True
2019-02-21
Le nostre imprese si schierano nella battaglia per la natalità
iStock
Una sessantina (58, per la precisione) piccole, grandi e grandissime imprese italiane si sono schierate a favore della natalità. Ieri mattina, a Palazzo Chigi, i rappresentanti di queste realtà produttive hanno partecipato alla prima riunione del «Tavolo nazionale di promozione del welfare aziendale» ideato e presieduto dal ministro della Famiglia Lorenzo Fontana.
C'erano colossi come Eni, Enel, Ferrovie dello Stato, Nestlé, Poste Italiane, Lottomatica, Tim, Unicredit, Ubi Banca, Sodexo, Snam, Ferrero, Esselunga, Mellin e molti altri. Tutti riuniti per condividere esperienze e buone pratiche al fine di «adottare soluzioni positive a favore della famiglia e della natalità».
Queste aziende hanno risposto all'avviso di manifestazione di interesse diffuso dal ministero il 23 novembre scorso, e si può dire che già il loro numero sia un ottimo segno. Parliamo di società che danno lavoro a migliaia e migliaia di persone, e che possono davvero contribuire a combattere il micidiale calo demografico che affligge il nostro Paese. Come dimostra lo «Studio nazionale fertilità» realizzato dal ministero della Salute (di cui parliamo nell'articolo qui a fianco), le ragioni per cui la maggioranza degli italiani rifiuta di avere figli «sono legate principalmente a fattori economici e lavorativi e all'assenza di sostegno alle famiglie con figli». Bene, con l'apporto diretto delle imprese è possibile che si riesca a modificare la situazione, promuovendo la «conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura della famiglia» nonché il sostegno alla natalità e alla maternità.
Non sono trovate propagandistiche. Anzi, i numeri mostrano che l'impegno a favore delle famiglie funziona. Nei mesi scorsi, Fontana ha studiato da vicino, tra gli altri, il caso della Mellin. Un'azienda che presenta «un tasso di natalità interno del +7,5% (contro il -3% del dato nazionale); crescita del tasso di donne manager passato dal 40% al 45% in sei anni (con il 42% delle mamme promosse a ruolo dirigenziale o quadro successivamente al ritorno dal congedo per maternità); raddoppio dei giorni di paternità dal 2011 a oggi (con il 100% dei papà che usufruisce dei giorni di paternità)».
Un tasso di natalità con il segno più davanti è un risultato incredibile. Dimostra che qualcosa si può fare per aiutare i genitori che lavorano e per spingere i lavoratori ad avere bambini. Eni, per esempio, mette a disposizione per 12 mesi all'anno un asilo aziendale che ospita circa 170 bambini. L'obiettivo del tavolo istituito da Fontana è esattamente questo: mettere insieme tutte le strategie elaborate dalle varie aziende, esaminarle e fare in modo che si diffondano il più possibile.
«Abbiamo un calo demografico purtroppo devastante», ha detto il ministro, «e questo, di qui a pochi anni, si ripercuoterà sul sistema sociale italiano e sull'economia. Ecco perché questo tavolo. Ascolteremo le idee delle aziende alcune del delle quali hanno messo in campo ottime prassi di welfare familiare. Se gli italiani sono aiutati c'è voglia di avere bambini. Ci sarà un bando che verrà scritto in base alle proposte e alla sintesi che riusciremo a fare con tutte le aziende - oggi ce ne sono quasi 60 tra le più importanti in Italia - ma terremo conto anche delle piccole aziende e dei lavoratori autonomi».
Ora le varie aziende che si sono incontrate ieri invieranno al ministero le loro proposte. Già ieri alcune hanno illustrato alla platea le iniziative già in atto. Una volta raccolte tutte le proposte, il ministero produrrà un bando aperto per sostenere le varie realtà che intendono battersi per la natalità e per sostenere i dipendenti.
I denari a disposizione per questo progetto saranno parecchi: «Grazie al Fondo famiglia che quest'anno il governo ha deciso di destinare al ministero per la Famiglia», ha detto Fontana, verrà messa sul piatto «una cifra che oscilla tra i 50 e gli 80 milioni di euro».
È un primo passo, senz'altro. Ma è una risposta concreta alla larga maggioranza di italiani che decide di non avere figli a causa dell'insicurezza economica e dei problemi sul posto di lavoro. Lo Stato ha la possibilità di fare molto a questo fine, ma l'impegno pubblico - con tutta probabilità - non è sufficiente. Ecco perché è necessario coinvolgere pure le aziende, e invitarle a preservare un bene prezioso. Senza figli e senza famiglie, dopo tutto, anche il mercato e l'intero sistema capitalistico sono destinati ad andare a rotoli.
