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Letta è allo sbando: rischia già di saltare

Letta è allo sbando: rischia già di saltare
Enrico Letta (Getty Images)

Territori e candidature fuori controllo, agenda politica surreale, flop dell'alleanza con il M5s, polemiche gratuite con Matteo Salvini. Dopo poche settimane la leadership democratica è in bilico, ed Enrico vede sfumare in fretta i sogni di Quirinale e Palazzo Chigi.

Enrico Letta non sa più a che santo votarsi. Da quando è tornato da Parigi, accettando di guidare il Pd, ogni giorno si interroga su ciò che sia meglio per far sapere agli italiani del suo rientro dall'esilio francese. «Mi si nota di più se dico che bisogna dare la cittadinanza agli immigrati o se sostengo che è l'ora di acconsentire ai sedicenni di votare? Oppure mi conviene appoggiare Fedez quando parla della legge Zan, sperando di riverniciare l'immagine sbiadita di ciò che resta della sinistra con lo smalto pubblicizzato da un tizio che ha milioni di follower?». Mentre si interroga su quale sia la strada giusta da imboccare per evitare che il Partito democratico sia scavalcato nei consensi perfino da Fratelli d'Italia, il povero Enrichetto sprofonda nei sondaggi. Un disastro che sta provocando nel segretario del Pd uno stato di prostrazione e di generale sconforto.

Già un paio di settimane fa avevamo segnalato che il Nipotissimo del più noto Gianni Letta, nei primi mesi da leader del Pd, non ne aveva imbroccata una, riuscendo ad apparire ancor più scollegato dalla realtà del suo predecessore. Infatti, se Nicola Zingaretti era riuscito a inimicarsi baristi, camerieri, cuochi e personal trainer definendo la loro occupazione un «lavoretto» (che detto da uno che non ha mai lavorato è la dimostrazione di quale sia la distanza tra il Paese reale e chi dice di rappresentarlo), il tenero Enrico riesce addirittura a passare inosservato, perché la maggior parte delle cose che propone stanno a una distanza siderale dai problemi che assillano gli italiani. A Largo del Nazareno, sede del Pd, pare si siano già pentiti di averlo richiamato sulla scena e qualcuno mediti di rispedirlo in fretta ai bordi della Senna. Una cosa è certa: con il suo comportamento e con i pasticci che sta producendo con la scelta degli aspiranti sindaci per le prossime amministrative, è riuscito nell'opera apparentemente impossibile di far rivalutare Matteo Renzi il quale, dal basso del suo 2%, ha buone possibilità di soffiare la poltrona di sindaco di Bologna al candidato del Partito democratico, e di piazzare a Palazzo D'Accursio una sua fedelissima.

Se sotto la torre degli Asinelli le cose non si mettono bene, a Roma, Napoli e Torino, cioè nelle altre città che prossimamente andranno al voto, va anche peggio. Nella Capitale di fatto, i tentativi di mettere d'accordo 5 stelle e Pd per trovare un candidato unico e indurre Virginia Raggi a gettare la spugna sono falliti, e negli altri capoluoghi di regione va anche peggio. Risultato, invece di approfittare delle frizioni tra Fratelli d'Italia e Lega, nell'ex maggioranza che sosteneva il Conte bis si danno da fare per aumentare le proprie. Letta è poi riuscito nella mirabile impresa di scommettere sull'avvocato di Volturara Appula, ritenendolo l'interlocutore più autorevole per stringere un patto d'acciaio con i pentastellati. Peccato che l'ex presidente del Consiglio al momento non sia in grado neppure di farsi dare l'elenco degli iscritti al movimento, figurarsi il resto.

Risultato, a pochi mesi dal suo trionfale ritorno, Enrico non sta sereno, ma preoccupato di fare la fine del 2014, quando in poche settimane e con la complicità della sinistra del Pd, Renzi lo liquidò, spedendolo a fare il professore. Ma, paradossalmente, più le cose volgono al peggio e più l'ex allievo di Beniamino Andreatta si agita e alza i toni. L'ultima sfuriata è di ieri. Siccome Matteo Salvini è stato assolto dall'accusa di aver sequestrato un centinaio di migranti, per averli tenuti al largo qualche giorno (ma allora che si deve dire delle navi quarantena predisposte dal precedente e anche da questo governo?), Letta ha dato segni di insofferenza. Di fronte alle interviste in cui il capo della Lega tornava a parlare di immigrazione, criticando la politica dell'esecutivo, il povero Enrico è sbroccato, invitando l'ex ministro dell'Interno a uscire dal governo. Un segno di nervosismo che forse non è dovuto solo all'andamento dei sondaggi, ma pure al fatto che Salvini, nelle interviste, candida Mario Draghi alla presidenza della Repubblica. Se davvero l'ex governatore della Bce la spuntasse e prendesse il posto di Mattarella, per Letta sarebbero dolori. L'uomo non lo ammetterà mai, ma in fondo alla poltroncina sul Colle ambisce anche lui ed è per questo che non solo è tornato da Parigi per prendersi la patata bollente del Pd, ma si sbraccia per allearsi con i 5 stelle. Il Quirinale è un boccone ambito e se proprio lui non ce la facesse potrebbe spingere per l'elezione di Paolo Gentiloni o di Dario Franceschini, due democristiani di sinistra come lui. In caso dovesse rinunciare alle ambizioni di diventare presidente della Repubblica, con uno dei due compari sullo scranno più alto della Repubblica, il Nipotissimo potrebbe prima o poi ambire a tornare a Palazzo Chigi. Già, non avendo terminato l'opera, Enrichetto ha una gran voglia di riprovarci.

