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2023-02-01
L’economia russa non sta crollando. E la Cina darà una mano
Xi Jinping (Getty images)
Le sanzioni non funzionano. In generale le sanzioni non hanno mai funzionato, in particolare quelle contro la Russia si stanno infrangendo contro il muro dei dati e contro il tentativo di bloccare la creazione di una economia suddivisa tra due metà del globo. Da un lato l’Occidente e dall’altro l’Oriente. Ieri, il Fondo monetario internazionale ha diffuso i valori dell’economia mondiale nel 2022 e le stime per l’anno appena iniziato. All’interno dello studio c’è anche la voce Russia. Il Pil di Mosca è sceso nel 2022 del 2,2% contro una previsione (già lieve) del 3,4. L’Fmi aggiunge anche la previsione per il 2023 (una crescita del Pil dello 0,3%) e per il 2024 (2,1%). Il Fondo giustifica la stime in modo molto semplice.
«Ai prezzi attuali del greggio», si legge nel report, «l’economia russa non sarà danneggiata». La guerra in Ucraina ha interrotto i flussi di materie prime verso Ovest, ma «il commercio è stato rimpiazzato dai contratti con i Paesi asiatici o in generale a Est del blocco». In pratica il Fmi introduce il tema vero che caratterizzerà le tensioni di quest’anno. L’Europa pensa di avere superato le tensioni sul gas. In effetti, il prezzo sta scendendo per via dei minori consumi, per via della politica Ue del contingentamento e per via dell’inverno mite. I Paesi dell’Unione non hanno però ancora cominciato a preoccuparsi delle scorte di metalli industriali e di lega necessarie per il manifatturiero. La guerra in Ucraina ha insegnato che la sovranità energetica è fondamentale quanto quella dei metalli rari. Parliamo di terre rare che stanno alla base della nuova economia digitale. Oppure di gas come il neon derivati da produzioni industriali di vecchio stampa ma alla base dei futuribili microchip.
La guerra sta insegnando anche che la sovranità di un Paese o di un Continente si misura anche dalla capacità di accumulare acciaio, alluminio, rame e tutto ciò che tiene in piedi l’economia reale.
Per fare un esempio concreto, nel corso degli ultimi due anni Pechino ha adottato più volte la strategia Covid zero, a costo di penalizzare anche il mercato interno. Nel frattempo ha utilizzato la propria liquidità per fare ingente scorta di materie prime. Il colosso asiatico, a luglio del 2022, disponeva del 93% delle scorte mondiali di rame, il 74% di quelle di alluminio, il 68% del mais e oltre il 50% del frumento. L’obiettivo è quello di non farsi travolgere dai rialzi ed evitare di fare la fine dell’Europa. È chiaro però che la Cina ha anche l’obiettivo di immettersi su un nuovo cammino. Ancor più aggressivo verso l’Ue e altri Paesi. «Il governo cinese», ha commentato Gianclaudio Torlizzi, esperto di TCommodity, «è tornato a svalutare pesantemente lo yuan per recuperare competitività sui mercati e stabilizzare l’economia. Il deprezzamento della valuta cinese finora si è concentrato nei confronti del dollaro, ma rilevo i primi segnali di deprezzamento nei confronti dell’euro», aggiunge Torlizzi concludendo che: «Si porrà a breve il problema dell’arrivo di merci made in China in Europa in una fase in cui le nostre imprese sono inchiodate».
Già dallo scorso semestre la Cina ha stretto nuovi rapporti con la Russia (a ottobre l’export di Gazprom verso Pechino è aumentato del 60%) e si è sapientemente infilata nelle dispute valutarie. Un esempio su tutti in India lo scorso giugno. La Ultratech Cement, leader assoluto del cemento in India, ha infatti pagato le 157.000 tonnellate di carbone partite dal porto russo di Vanino sul cargo MV Mangas, in yuan. Per l’esattezza, 172.652.900 yuan (25,81 milioni di dollari) bonificati al produttore Suek. E, a differenza di certe cedole obbligazionarie saldate in rubli, prontamente processati e incassati dalle banche. Con l’avvio del nuovo anno Pechino e Mosca hanno fatto un passo in avanti nella visione anti occidentale. I leader dei due Paesi si dovrebbero incontrare a breve. Lo staff di Vladimir Putin ha rilasciato una nota ufficiale, quello di Xi Jinping non ha confermato, mantenendo la prassi abbastanza consueta di confermare solo pochi giorni prima dell’incontro. I due parleranno di Ucraina e sicuramente del dollaro e quindi della possibilità di utilizzare lo yuan come valuta alternativa. Ma soprattutto confermeranno ciò che i due Paesi hanno realizzato nelle ultime settimane. Si tratta del patto dell’alluminio, come già lo chiamano gli analisti. Nel secondo trimestre del 2022 i prezzi dell’alluminio sono schizzati perché tutte le aziende coinvolte hanno cominciato a valutare un possibile embargo americano alla produzione russa.
