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2018-08-17
Lega e 5 stelle alla guerra contro Autostrade: «Togliamo la concessione»
Ansa
La guerra tra il governo e il gruppo Benetton assume toni e metodi trumpiani. Urlo, alzo la pistola in aria, tiro qualche colpo, poi freno. Nella speranza di portare a casa risultati immediati e tangibili. Spesso a Donald Trump riesce. Per i gialloblù il discorso è un po' diverso: dopo aver promesso -per bocca di Giuseppe Conte e del vicepremier, Luigi Di Maio - la revoca immediata della concessione ad Autostrade per l'Italia (non si capiva se per la tratta dell'A10 o per l'intero tratto italiano di striscia autostradale) il Consiglio dei ministri si è limitato a mettere nero su bianco la decisione di muoversi verso probabili sanzioni per il crollo del ponte e per i 38 morti conseguenti.
Nel frattempo il titolo di Atlantia, la società posseduta in maggioranza dalla famiglia Benetton, e controllante di Autostrade ha aperto la sessione con una perdita virtuale del 50% per poi assestarsi verso un calo nell'ordine del 20%. I mercati hanno capito che la minaccia gialloblù non era poi così fondata, già prima dell'emissione della nota di Palazzo Chigi. A Borsa chiusa, il governo ha rilasciato una postilla al cdm spiegando che sarà istituita un'apposita commissione al fine di valutare eventuali mancanza da parte di Atlantia e solo a quel punto avviare un eventuale iter di revoca delle concessioni. Tutt'altra sostanza rispetto alle dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti del governo. Certo, i vertici di Atlantia si sono occupati di gettare benzina sul fuoco. Il comunicato reso pubblico in apertura di Borsa ieri si preoccupava di far presente che in caso di revoca il governo avrebbe dovuto pagare una sorta di penale. Dal loro punto di vista il dettaglio avrebbe dovuto rassicurare gli investitori in fuga dal titolo e dai bond. Come dire, la capitalizzazione non crollerebbe, lo Stato coprirebbe i mancati introiti. La scelta comunicativa è pessima. «Atlantia riesce ancora, con una faccia di bronzo incredibile e con morti ancora da riconoscere, a parlare di soldi e di affari, chiedendo altri milioni agli italiani in caso di revoca della concessione da parte del governo dopo la strage di Genova», risponde Matteo Salvini. Il collega delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, aggiunge il carico da novanta e spiega di volersi addirittura costituire parte civile nel processo. Qualcuno poi (al di là dell'ex ministro Antonio Di Pietro) deve aver spiegato ai vertici del Mit, che costituirsi parte civile può essere un boomerang. A dover vigilare sulle concessioni è infatti lo stesso Mit, il quale, a differenza dei cittadini, ha a disposizione i contratti senza omissis. È vero che il tratto interessato dal crollo appartiene alla filiera Ten 10 e quindi sottostante a normative europee. Ciò significa che la vigilanza spetta al committente. L'Ue omette un dettaglio: Sul piano della responsabilità penale dovranno rispondere di omissione di atti di ufficio anche coloro che, nell'ambito della Pubblica amministrazione e in particolar modo del ministero competente, avrebbero dovuto eseguire i controlli e gli accertamenti previsti e soprattutto le messe in mora e le contestazioni che non sono invece state fatte.
Per tutti questi motivi, dopo aver inscenato il modello «prima spara, poi chiedi», è intervenuto Salvini facendo presente che se Autostrade si dimostrerà disponibile a ricostruire il ponte le cose possono cambiare. Ovviamente Autostrade ha risposto di sì. D'altronde se la prima minaccia è la decapitazione, e la seconda richiesta è il pagamento di una multa. Quest'ultima è quasi un sollievo. A quel punto ha fatto eco il governatore della Regione Liguria, Giovanni Toti: «un nuovo ponte entro il 2019».
Se il metodo del governo è quello trumpiano, sarà bene che le diverse componenti della maggioranza si riequilibrino e comprendano gli effetti delle proprie dichiarazioni. Che senso ha avuto nel caos gettare lì una frase sensazionale come quella espressa da Di Maio («nazionalizzare le autostrade») senza sapere che nel business ci sono altri colossi e verrebbero tutti azzoppati? Non siamo l'Urss e poi la storia ci insegna che la gestione pubblica è anche peggio di quella privata, nonostante oggi sia difficile immaginarlo. Ieri mattina è persino girato il rumor che Atlantia stesse meditando di fare un esposto alla Consob contro il governo per manipolazione del mercato. Se l'avessero fatto si sarebbero scavati una tomba mediatica... ma nella sostanza avrebbero avuto molti appigli. È stato Salvini a smentire Di Maio e a imporre una marcia indietro sulle nazionalizzazioni. È un gioco continuo di equilibri, ma attenti perché è pericoloso. Sparare senza prendere la mira può avere due effetti collaterali. Il modello Trump funziona se si ottiene sempre qualcosa in cambio, magari una fetta di quella che è stata la prima richiesta. Ma se non si ottiene nulla è controproducente. Così ieri sera Di Maio ha alzato di nuovo i toni. Ha detto: «Noi siamo per la revoca a tutti i costi, lo dobbiamo ai morti». E il collega Salvini si è riallineato: «Siamo sia per la revoca che per la ricostruzione del ponte». La guerra è aperta.