Per quanto ci riguarda, noi teniamo le dita incrociate affinché ciò non accada. Di sciagure ne abbiamo già tante, un'altra non ci serve.

La sinistra caccia Gesù dal Natale
Ansa
Per non urtare la sensibilità di chi professa altre fedi, una primaria di Reggio Emilia ha rivisto la versione italiana di «Jingle Bells» sostituendo Cristo con vaghe allusioni alla pace. L’«assessora» islamica aveva invitato gli istituti a «decolonizzare lo sguardo».

Includere escludendo, il club degli intelligenti per decreto è sempre un giro avanti anche sul Natale. Dopo avere trasformato i pastori in migranti, i re Magi in attivisti pro Pal, la Madonna in una peripatetica, San Giuseppe in una drag queen e la stella cometa in un razzo su Gaza, non restava che cancellare Gesù Bambino. In attesa di farlo dal presepe, a Reggio Emilia lo hanno espulso dal canto più amato dai bimbi, Jingle Bells. Una deportazione canora in piena regola, messa a punto dai parolieri della scuola primaria San Giovanni Bosco (istituto comprensivo Ligabue) che hanno deciso l’epurazione religiosa dalla versione italiana per il consueto motivo peloso: non urtare la suscettibilità dei musulmani. I quali, peraltro, da anni vedono in questa gratuita sottomissione culturale uno dei segnali più evidenti della degenerazione dei valori occidentali.

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Le balle di Landini per giustificare lo sciopero
Maurizio Landini (Ansa)

È ufficiale: Maurizio Landini, ossia colui che da tempo prova a paralizzare l’Italia rivendicando fantasiose scelte di politica economica, parla di tasse e redditi senza sapere nulla di tasse e redditi.

Pur di giustificare l’ennesima manifestazione a ridosso del fine settimana (senza weekend i cortei andrebbero deserti), in un’intervista concessa a Repubblica il segretario della Cgil spiega le ragioni dello sciopero di oggi con una serie di balle, inventando di sana pianta numeri a sostegno delle sue tesi. Cominciamo dalla magica soluzione con cui lui risolverebbe il problema delle risorse finanziarie per aumentare i redditi di lavoratori e pensionati. L’idea è la solita vecchia trovata della patrimoniale, che però Landini non applicherebbe sulla proprietà, ma sui redditi. «Chiediamo al governo di introdurre un contributo di solidarietà (meglio non chiamarla tassa, è poco carino, ndr) dell’1,3 per cento su 500.000 italiani con redditi netti annui sopra i due milioni: vale 26 miliardi».

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Il segretario ha stancato pure la5 Cgil: basta scioperi, firmiamo i contratti
Maurizio Landini, Daniela Fumarola e Pierpaolo Bombardieri durante il Forum delle relazioni industriali 2025 in Assolombarda, Milano, 10 Novembre (Ansa)
Monta il malcontento dei settori riformisti (Poste, tessile, chimici): l’isolamento non porta nessun risultato Per adesso restano coperti, ma se anche l’ultima serrata (quella di oggi) sarà un fallimento si faranno sentire.

Passi per l’opposizione puramente politica al centrodestra, che con diverse tonalità di rosso è sempre stata (purtroppo) un tratto distintivo della Cgil. Si può soprassedere pure sull’uso improprio di uno strumento di protesta che andrebbe centellinato come quello dello sciopero. E al limite viene scusato persino l’isolamento del sindacato di Corso d’Italia da Cisl e Uil, anche se l’ultima separazione, quella da Bombardieri, ha fatto storcere il naso a una buona parte dei dirigenti e della base cigiellina. Ma quello che davvero non va giù sul territorio e nei settori più riformisti del sindacato è la mancata presa di distanza dai fatti di Genova.

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Nel 1990 il nostro reddito pro capite era vicino a quello Usa (42.600 dollari contro 44.300). Ora la distanza è abissale (53.100 e 75.400). Ma ad arrancare è stata tutta l’Europa, che ha puntato su deflazione salariale e folli regolamenti anti imprese.

Chissà se i numerosi politici, prevalentemente del Pd, che nei giorni scorsi hanno orgogliosamente esposto sui social la bandiera della Ue, abbiano mai riflettuto sull’effettivo contributo della Ue al benessere dell’Italia e degli altri 26 Stati membri. Così, giusto per poter rivendicare con ancora maggior orgoglio, davanti alle ripetute accuse di Donald Trump, che la Ue è un progetto che nei suoi primi 35 anni (di cui 26 anche con la moneta unica) ha costituito un vantaggio per i Paesi aderenti, rispetto alla situazione ante 1992.

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