A ottobre c’è stata una morsa ma non si è calcolato che la Cina da sola produce il 55% dell’alluminio globale. Così i due Paesi hanno pensato bene di allinearsi e di fare cartello. In Europa si sta un po’ muovendo la Germania. La visita di Olaf Scholz nei Paesi sudamericani serve a recuperare un po’ di materie prime industriali. Bruxelles nel complesso tace e si affida alle parole scollegate dalla realtà di Ursula von der Leyen che insiste con i pacchetti plurimi di sanzioni che riescono a spostare il baricentro dell’economia mondiale sempre più lontano dall’Ue. Un enorme successo verso la strada della povertà. per noi, però.
La fame di titanio per scopi militari conta più dei proclami sulla libertà
Sono infinite le ragioni che stanno dietro la guerra in Ucraina, avvolte nel mantello del bene contro il male. Uno di questi motivi, forse non il più importante ma nemmeno da sottovalutare, riguarda il controllo di una delle risorse di cui è ricca l’Ucraina: il titanio, metallo cruciale per lo sviluppo delle più avanzate tecnologie militari dell’Occidente.
Il titanio è un metallo ultraleggero e nello stesso tempo ultraresistente ampiamente utilizzato nelle applicazioni militari, aeree, navali e terrestri. Dopo Cina e Russia, l’Ucraina è il Paese leader in questo settore, e da Kiev partono le forniture per le industrie militari francesi e britanniche. Inoltre in Ucraina esiste l’unico impianto, a Ovest degli Urali, in grado di produrre spugna di titanio, fondamentale per il settore aerospaziale, prossimo terreno di scontro tra grandi potenze. Per questo motivo gli Stati Uniti, privi di questa risorsa stavano sviluppando un’alleanza strategica con l’Ucraina, in quanto l’impossibilità di far fronte alla domanda di titanio da parte dell’apparato militare di Washington era vista come una minaccia alla sicurezza nazionale.
Il mercato della spugna di titanio è coperto per il 57% dalla Cina; il secondo grande player mondiale è la Russia, in grado di garantire produzione di un livello maggiore di qualità. Facilmente intuibile quindi quanto gli Stati Uniti vedano nell’Ucraina un partner fondamentale per accedere a questa risorsa, che, nella folle corsa a armamenti sempre più potenti, efficaci e efficienti è al momento insostituibile.
Gli Stati Uniti non possono dipendere da Paesi antagonisti sul fronte militare, la guerra di conseguenza assume una chiave di lettura diversa se interpretata in quest’ottica, un’ottica sostanzialmente ignorata dai mezzi di comunicazione, impegnati a riscrivere per la milionesima volta che c’è un aggredito e un aggressore.
L’Ucraina è il secondo paese in Europa in termini di riserve minerali di titanio. Ma non c’è solo quello nel sottosuolo di questo Paese. È anche il primo Paese in Europa in riserve di minerali di uranio, che con il rilancio dell’industria nucleare, sia civile che militare, diviene ancora più strategico, oltre che avere una riserva di 30 miliardi di tonnellate di minerali ferrosi.
Da sempre le guerre si sono combattute per il controllo dei territori. Raccontare invece che la guerra è combattuta per la libertà dei poveri ucraini che vedono il loro Paese distrutto e migliaia di vittime sia civili che soprattutto militari, è vergognoso, visto che chi li spinge a resistere al prezzo delle loro vite se ne sta bel tranquillo dall’altra parte dell’oceano. Le risorse sono sempre più scarse, non solo quelle militari; le terre fertili diminuiscono a Sud del mondo e aumentano nella parte settentrionale, tant’è che alcuni grandi gruppi stavano sperimentando la possibilità di produrre cereali in Siberia, che potrebbe divenire la più grande area fertile del pianeta con il riscaldamento globale.
Controllo delle risorse militari e food security: due buoni motivi per affossare la Russia, chissà se Volodymyr Zelensky ne parlerà a Sanremo.