Atlantia ha perso in Borsa il 22%. Ballano bond per più di 7 miliardi
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La maggioranza alza la voce con i Benetton. Luigi Di Maio: «La revoca non comporta nessuna penalità perché sono inadempienti». Matteo Salvini: «Comincino a pagare subito».Sale la preoccupazione per i 7.500 dipendenti e per l'esposizione del gruppo agli istituti pari a 1,3 miliardi. In caso di default l'impatto sarebbe pesante come il crac bancario del 2015.Si possono disdire gli accordi dopo un lungo iter. Il rischio per lo Stato è dover pagare comunque la società.Lo speciale contiene tre articoli.La guerra tra il governo e il gruppo Benetton assume toni e metodi trumpiani. Urlo, alzo la pistola in aria, tiro qualche colpo, poi freno. Nella speranza di portare a casa risultati immediati e tangibili. Spesso a Donald Trump riesce. Per i gialloblù il discorso è un po' diverso: dopo aver promesso -per bocca di Giuseppe Conte e del vicepremier, Luigi Di Maio - la revoca immediata della concessione ad Autostrade per l'Italia (non si capiva se per la tratta dell'A10 o per l'intero tratto italiano di striscia autostradale) il Consiglio dei ministri si è limitato a mettere nero su bianco la decisione di muoversi verso probabili sanzioni per il crollo del ponte e per i 38 morti conseguenti. Nel frattempo il titolo di Atlantia, la società posseduta in maggioranza dalla famiglia Benetton, e controllante di Autostrade ha aperto la sessione con una perdita virtuale del 50% per poi assestarsi verso un calo nell'ordine del 20%. I mercati hanno capito che la minaccia gialloblù non era poi così fondata, già prima dell'emissione della nota di Palazzo Chigi. A Borsa chiusa, il governo ha rilasciato una postilla al cdm spiegando che sarà istituita un'apposita commissione al fine di valutare eventuali mancanza da parte di Atlantia e solo a quel punto avviare un eventuale iter di revoca delle concessioni. Tutt'altra sostanza rispetto alle dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti del governo. Certo, i vertici di Atlantia si sono occupati di gettare benzina sul fuoco. Il comunicato reso pubblico in apertura di Borsa ieri si preoccupava di far presente che in caso di revoca il governo avrebbe dovuto pagare una sorta di penale. Dal loro punto di vista il dettaglio avrebbe dovuto rassicurare gli investitori in fuga dal titolo e dai bond. Come dire, la capitalizzazione non crollerebbe, lo Stato coprirebbe i mancati introiti. La scelta comunicativa è pessima. «Atlantia riesce ancora, con una faccia di bronzo incredibile e con morti ancora da riconoscere, a parlare di soldi e di affari, chiedendo altri milioni agli italiani in caso di revoca della concessione da parte del governo dopo la strage di Genova», risponde Matteo Salvini. Il collega delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, aggiunge il carico da novanta e spiega di volersi addirittura costituire parte civile nel processo. Qualcuno poi (al di là dell'ex ministro Antonio Di Pietro) deve aver spiegato ai vertici del Mit, che costituirsi parte civile può essere un boomerang. A dover vigilare sulle concessioni è infatti lo stesso Mit, il quale, a differenza dei cittadini, ha a disposizione i contratti senza omissis. È vero che il tratto interessato dal crollo appartiene alla filiera Ten 10 e quindi sottostante a normative europee. Ciò significa che la vigilanza spetta al committente. L'Ue omette un dettaglio: Sul piano della responsabilità penale dovranno rispondere di omissione di atti di ufficio anche coloro che, nell'ambito della Pubblica amministrazione e in particolar modo del ministero competente, avrebbero dovuto eseguire i controlli e gli accertamenti previsti e soprattutto le messe in mora e le contestazioni che non sono invece state fatte. Per tutti questi motivi, dopo aver inscenato il modello «prima spara, poi chiedi», è intervenuto Salvini facendo presente che se Autostrade si dimostrerà disponibile a ricostruire il ponte le cose possono cambiare. Ovviamente Autostrade ha risposto di sì. D'altronde se la prima minaccia è la decapitazione, e la seconda richiesta è il pagamento di una multa. Quest'ultima è quasi un sollievo. A quel punto ha fatto eco il governatore della Regione Liguria, Giovanni Toti: «un nuovo ponte entro il 2019». Se il metodo del governo è quello trumpiano, sarà bene che le diverse componenti della maggioranza si riequilibrino e comprendano gli effetti delle proprie dichiarazioni. Che senso ha avuto nel caos gettare lì una frase sensazionale come quella