
Mentre l'opposizione si aggrappa al verdetto di Fitch e tifa apertamente per una devastante manovra correttiva, Giuseppe Conte e Giovanni Tria la smentiscono. Il ministro: «Oggi l'Ue pensa prima a come stare insieme e poi al perché: bisogna fare il contrario».Il partito estivo dei Forza spread si è trasformato in quello primaverile dei Forza manovra correttiva. Un nome un po' complicato, che non riuscirà mai a sfondare il muro dei salotti bene o dei 140 e rotti caratteri di Twitter. Figuriamoci se l'augurio a pagare più tasse porterà voti nelle urne delle europee. Eppure dopo che Gian Carlo Giorgetti per primo ha aperto la crepa del rischio di varare un ritocco da 14 miliardi in occasione del Def si è aperta una girandola di smentite e di allusioni cavalcata da molti media e da chi pur di vedere cadere il governo (aspirazione legittima) preferirebbe brindare alla rovina dei nostri portafogli, con tasse in aggiunta alle tasse per l'anno 2020. Il modello è lo stesso dei Forza spread. Perseguirlo in vista del Def è però diabolico. Paradossalmente, aver portato a casa la manovra a dicembre 2018 in accordo con l'Ue ha rafforzato il governo. Aprire un tavolo significa riconoscere politicamente l'avversario. Chi adesso tifa per una manovra correttiva rischia di andare incontro allo stesso smacco politico di fine anno. Se non sarà necessario un sacrificio fiscale, l'opposizione avrà azzerato gli argomenti di dibattito a pochi giorni dalle urne elettorali di fine maggio. E perderà la strada verso qualunque confronto costruttivo. Tant'è che, al di là delle smentite di ieri (si va da Massimo Garavaglia al premier Giuseppe Conte che ha negato l'eventualità di una manovra correttiva), a spostare la palla sul campo del ragionamento costruttivo è stato il ministro Giovanni Tria. Se i dati dell'economia sono in pesante flessione, i dati del lavoro non hanno ancora subito il colpo della recessione. Significa che bisogna cambiare approccio prima che sia troppo tardi. Tutte le parti sociali invocano più investimenti pubblici, purché non si faccia deficit: cosa praticamente impossibile in tempi brevi. L'unica alternativa sarebbe tagliare la cosiddetta spesa improduttiva e - solo dopo - intervenire con un piano infrastrutturale. Cosa che però andava fatta due anni fa. Adesso non è possibile. Se si alzano le tasse, il Pil italiano si sfracella; se non si investe sui cantieri, il comparto dei costruttori (ormai praticamente l'unico colosso rimasto a galla è Salini Impregilo) finirà con lo sfasciarsi facendo perdere come minimo 100.000 posti di lavoro. Tria ieri ha tenuto subito a precisare che l'Italia non sta chiedendo che non vi siano regole. Per fronteggiare i momenti di crisi «quello che sto suggerendo», ha puntualizzato, «non è non avere regole, ma che nelle politiche economiche i tecnicismi non dovrebbero avere lo stesso peso politico delle ragioni fondamentali del cooperare tra nazioni. Non ricostruiremo mai la fiducia in questo modo. Prima dobbiamo guardare perché stiamo insieme, e poi guardare come stiamo insieme e se l'architettura risponde efficacemente. E oggi avviene il contrario», ha ammonito il ministro. «Durante il processo per l'approvazione della legge di Bilancio sembrava che l'Italia volesse mettere in discussione le regole tecniche e addirittura la moneta unica, come se l'unico motivo per stare insieme fosse il rispetto delle regole fiscali. Ma il progetto europeo», ha aggiunto Tria, «ha bisogno di puntare a qualcosa di più grande, giocando un ruolo più decisivo per una globalizzazione sostenibile». È una fase, quella che stiamo vivendo, ha incalzato ancora il ministro, che richiede «un grande sforzo comune europeo per governare i cambiamenti perché la concorrenza leale prevalga sempre sul conflitto. Il percorso necessario per uscire dalla trappola è recuperare la fiducia». Sarebbe costruttivo elaborare nuove strategie assieme all'Ue. D'altronde il macigno che è in arrivo sull'economia del continente colpirà in pieno l'Italia ma non lascerà illesi nessuno degli altri Paesi. Eppure si continua ad assistere a una iper eccitazione da notizie negative. Bastava passeggiare sui social ieri pomeriggio, in attesa del verdetto dell'agenzia di rating Fitch (arrivato in nottata, dopo la chiusura di questa edizione). Tutti a tifare la bastonata ai gialloblù. L'aggiornamento dell'outlook non è irrilevante. Una bocciatura metterà in crisi il nostro debito sovrano perché renderà molto più difficile la fase finale di Mario Draghi al vertice della Bce. Fitch aveva tre possibili scelte. Confermare il rating attuale con outlook negativo; confermare il rating e convertire l'outlook in watch negativo, facendo percepire come più vicino un possibile downgrade; tagliare il rating di un grado, con outlook stabile, come già fatto da Moody's lo scorso ottobre. Nello scenario peggiore, gli analisti stimano il ritorno dello spread a 300, con picchi a 350. C'è da scommettere che con lo spread alle stelle, la tentazione del Pd e del gruppo dei competenti sarà quella di festeggiare. Peccato che anche in caso di sfacelo, nessun elettore li premierà per avere invocato l'inferno. Ecco perché è il caso fermare le bocce e discutere di nuove regole. Stati Uniti e Cina non staranno con le mani in mano in rispetto dei cavilli di gente che vede l'eurozona come un dogma. Pechino e Washington ci mangeranno. Potremo - noi italiani - essere la prima portata, ma i due colossi non si accontenteranno della penisola. Vorranno l'intero Continente.
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