Piccoli italiani crescono e perdono il desiderio di diventare genitori
Leggendo i risultati dello «Studio nazionale fertilità» realizzato dal ministero della Salute e presentato nei giorni scorsi, ci si imbatte in un dato sconcertante. La prima analisi su «conoscenze, comportamenti e atteggiamenti in ambito sessuale e riproduttivo» ha coinvolto tre fasce di popolazione: adolescenti, studenti universitari e adulti. Per quanto riguarda la prima fascia, sono stati intervistati 16.063 ragazzi e ragazze tra i 16 e i 17 anni. Alla domanda: «Nel tuo futuro, pensi di avere figli?», soltanto il 7% di costoro ha risposto di no, mentre il 78% ha dichiarato di aver intenzione di riprodursi. Non solo: per circa l'80% degli intervistati i figli dovrebbero arrivare prima dei trent'anni.
Interessante, vero? In un Paese in cui le nascite calano ogni anno stupisce notare che la grande maggioranza dei giovanissimi intende mettere al mondo qualche erede. Il problema sorge quando si esaminano le risposte fornite dagli adulti (persone tra i 18 e i 49 anni). «Per quanto riguarda la propensione alla procreazione», si legge nel rapporto, «un po' meno della metà dei rispondenti (44%) dichiara di non essere intenzionato ad avere figli; il 4% è incerto ma pensa di no e il 7% non ci ha ancora pensato». Significa che circa un adulto su due non vuole avere bambini.
Certo, il dato comprende anche qualcuno che è già genitore e non desidera altri pargoli. Ma se prendiamo in esame solo gli adulti che «non hanno figli (né propri, naturali o adottivi, né del partner)», si scopre che «quasi 1/3 delle persone senza figli (31%) dichiara di non volerne neppure in futuro o di non averci pensato».
L'aspetto più sconfortante di tutta la faccenda sta proprio nella differenza fra le risposte dei più giovani e quelle degli adulti. In buona sostanza, gli italiani adolescenti appaiono molto motivati, desiderano diventare genitori, e anche abbastanza presto. Poi, però, accade qualcosa. Praticamente tutti cambiano idea una volta cresciuti. Perché accade? «Le motivazioni per rinunciare o rinviare la nascita di un figlio, escludendo dalla stima le persone senza un partner o che riferiscono problemi di fertilità», spiega il rapporto, «sono legate principalmente a fattori economici e lavorativi e all'assenza di sostegno alle famiglie con figli (41%), seguiti da quelli collegati alla vita di coppia (26%) o alla sfera personale (19%); infine ci sono problemi di salute (17%) o legati alla gestione della famiglia (12%)».
Ecco il punto. Diventando adulti arrivano le preoccupazioni per il lavoro e per il bilancio famigliare. Ci si sente da soli ad affrontare una sfida difficile. E si perde quasi totalmente l'entusiasmo. Ovviamente non è soltanto una questione di soldi: a monte c'è un gigantesco problema culturale. Il dato nudo e crudo certifica che la società in cui viviamo si batte contro la vita, disincentiva alla riproduzione e spinge verso la solitudine e l'isolamento. Anche per questo, probabilmente, tutte le iniziative a favore della famiglia vengono osteggiate e contestate. Ad esempio il Congresso mondiale delle famiglie in programma a Verona dal 29 al 31 marzo. Appena la riunione è stata annunciata sono cominciate a piovere contestazioni. Emma Bonino e Riccardo Magi hanno presentato un'interrogazione parlamentare alla presidenza del Consiglio dei ministri per chiedere che sia levato il patrocinio istituzionale garantito alla manifestazione.
Eppure eventi del genere sono fondamentali, proprio perché è necessario invertire la tendenza, e opporsi alla cultura nemica della riproduzione. Ieri Pro vita e gli altri organizzatori hanno diffuso sulla Rete un video promozionale del Congresso delle famiglie. L'attore protagonista del filmato, a un certo punto, dice una cosa estremamente semplice, perfino banale: «L'eroe è chi accende la speranza nel mondo. E il mondo ha bisogno di eroi». È un'affermazione sacrosanta: oggi è un gesto quasi eroico mettere al mondo dei figli. E bisogna riaccendere la speranza nel futuro che i giovani italiani, crescendo, perdono per strada.