espressa da Di Maio («nazionalizzare le autostrade») senza sapere che nel business ci sono altri colossi e verrebbero tutti azzoppati? Non siamo l'Urss e poi la storia ci insegna che la gestione pubblica è anche peggio di quella privata, nonostante oggi sia difficile immaginarlo. Ieri mattina è persino girato il rumor che Atlantia stesse meditando di fare un esposto alla Consob contro il governo per manipolazione del mercato. Se l'avessero fatto si sarebbero scavati una tomba mediatica... ma nella sostanza avrebbero avuto molti appigli. È stato Salvini a smentire Di Maio e a imporre una marcia indietro sulle nazionalizzazioni. È un gioco continuo di equilibri, ma attenti perché è pericoloso. Sparare senza prendere la mira può avere due effetti collaterali. Il modello Trump funziona se si ottiene sempre qualcosa in cambio, magari una fetta di quella che è stata la prima richiesta. Ma se non si ottiene nulla è controproducente. Così ieri sera Di Maio ha alzato di nuovo i toni. Ha detto: «Noi siamo per la revoca a tutti i costi, lo dobbiamo ai morti». E il collega Salvini si è riallineato: «Siamo sia per la revoca che per la ricostruzione del ponte». La guerra è aperta.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lega-e-5-stelle-alla-guerra-contro-autostrade-togliamo-la-concessione-2596517245.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="atlantia-ha-perso-in-borsa-il-22-ballano-bond-per-piu-di-7-miliardi" data-post-id="2596517245" data-published-at="1765401574" data-use-pagination="False"> Atlantia ha perso in Borsa il 22%. Ballano bond per più di 7 miliardi L'ipotesi di un ritiro della concessione per l'A10, o addirittura di tutte le concessioni in mano ad Autostrade per l'Italia, affonda la quotazione di Atlantia a Piazza Affari. Il gruppo, di cui il principale azionista è la famiglia Benetton, ha chiuso la giornata con un crollo del 22,2% a 18,3 euro e una drastica riduzione del valore, oltre 5 miliardi di capitalizzazione in meno in due sedute. Come già detto, a pesare sul titolo sono le parole arrivate da più esponenti del governo, a partire dal premier, Giuseppe Conte. Le tre ipotesi sul tavolo dell'esecutivo sarebbero: un ritiro della concessione per l'A10, un ritiro di tutte le concessioni oppure una sanzione. L'annuncio del governo «è stato effettuato in carenza di qualsiasi previa contestazione specifica alla concessionaria e in assenza di accertamenti circa le effettive cause dell'accaduto», ha replicato Atlantia. L'estensione della revoca delle concessioni a tutta la rete gestita da Autostrade «dipende dal comportamento dell'azienda», ha dichiarato il sottosegretario alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, in un'intervista ad Affari italiani, mentre anche un portavoce della Commissione europea ha osservato ieri a Bruxelles che quando un'autostrada è gestita da un operatore privato la responsabilità su sicurezza e manutenzione è del concessionario. «Tutte le concessioni», ha proseguito Rixi, « sono state date nell'ottica che lo Stato riteneva di lasciare utili a queste aziende, le quali però potessero garantire la sicurezza pubblica con investimenti importanti. Chiaramente questo evento mette in discussione l'intero sistema. Non so dire fino a dove arriveremo e dove non arriveremo, tutto dipenderà anche dal senso di responsabilità che saprà dimostrare il concessionario» Gli analisti sottolineano i tempi lunghi e i possibili costi di una revoca della concessione e soprattutto il rischio per le società di gestione di un aumento degli investimenti per le manutenzioni, oltre al più vasto rischio politico e regolatorio. «Le incertezze sull'incidente sono elevate così come le potenziali implicazioni di tipo finanziario», sottolinea Banca Imi in un report, mentre Banca Akros parla di possibilità «piuttosto piccole» che si arrivi alla revoca della concessione, procedura particolarmente complessa e di difficile attuazione, ma evidenzia come l'incertezza «regolamentare» sia destinata a crescere a breve in un contesto ambientale che diventerà «più ostile». Il problema sta anche nel fatto che il governo dovrà inevitabilmente commisurare le parole con la realtà dei fatti. Al di là delle colpe che saranno appurate dalla magistratura, la revoca ha due diversi impatti. Il primo è di natura finanziaria e riguarda il concedente, cioè lo Stato. Il costo di una marcia indietro costerebbe comunque qualcosa come 20 miliardi di euro e sarebbe una cifra certa a differenza della somma che poi Autostrade controllata di Atlantia potrebbe versare