- La virologa del San Raffaele Elisa Vicenzi, esperta di Sars: «Bisogna monitorare la situazione e prenderla seriamente, non siamo in presenza di un'influenza. Sarebbe servito qualche controllo in più sugli arrivi dalla Cina, ora non rimangono che i test e la quarantena».
- In caso di segnali allarmanti, come febbre elevata, tosse secca e problemi respiratori, non bisogna recarsi in pronto soccorso.
Lo speciale contiene due articoli
I primi contagi da nuovo coronavirus in Italia non meravigliano gli epidemiologi, l'emergenza però è nella fase iniziale. Fondamentali saranno le prossime settimane e i numeri che si registreranno. La questione centrale è poter gestire i primi casi diagnosticati con «misure adeguate», come spiega alla Verità Elisa Vicenzi, capo unità di ricerca patogeni virali e biosicurezza dell'Ospedale San Raffaele di Milano.
Quali attenzioni devono essere prese per contenere il focolaio del nuovo coronavirus Covid-19?
«Le persone infette, cioè positive al test, devono essere isolate e le sospette - cioè quelle venute a contatto con un soggetto infetto - messe in quarantena per il tempo di incubazione di due settimane. La cosa importantissima è la diagnosi».
Ci vogliono i test per il Covid-19. Ma ne abbiamo a sufficienza?
«In Lombardia ci sono almeno tre centri di riferimento del calibro del Sacco e del San Matteo di Pavia a cui vanno inviati i campioni per il test. Se ci fosse un elevatissimo numero di richieste il problema sarà di tempistiche più lunghe. Ma i test ci sono e sono fondamentali, perché possono individuare le persone infettate da isolare e di applicare le misure di contenimento, come la quarantena, per chi è esposto al contagio».
L'inizio della catena del contagio sembra, in base a quello che sappiamo, un manager che lavora nel Piacentino, rientrato dalla Cina il 21 gennaio. Sta e stava bene. Avrebbe avuto solo una febbriciattola il 10 febbraio. È risultato è negativo al Covid-19. Come si spiega?
«Potrebbe aver avuto il virus, ma avrebbe combattuto l'infezione senza che desse la malattia. Questo lo sapremo trovando gli anticorpi. Il non avere segni clinci è il problema dell'infezione, perché anche chi non ha sintomi o ha sintomi lievi può essere contagioso. Per la mia esperienza, di solito, la trasmissione del virus da queste persone asintomatiche dovrebbe essere meno efficiente».
Il caso indice ha frequentato dal 1 all'8 febbraio più volte il paziente zero (cioè il primo contagiato in Italia) che ha sviluppato la polmonite negli ultimi tre giorni. Dal 21 gennaio all'8 febbraio ci sono una ventina di giorni in cui si sarebbero potuti contagiare altre persone. Quanti altri pazienti si potrebbero trovare in questi giorni?
«È troppo presto per saperlo. Si stanno tracciando in queste ore i contatti dei contagiati».
C'è qualche errore che poteva essere evitato?
«Ragionare a posteriori è facile. Un modo per contenere il focolaio è sottoporre al test tutte le persone che sono state in Cina e soprattutto nella regione dell'Hubei. Ci voleva e ci vorrebbe un controllo in più».
Magari il costo del test è elevato.
«Non so precisamente l'importo, ma non credo sia un costo che non possa essere sostenuto dal sistema sanitario».
Se il paziente zero è stato contagiato ai primi del mese, per una ventina di giorni ha potuto contagiare molte altre persone, senza saperlo. La moglie del malato più serio inoltre è incinta. Ci sono rischi maggiori?
«Abbiamo ancora pochi dati, ma i danni virali, nel caso del bambino, sono importanti nei primi mesi. Non mi sembra sia questo il caso».
Solo per tre casi positivi si è trovato il collegamento, per gli altri non si conosce la catena del contagio. Il dato è inquietante…
«Non bisogna andare nel panico. Abbiamo i test, l'isolamento e la quarantena. Non possiamo fare niente di più per contenere il contagio».
La mancanza di sintomi in chi è infetto apre molto la possibilità di contagio. Una strategia subdola per questo virus. Quanti danni può fare?
«Spero si fermi qui. In Germania il focolaio è stato contenuto».
Il virus potrebbe mutare e diventare più aggressivo?
«Per il momento potrebbe mutare, ma ci vuole un po' di tempo. Con la Sars ci sono voluti 4-5 mesi. Se è come la Sars non muta in peggio, cioè diventa meno pericoloso per l'uomo. Però queste mutazioni sono state studiate dopo, anche 10 anni».
Sul versante delle cure abbiamo qualche farmaco efficace?
«Remdesivir e l'associazione lopinavir/ritonavir, impiegati contro l'Hiv e la Sars, non sono stati testati per Covid-19. Sono somministrati ai pazienti in modo compassionevole perché non è documentata l'efficacia, servono più studi».
Cosa possiamo fare per contenere il contagio?
«Stare calmi e non perdere la bussola. È difficile, ma non è impossibile battere il virus. Mi riferisco all'esperienza della Sars. In 6-8 mesi l'allarme è rientrato. La Sars era meno contagiosa, ma più elevata in mortalità. La Covid-19 sembra un po' più contagiosa, ma meno letale. Siamo però all'inizio».
Tra quanto si potrà capire se si è fuori dal guado?
«Ci vogliono due settimane. Le prossime due sono molto importanti. Fondamentale capire come vanno i numeri. Bisogna monitorare la situazione e prendere le cose seriamente. Non siamo in presenza di un'influenza».