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Nonostante le sanzioni, secondo il Fmi nel 2022 il Pil è sceso solo del 2,2% e quest’anno dovrebbe crescere. Inoltre il Cremlino si prepara a fare cartello con la Cina sui metalli.L’Ucraina è una vera e propria miniera dell’elemento più richiesto dall’industria bellica.Lo speciale contiene due articoliLe sanzioni non funzionano. In generale le sanzioni non hanno mai funzionato, in particolare quelle contro la Russia si stanno infrangendo contro il muro dei dati e contro il tentativo di bloccare la creazione di una economia suddivisa tra due metà del globo. Da un lato l’Occidente e dall’altro l’Oriente. Ieri, il Fondo monetario internazionale ha diffuso i valori dell’economia mondiale nel 2022 e le stime per l’anno appena iniziato. All’interno dello studio c’è anche la voce Russia. Il Pil di Mosca è sceso nel 2022 del 2,2% contro una previsione (già lieve) del 3,4. L’Fmi aggiunge anche la previsione per il 2023 (una crescita del Pil dello 0,3%) e per il 2024 (2,1%). Il Fondo giustifica la stime in modo molto semplice. «Ai prezzi attuali del greggio», si legge nel report, «l’economia russa non sarà danneggiata». La guerra in Ucraina ha interrotto i flussi di materie prime verso Ovest, ma «il commercio è stato rimpiazzato dai contratti con i Paesi asiatici o in generale a Est del blocco». In pratica il Fmi introduce il tema vero che caratterizzerà le tensioni di quest’anno. L’Europa pensa di avere superato le tensioni sul gas. In effetti, il prezzo sta scendendo per via dei minori consumi, per via della politica Ue del contingentamento e per via dell’inverno mite. I Paesi dell’Unione non hanno però ancora cominciato a preoccuparsi delle scorte di metalli industriali e di lega necessarie per il manifatturiero. La guerra in Ucraina ha insegnato che la sovranità energetica è fondamentale quanto quella dei metalli rari. Parliamo di terre rare che stanno alla base della nuova economia digitale. Oppure di gas come il neon derivati da produzioni industriali di vecchio stampa ma alla base dei futuribili microchip. La guerra sta insegnando anche che la sovranità di un Paese o di un Continente si misura anche dalla capacità di accumulare acciaio, alluminio, rame e tutto ciò che tiene in piedi l’economia reale. Per fare un esempio concreto, nel corso degli ultimi due anni Pechino ha adottato più volte la strategia Covid zero, a costo di penalizzare anche il mercato interno. Nel frattempo ha utilizzato la propria liquidità per fare ingente scorta di materie prime. Il colosso asiatico, a luglio del 2022, disponeva del 93% delle scorte mondiali di rame, il 74% di quelle di alluminio, il 68% del mais e oltre il 50% del frumento. L’obiettivo è quello di non farsi travolgere dai rialzi ed evitare di fare la fine dell’Europa. È chiaro però che la Cina ha anche l’obiettivo di immettersi su un nuovo cammino. Ancor più aggressivo verso l’Ue e altri Paesi. «Il governo cinese», ha commentato Gianclaudio Torlizzi, esperto di TCommodity, «è tornato a svalutare pesantemente lo yuan per recuperare competitività sui mercati e stabilizzare l’economia. Il deprezzamento della valuta cinese finora si è concentrato nei confronti del dollaro, ma rilevo i primi segnali di deprezzamento nei confronti dell’euro», aggiunge Torlizzi concludendo che: «Si porrà a breve il problema dell’arrivo di merci made in China in Europa in una fase in cui le nostre imprese sono inchiodate». Già dallo scorso semestre la Cina ha stretto nuovi rapporti con la Russia (a ottobre l’export di Gazprom verso Pechino è aumentato del 60%) e si è sapientemente infilata nelle dispute valutarie. Un esempio su tutti in India lo scorso giugno. La Ultratech Cement, leader assoluto del cemento in India, ha infatti pagato le 157.000 tonnellate di carbone partite dal porto russo di Vanino sul cargo MV Mangas, in yuan. Per l’esattezza, 172.652.900 yuan (25,81 milioni di dollari) bonificati al produttore Suek. E, a differenza di certe cedole obbligazionarie saldate in rubli, prontamente processati e incassati dalle banche. Con l’avvio del nuovo anno Pechino e Mosca hanno fatto un passo in avanti nella visione anti occidentale. I leader dei due Paesi si dovrebbero incontrare a breve. Lo staff di Vladimir Putin ha rilasciato una nota ufficiale, quello di Xi Jinping non ha confermato, mantenendo la prassi abbastanza consueta di confermare solo pochi giorni prima dell’incontro. I due parleranno di Ucraina e sicuramente del dollaro e quindi della possibilità di utilizzare lo yuan come valuta alternativa. Ma soprattutto confermeranno