2025-03-21
Legnata da 667 milioni dei giudici Usa a Greenpeace: rischio bancarotta
La Ong dovrà risarcire il gruppo Energy Transfer per diffamazione e atti vandalici durante le proteste contro la costruzione di un oleodotto in North Dakota. L’associazione annuncia ricorso: «La lotta non è finita».Greenpeace è stata condannata da una giuria nello stato americano del North Dakota a pagare 666,9 milioni di dollari (613 milioni di euro) al gruppo americano Energy Transfer con sede a Dallas, Texas. Gestore di oleodotti, condotte e strutture correlate su oltre 125.000 miglia (200.000 chilometri), la società aveva denunciato la Ong per aver ritardato la costruzione del Dakota access pipeline, diffamato le aziende che lo hanno creato e di aver coordinato l’intrusione, il vandalismo e la violenza da parte dei manifestanti durante le proteste del 2016 e 2017. Il verdetto, che includeva danni per diffamazione, violazione di domicilio e associazione a delinquere, è arrivato mercoledì dopo due giorni di consultazioni. Greenpeace Usa dovrà coprire la parte più consistente dei danni, pari a quasi 404 milioni di dollari, mentre la società madre con sede ad Amsterdam, Greenpeace International, e la divisione finanziaria con sede a Washington Greenpeace Fund Inc. dovranno versare ciascuna circa 131 milioni di dollari. Quella che la Bbc aveva definito «una delle più grandi proteste contro i combustibili fossili nella storia degli Stati Uniti», si svolse per lunghi mesi, da aprile 2016 a febbraio 2017, su terreni privati attorno alla riserva Sioux di Standing Rock per osteggiare la costruzione dell’oleodotto sotterraneo Dakota Access. Contrarie erano le tribù indiane, così pure gli attivisti ambientalisti che sostenevano che l’impianto contribuisce al riscaldamento globale tramite l’uso di combustibili fossili, minaccia le riserve idriche e interferisce con le terre ancestrali dei nativi. Centinaia di dimostranti rimasero accampati, non si contarono gli atti di violenza e di vandalismo. Nell’agosto del 2016 dei macchinari vengono dati alle fiamme durante una protesta in Iowa. A ottobre l'azienda che aveva già speso più di 1 miliardo in attrezzature vede confermato il diritto di continuare a costruire su terreni privati, ma le proteste violente non smettono. La Ong raduna anche centinaia di veterani, contro di loro vengono utilizzati idranti e diverse persone vengono arrestate. Lo sceriffo della contea di Morton, Kyle Kirchmeier, dichiarò che le azioni dei manifestanti «hanno costretto le forze dell’ordine a intervenire. Non mi stancherò mai di ripeterlo, è una questione di sicurezza pubblica. Non possiamo permettere che i manifestanti blocchino le strade provinciali, le autostrade statali o che invadano abusivamente la proprietà privata».Gli avvocati di Greenpeace durante il processo hanno cercato di sostenere che l’organizzazione ambientalista e pacifista non aveva guidato le proteste, ma semplicemente contribuito a sostenere «un addestramento all’azione diretta e non violenta». Per Energy Transfer «chiunque sia impegnato in un addestramento durante una protesta dovrebbe essere ritenuto responsabile delle azioni di ogni persona presente a quella azione». La società aveva citato in giudizio per la prima volta Greenpeace nel 2017, sostenendo che le azioni e la pubblicità negativa del gruppo contro la costruzione dell’oleodotto le avevano causato miliardi di dollari di perdite. Dopo che una corte federale aveva respinto la causa nel 2019, Energy Transfer l’aveva intentata presso la corte statale. Nel frattempo l’oleodotto, lungo 1.172 miglia, è operativo dal 2017 anche se manca ancora un permesso per operare sotto il lago Oahe nel Dakota del Sud e le tribù locali hanno spinto per un’ampia revisione ambientale del progetto.Durante il processo, durato tre settimane, Kelcy Warren, cofondatore e presidente del consiglio di amministrazione di Energy Transfer, aveva dichiarato in una deposizione video che i manifestanti avevano creato «una narrazione totalmente falsa» sulla sua azienda. «Era giunto il momento di reagire», è stata la conclusione dell’arringa di Trey Cox, avvocato del gruppo. La società ha definito il verdetto di mercoledì una «vittoria» per «gli americani che comprendono la differenza tra il diritto alla libertà di parola e la violazione della legge». Per Greenpeace «la lotta non è finita», assicura invece l’avvocata dell’organizzazione, Deepa Padmanabha che ha annunciato ricorso. Un mese fa la Ong aveva dichiarato che potrebbe essere costretta a dichiarare bancarotta «ponendo fine a oltre 50 anni di attivismo». E ha controdenunciato Energy Transfer presso un tribunale olandese, chiedendo una nuova direttiva dell’Unione europea contro cause come quella promossa dalla società di Dallas, che definisce «Slapp». L’acronimo di strategic lawsuit against public participation indica le cause legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica.«Questa decisione rischia di mettere a tacere le proteste pacifiche», ha protestato Sushma Raman, direttrice ad interim di Greenpeace Usa. Pacifiche non lo erano, le manifestazioni contro il Dakota access pipeline e le cronache di quei mesi documentano le violenze e le violazioni delle proprietà private. Un po’ come accade contro le Tesla che vengono bruciate e vandalizzate per strada perché Elon Musk è diventato bersaglio della sinistra. Ma già da un paio d’anni sono diventate l’obiettivo da distruggere per gli ambientalisti. «Odia Elon e Trump quanto vuoi, va bene, è una tua scelta», ha dichiarato Theresa Ramsdell, la presidente dei Tesla Owners dello stato di Washington. «Non è però la scusa per rovinare la proprietà di qualcuno, vandalizzarla, distruggerla, darle fuoco. Ci sono altri modi per far sentire la tua voce, che sono più efficaci». Purtroppo, poche associazioni green e pacifiste si troverebbero d’accordo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)