Continua a leggereRiduci
Ieri il primo appuntamento del tavolo voluto dal ministro Fontana: 58 realtà piccole e grandi si sono riunite per condividere buone pratiche a favore dei lavoratori che vogliono dei bimbi.Piccoli italiani crescono e perdono il desiderio di diventare genitori. Un rapporto del ministero della Salute mostra che il 78% degli adolescenti intende fare figli. Ma quando i ragazzi diventano adulti cambiano idea: la maggioranza preferisce non riprodursi. Lo speciale contiene due articoli.Una sessantina (58, per la precisione) piccole, grandi e grandissime imprese italiane si sono schierate a favore della natalità. Ieri mattina, a Palazzo Chigi, i rappresentanti di queste realtà produttive hanno partecipato alla prima riunione del «Tavolo nazionale di promozione del welfare aziendale» ideato e presieduto dal ministro della Famiglia Lorenzo Fontana. C'erano colossi come Eni, Enel, Ferrovie dello Stato, Nestlé, Poste Italiane, Lottomatica, Tim, Unicredit, Ubi Banca, Sodexo, Snam, Ferrero, Esselunga, Mellin e molti altri. Tutti riuniti per condividere esperienze e buone pratiche al fine di «adottare soluzioni positive a favore della famiglia e della natalità».Queste aziende hanno risposto all'avviso di manifestazione di interesse diffuso dal ministero il 23 novembre scorso, e si può dire che già il loro numero sia un ottimo segno. Parliamo di società che danno lavoro a migliaia e migliaia di persone, e che possono davvero contribuire a combattere il micidiale calo demografico che affligge il nostro Paese. Come dimostra lo «Studio nazionale fertilità» realizzato dal ministero della Salute (di cui parliamo nell'articolo qui a fianco), le ragioni per cui la maggioranza degli italiani rifiuta di avere figli «sono legate principalmente a fattori economici e lavorativi e all'assenza di sostegno alle famiglie con figli». Bene, con l'apporto diretto delle imprese è possibile che si riesca a modificare la situazione, promuovendo la «conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura della famiglia» nonché il sostegno alla natalità e alla maternità. Non sono trovate propagandistiche. Anzi, i numeri mostrano che l'impegno a favore delle famiglie funziona. Nei mesi scorsi, Fontana ha studiato da vicino, tra gli altri, il caso della Mellin. Un'azienda che presenta «un tasso di natalità interno del +7,5% (contro il -3% del dato nazionale); crescita del tasso di donne manager passato dal 40% al 45% in sei anni (con il 42% delle mamme promosse a ruolo dirigenziale o quadro successivamente al ritorno dal congedo per maternità); raddoppio dei giorni di paternità dal 2011 a oggi (con il 100% dei papà che usufruisce dei giorni di paternità)».Un tasso di natalità con il segno più davanti è un risultato incredibile. Dimostra che qualcosa si può fare per aiutare i genitori che lavorano e per spingere i lavoratori ad avere bambini. Eni, per esempio, mette a disposizione per 12 mesi all'anno un asilo aziendale che ospita circa 170 bambini. L'obiettivo del tavolo istituito da Fontana è esattamente questo: mettere insieme tutte le strategie elaborate dalle varie aziende, esaminarle e fare in modo che si diffondano il più possibile. «Abbiamo un calo demografico purtroppo devastante», ha detto il ministro, «e questo, di qui a pochi anni, si ripercuoterà sul sistema sociale italiano e sull'economia. Ecco perché questo tavolo. Ascolteremo le idee delle aziende alcune del delle quali hanno messo in campo ottime prassi di welfare familiare. Se gli italiani sono aiutati c'è voglia di avere bambini. Ci sarà un bando che verrà scritto in base alle proposte e alla sintesi che riusciremo a fare con tutte le aziende - oggi ce ne sono quasi 60 tra le più importanti in Italia - ma terremo conto anche delle piccole aziende e dei lavoratori autonomi».Ora le varie aziende che si sono incontrate ieri invieranno al ministero le loro proposte. Già ieri alcune hanno illustrato alla platea le iniziative già in atto. Una volta raccolte tutte le proposte, il ministero produrrà un bando aperto per sostenere le varie realtà che intendono battersi per la natalità e per sostenere i dipendenti.I denari a disposizione per questo progetto saranno parecchi: «Grazie al Fondo famiglia che quest'anno il governo ha deciso di destinare al ministero per la Famiglia», ha detto Fontana, verrà messa sul piatto «una cifra che oscilla tra i 50 e gli 80 milioni di euro». È un primo passo, senz'altro. Ma è una risposta concreta alla larga maggioranza di italiani che decide di non avere figli a causa dell'insicurezza economica e dei problemi sul posto di lavoro. Lo Stato ha la possibilità di fare molto a questo fine, ma l'impegno pubblico - con tutta probabilità - non è sufficiente. Ecco perché è necessario coinvolgere pure le aziende, e invitarle a preservare un bene prezioso. Senza figli e senza famiglie, dopo tutto, anche il mercato e l'intero sistema capitalistico sono destinati ad andare a rotoli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/le-nostre-imprese-si-schierano-nella-battaglia-per-la-natalita-2629525722.