ciò che i due Paesi hanno realizzato nelle ultime settimane. Si tratta del patto dell’alluminio, come già lo chiamano gli analisti. Nel secondo trimestre del 2022 i prezzi dell’alluminio sono schizzati perché tutte le aziende coinvolte hanno cominciato a valutare un possibile embargo americano alla produzione russa. A ottobre c’è stata una morsa ma non si è calcolato che la Cina da sola produce il 55% dell’alluminio globale. Così i due Paesi hanno pensato bene di allinearsi e di fare cartello. In Europa si sta un po’ muovendo la Germania. La visita di Olaf Scholz nei Paesi sudamericani serve a recuperare un po’ di materie prime industriali. Bruxelles nel complesso tace e si affida alle parole scollegate dalla realtà di Ursula von der Leyen che insiste con i pacchetti plurimi di sanzioni che riescono a spostare il baricentro dell’economia mondiale sempre più lontano dall’Ue. Un enorme successo verso la strada della povertà. per noi, però.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/leconomia-russa-non-sta-crollando-e-la-cina-dara-una-mano-2659336622.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-fame-di-titanio-per-scopi-militari-conta-piu-dei-proclami-sulla-liberta" data-post-id="2659336622" data-published-at="1675200268" data-use-pagination="False"> La fame di titanio per scopi militari conta più dei proclami sulla libertà Sono infinite le ragioni che stanno dietro la guerra in Ucraina, avvolte nel mantello del bene contro il male. Uno di questi motivi, forse non il più importante ma nemmeno da sottovalutare, riguarda il controllo di una delle risorse di cui è ricca l’Ucraina: il titanio, metallo cruciale per lo sviluppo delle più avanzate tecnologie militari dell’Occidente. Il titanio è un metallo ultraleggero e nello stesso tempo ultraresistente ampiamente utilizzato nelle applicazioni militari, aeree, navali e terrestri. Dopo Cina e Russia, l’Ucraina è il Paese leader in questo settore, e da Kiev partono le forniture per le industrie militari francesi e britanniche. Inoltre in Ucraina esiste l’unico impianto, a Ovest degli Urali, in grado di produrre spugna di titanio, fondamentale per il settore aerospaziale, prossimo terreno di scontro tra grandi potenze. Per questo motivo gli Stati Uniti, privi di questa risorsa stavano sviluppando un’alleanza strategica con l’Ucraina, in quanto l’impossibilità di far fronte alla domanda di titanio da parte dell’apparato militare di Washington era vista come una minaccia alla sicurezza nazionale. Il mercato della spugna di titanio è coperto per il 57% dalla Cina; il secondo grande player mondiale è la Russia, in grado di garantire produzione di un livello maggiore di qualità. Facilmente intuibile quindi quanto gli Stati Uniti vedano nell’Ucraina un partner fondamentale per accedere a questa risorsa, che, nella folle corsa a armamenti sempre più potenti, efficaci e efficienti è al momento insostituibile. Gli Stati Uniti non possono dipendere da Paesi antagonisti sul fronte militare, la guerra di conseguenza assume una chiave di lettura diversa se interpretata in quest’ottica, un’ottica sostanzialmente ignorata dai mezzi di comunicazione, impegnati a riscrivere per la milionesima volta che c’è un aggredito e un aggressore. L’Ucraina è il secondo paese in Europa in termini di riserve minerali di titanio. Ma non c’è solo quello nel sottosuolo di questo Paese. È anche il primo Paese in Europa in riserve di minerali di uranio, che con il rilancio dell’industria nucleare, sia civile che militare, diviene ancora più strategico, oltre che avere una riserva di 30 miliardi di tonnellate di minerali ferrosi. Da sempre le guerre si sono combattute per il controllo dei territori. Raccontare invece che la guerra è combattuta per la libertà dei poveri ucraini che vedono il loro Paese distrutto e migliaia di vittime sia civili che soprattutto militari, è vergognoso, visto che chi li spinge a resistere al prezzo delle loro vite se ne sta bel tranquillo dall’altra parte dell’oceano. Le risorse sono sempre più scarse, non solo quelle militari; le terre fertili diminuiscono a Sud del mondo e aumentano nella parte settentrionale, tant’è che alcuni grandi gruppi stavano sperimentando la possibilità di produrre cereali in Siberia, che potrebbe divenire la più grande area fertile del pianeta con il riscaldamento globale. Controllo delle risorse militari e food security: due buoni motivi per affossare la Russia, chissà se Volodymyr Zelensky ne parlerà a Sanremo.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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