi del ceto medio dipendente, su flat tax e patrimoniale il Pd e la Lega sono su fronti opposti, compreso il tema del regime forfettario. Si vedrà se in 5 giorni le interlocuzioni che si succedono porteranno a un accordo o «il nodo» sarà rimosso dal percorso della riforma, perché questa ha i tempi contingentati imposti dal Pnrr. In mancanza di intesa politica però, secondo Alberto Gusmeroli, vicepresidente della commissione Finanze della Lega, il governo potrebbe non procedere. «Draghi è stato chiaro, mi sembra», ha detto ieri, «Palazzo Chigi andrà avanti a condizione che ci sia l'accordo politico e comunque sulle parti della riforma sulle quali l'accordo politico c'è». Le parti sulle quali l'accordo c'è non mancano e anzi sono tutti gli altri 13 punti. Compresi quelli della spina dorsale della riforma: una revisione delle aliquote dell'Irpef che porti a un riduzione della tassazione sui redditi Irpef da lavoro, in particolare sul terzo, e più tartassato, scaglione (28.000-55.000 euro). Al momento, non c'è ancora una linea comune su come si interverrà tecnicamente sulle aliquote (sistema tedesco con aliquota continua oppure intervenendo su scaglioni, aliquote e detrazioni), in ogni caso il beneficio del bonus Renzi verrà assorbito dall'aliquota. Accordo raggiunto anche sul superamento dell'Irap che grava sulle imprese e che dovrebbe essere riassorbita nei tributi attualmente già esistenti, il tutto nell'ottica di una maggiore semplificazione. Le commissioni sono anche concordi nel rivedere la disciplina delle aliquote Iva con una semplificazione e una possibile riduzione dell'aliquota ordinaria oggi al 22% attraverso una specifica «delega al governo» che quindi potrebbe valutare la possibilità di reintrodurre un'aliquota più alta per i beni di lusso. Due elementi meritano infine una menzione a parte. Uno positivo e l'altro carico di incognite. Dal testo attualmente al vaglio delle commissioni si evince la possibilità di parificare il capital gain alla aliquota più alta sul prelievo Irpef. Se questa scendesse al 23%, i risparmiatori si troverebbero con un importante vantaggio. Tutti gli investimenti (tranne i titoli di Stato) sono tassati al 26%. L'alleggerimento porterebbe a un forte incentivo e all'utilizzo della liquidità ferma sui conti correnti. Al momento una cifra superiore al 1.715 miliardi. Più movimentazioni significherebbero maggiori flussi sui fondi e a cascata anche sull'economia reale. Cosa di cui il Paese ha estremo bisogno. Dubbi invece sul tema evasione e privacy. «A fronte dei numerosi episodi in cui il pieno dispiegamento dei benefici della digitalizzazione è stato impedito da considerazioni inerenti il rispetto della tutela della privacy», si legge nella bozza, «le commissioni ritengono non sia più rinviabile una riflessione inerente un nuovo contemperamento dei principi di tutela della privacy con quelli di contrasto all'evasione fiscale, finalizzato a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno realizzarsi dei vantaggi derivanti dalla crescente digitalizzazione degli adempimenti fiscali». Il passaggio apre a scenari da valutare attentamente soprattutto se sommati all'imminente arrivo della blockchain e dell'euro digitale. Dal controllo invasivo all'esproprio con la fine della banconota al portatore è un attimo.
Francesco Filini (Ansa)
Parla il deputato che guida il centro studi di Fdi ed è considerato l’ideologo del partito: «Macché, sono solo un militante e il potere mi fa paura. Da Ranucci accuse gravi e infondate. La sinistra aveva militarizzato la Rai».
Francesco Filini, deputato di Fratelli d’Italia, la danno in strepitosa ascesa.
«Faccio politica da oltre trent’anni. Non sono né in ascesa né in discesa. Contribuisco alla causa».
Tra le altre cose, è responsabile del programma di Fratelli d’Italia.
«Giorgia Meloni ha iniziato questa legislatura con un motto: “Non disturbare chi vuole fare”. Il nostro obiettivo era quello di liberare le energie produttive».
Al centro Joseph Shaw
Il filosofo britannico: «Gli islamici vengono usati per silenziare i cristiani nella sfera pubblica, ma non sono loro a chiederlo».
Joseph Shaw è un filosofo cattolico britannico, presidente della Latin Mass Society, realtà nata per tramandare la liturgia della messa tradizionale (pre Vaticano II) in Inghilterra e Galles.
Dottor Shaw, nel Regno Unito alcune persone sono state arrestate per aver pregato fuori dalle cliniche abortive. Crede che stiate diventando un Paese anticristiano?
«Senza dubbio negli ultimi decenni c’è stato un tentativo concertato di escludere le espressioni del cristianesimo dalla sfera pubblica. Un esempio è l’attacco alla vita dei non nati, ma anche il tentativo di soffocare qualsiasi risposta cristiana a tale fenomeno. Questi arresti quasi mai sono legalmente giustificati: in genere le persone vengono rilasciate senza accuse. La polizia va oltre la legge, anche se la stessa legge è già piuttosto draconiana e ingiusta. In realtà, preferiscono evitare che questi temi emergano in un’aula giudiziaria pubblica, e questo è interessante. Ovviamente non si tratta di singoli agenti: la polizia è guidata da varie istituzioni, che forniscono linee guida e altro. Ora siamo nel pieno di un dibattito in Parlamento sull’eutanasia. I sostenitori dicono esplicitamente: “L’opposizione viene tutta dai cristiani, quindi dovrebbe essere ignorata”, come se i cristiani non avessero diritto di parola nel processo democratico. In tutto il Paese c’è la percezione che il cristianesimo sia qualcosa di negativo, da spazzare via. Certo, è solo una parte dell’opinione pubblica, non la maggioranza. Ma è qualcosa che si nota nella classe politica, non universalmente, tra gli attori importanti».
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
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