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piccoli-italiani-crescono-e-perdono-il-desiderio-di-diventare-genitori" data-post-id="2629525722" data-published-at="1764864893" data-use-pagination="False"> Piccoli italiani crescono e perdono il desiderio di diventare genitori Leggendo i risultati dello «Studio nazionale fertilità» realizzato dal ministero della Salute e presentato nei giorni scorsi, ci si imbatte in un dato sconcertante. La prima analisi su «conoscenze, comportamenti e atteggiamenti in ambito sessuale e riproduttivo» ha coinvolto tre fasce di popolazione: adolescenti, studenti universitari e adulti. Per quanto riguarda la prima fascia, sono stati intervistati 16.063 ragazzi e ragazze tra i 16 e i 17 anni. Alla domanda: «Nel tuo futuro, pensi di avere figli?», soltanto il 7% di costoro ha risposto di no, mentre il 78% ha dichiarato di aver intenzione di riprodursi. Non solo: per circa l'80% degli intervistati i figli dovrebbero arrivare prima dei trent'anni. Interessante, vero? In un Paese in cui le nascite calano ogni anno stupisce notare che la grande maggioranza dei giovanissimi intende mettere al mondo qualche erede. Il problema sorge quando si esaminano le risposte fornite dagli adulti (persone tra i 18 e i 49 anni). «Per quanto riguarda la propensione alla procreazione», si legge nel rapporto, «un po' meno della metà dei rispondenti (44%) dichiara di non essere intenzionato ad avere figli; il 4% è incerto ma pensa di no e il 7% non ci ha ancora pensato». Significa che circa un adulto su due non vuole avere bambini. Certo, il dato comprende anche qualcuno che è già genitore e non desidera altri pargoli. Ma se prendiamo in esame solo gli adulti che «non hanno figli (né propri, naturali o adottivi, né del partner)», si scopre che «quasi 1/3 delle persone senza figli (31%) dichiara di non volerne neppure in futuro o di non averci pensato». L'aspetto più sconfortante di tutta la faccenda sta proprio nella differenza fra le risposte dei più giovani e quelle degli adulti. In buona sostanza, gli italiani adolescenti appaiono molto motivati, desiderano diventare genitori, e anche abbastanza presto. Poi, però, accade qualcosa. Praticamente tutti cambiano idea una volta cresciuti. Perché accade? «Le motivazioni per rinunciare o rinviare la nascita di un figlio, escludendo dalla stima le persone senza un partner o che riferiscono problemi di fertilità», spiega il rapporto, «sono legate principalmente a fattori economici e lavorativi e all'assenza di sostegno alle famiglie con figli (41%), seguiti da quelli collegati alla vita di coppia (26%) o alla sfera personale (19%); infine ci sono problemi di salute (17%) o legati alla gestione della famiglia (12%)». Ecco il punto. Diventando adulti arrivano le preoccupazioni per il lavoro e per il bilancio famigliare. Ci si sente da soli ad affrontare una sfida difficile. E si perde quasi totalmente l'entusiasmo. Ovviamente non è soltanto una questione di soldi: a monte c'è un gigantesco problema culturale. Il dato nudo e crudo certifica che la società in cui viviamo si batte contro la vita, disincentiva alla riproduzione e spinge verso la solitudine e l'isolamento. Anche per questo, probabilmente, tutte le iniziative a favore della famiglia vengono osteggiate e contestate. Ad esempio il Congresso mondiale delle famiglie in programma a Verona dal 29 al 31 marzo. Appena la riunione è stata annunciata sono cominciate a piovere contestazioni. Emma Bonino e Riccardo Magi hanno presentato un'interrogazione parlamentare alla presidenza del Consiglio dei ministri per chiedere che sia levato il patrocinio istituzionale garantito alla manifestazione. Eppure eventi del genere sono fondamentali, proprio perché è necessario invertire la tendenza, e opporsi alla cultura nemica della riproduzione. Ieri Pro vita e gli altri organizzatori hanno diffuso sulla Rete un video promozionale del Congresso delle famiglie. L'attore protagonista del filmato, a un certo punto, dice una cosa estremamente semplice, perfino banale: «L'eroe è chi accende la speranza nel mondo. E il mondo ha bisogno di eroi». È un'affermazione sacrosanta: oggi è un gesto quasi eroico mettere al mondo dei figli. E bisogna riaccendere la speranza nel futuro che i giovani italiani, crescendo, perdono per strada.