per danni. Soprattutto Atlantia non è un corpo estraneo all'Italia. A differenza di quanto ha sostenuto ieri il vice premier grillino, Luigi Di Maio, il gruppo versa le tasse in Italia (lo scorso anno sono stati circa 600 milioni) e non in Lussemburgo. Inoltre, ha poco meno di 7.500 dipendenti, ma soprattutto è collocato sul mercato del debito. Le banche sono esposte per circa 1,3 miliardi. I bond emessi ammontano a 7,5 miliardi complessivi. Ieri sono ovviamente crollati di una decina di punti e si tratta di obbligazioni in mano non solo agli investitori istituzionali, ma a tantissimi cassettisti, tutti piccoli investiori. Se Atlantia saltasse l'impatto sugli italiani sarebbe ben più grave di quello prodotto dai crac bancari del 2015. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lega-e-5-stelle-alla-guerra-contro-autostrade-togliamo-la-concessione-2596517245.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="ma-per-dirsi-addio-servono-almeno-sei-mesi" data-post-id="2596517245" data-published-at="1765401574" data-use-pagination="False"> Ma per dirsi addio servono almeno sei mesi Revocare la concessione alla società Autostrade per l'Italia che gestisce il tratto interessato dal crollo del ponte Morandi a Genova presenta diversi punti critici. Tra la società della famiglia Benetton e il ministero delle Infrastrutture esiste un vero e proprio contratto che prevede un percorso lungo e complesso prima di arrivare all'effettiva revoca della concessione autostradale. Un iter che si preannuncia serratissimo, anche perché ormai quello della gestione stradale è a tutti gli effetti la gallina dalle uova d'oro del gruppo che mosse i primi passi nel mondo della moda: ora il business delle concessioni per i Benetton vale circa 10 volte quello della produzione di abbigliamento. L'articolo 9 del documento firmato nel 2011 da Atlantia (la società che controlla Autostrade per l'Italia) e dal ministero illustra per filo e per segno la procedura di decadenza della convenzione. In primis, alla base della decadenza della concessione l'articolo 8 dell'accordo prevede che il ministero metta nero su bianco una provata inadempienza da parte di Autostrade. Prove che al momento non esistono e per questo le parole del vicepremier Luigi Di Maio sarebbero prive di fondamento. A quel punto l'azienda concessionaria avrebbe comunque 15 giorni per rispondere alle accuse e difendersi. Nel caso in cui le giustificazioni non vengano accettate, la procedura di revoca continuerebbe e Autostrade per l'Italia avrebbe 90 giorni di tempo per porre rimedio alle mancanze contestate dal ministero e per formulare delle controdeduzioni, cioè per spiegare perché non sarebbero stati commessi errori. Una volta rigettate anche le controdeduzioni, l'azienda di proprietà dei Benetton avrebbe altri 60 giorni per risolvere le inadempienze di cui è accusata. Solo superati tutti questi passaggi (e circa cinque o sei mesi dalla contestazione formale) il ministero delle Infrastrutture, guidato da Danilo Toninelli, avrebbe facoltà di emanare una revoca delle concessioni autostradali. Ad ogni modo, completato questo iter, Autostrade per l'Italia potrebbe comunque fare ricorso al Tar e al Consiglio di Stato chiedendo la sospensione della decisione del ministero delle Infrastrutture. Sempre l'articolo 9 spiega poi che - una volta effettivamente avvenuta la revoca - il ministero subentri «in tutti i rapporti attivi e passivi, di cui è titolare il concessionario» e anche al «pagamento da parte del concedente al concessionario decaduto di un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile alla data del provvedimento di decadenza sino alla scadenza della concessione, al netto dei relativi costi, oneri, investimenti e imposte prevedibili nel medesimo periodo, scontati a un tasso di rendimento di mercato». In poche parole lo Stato dovrebbe risarcire Autostrade per i mancati guadagni derivanti dalla revoca: per intendersi, al momento l'azienda fattura circa 1 miliardo di euro l'anno che, moltiplicati per gli anni restanti fino al 2038, anno della scadenza della concessione, comporterebbe un esborso da parte dello Stato stimato tra i 15 e i 20 miliardi. In alcune sue dichiarazioni Di Maio ha detto che lo Stato potrebbe non pagare. C'è però un contratto firmato da entrambe le parti che dice il contrario.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
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I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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