(Ansa)
L’attività, eseguita dal Commissariato Greco-Turro, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica e dalla Procura per i Minorenni di Milano, tramite misure cautelari e fermi. Venerdì 21 novembre, i poliziotti hanno infatti sottoposto a fermo due 22enni. Nel corso della settimana, inoltre, gli agenti hanno eseguito un’altra ordinanza nei confronti di tre giovani di 15, 20 e 22 anni.
Il 22enne destinatario di quest’ultimo provvedimento è anche uno dei due indagati fermati il 21 novembre per la rapina avvenuta a Caiazzo una decina di giorni prima.
Continua a leggereRiduci
Il mosaico romano scoperto dai bersaglieri dopo la battaglia di Ain Zara (Getty Images)
Il 4 dicembre 1911 i cannoni italiani tuonarono ad Ain Zara, un’oasi fortificata a circa 15 chilometri a sud di Tripoli, capitale conquistata dagli Italiani nell’ottobre precedente, all’esordio della guerra di Libia. La zona era ancora fortemente presidiata da truppe arabo-ottomane, che minacciavano costantemente la città in mano agli italiani.
All’alba del giorno stabilito per l’offensiva, il Regio Esercito iniziò la marcia diviso in tre colonne cui presero parte quattro Reggimenti di fanteria, uomini del 4°Reggimento artiglieria da montagna e del 1° Artiglieria da campagna supportati da reparti del Genio. Lo scontro fu duro, gli arabi (che eguagliavano quasi nel numero gli italiani) offrirono una strenua resistenza. Solo l’azione delle artiglierie fu in grado di risolvere la situazione e, dopo una battaglia corpo a corpo all’interno dell’oasi e 15 caduti tra gli italiani, poco dopo le 15 su Ain Zara sventolava il tricolore con lo stemma sabaudo. Fu per la campagna di Libia una vittoria importante perché da quel momento Tripoli non fu più minacciata e perché fu la prima azione concertata del Regio Esercito fuori dall’Europa.
Il 6 dicembre 1911 un avvenimento legato al combattimento di due giorni prima aggiunse importanza all’oasi appena conquistata. Nel pomeriggio i bersaglieri del 33°battaglione dell’11°Reggimento che stavano eseguendo lavori di trinceramento si accorsero di aver dissotterrato dalla sabbia un mosaico. Verso le 17 emerse dal terreno quello che appariva un raffinato manufatto perfettamente conservato, con disegni geometrici e motivi vegetali, di 6,75X5,80 metri. A prima vista, quella dei bersaglieri e dei loro ufficiali sottotenente Braida e più tardi maggiore Barbiani e colonnello Fara, appariva come il pavimento di una villa. Inizialmente attribuito all’età degli Antonini (92-192 d.C.). Più tardi, dopo l’analisi fatta dagli archeologi guidati dal professor Salvatore Aurigemma, si ipotizzò una collocazione cronologica più precisa e corrispondente all’età di Marco Aurelio. I bersaglieri, con la conquista dell’oasi di Ain Zara, avevano riportato alla luce un frammento dell’antica Oea, l’attuale Tripoli. Negli anni successivi, a poca distanza dal campo di battaglia del dicembre 1911 fu riportato alla luce quello che attualmente è l’unico monumento integro dell’antica città della Tripolitania romana: l’arco di Marco Aurelio, che fu trovato poco dopo la fine delle ostilità. Un altro pezzo del grande patrimonio archeologico della Libia romana, che i pezzi da 149/23 e quelli da 75/27 dell’artiglieria alpina contribuirono involontariamente a riportare alla luce.
Continua a leggereRiduci