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2018-10-09
Mattarella congela le nomine del governo gialloblù. Tria prova a sbloccare il Gse
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ANSA
E' nebbia fitta sulla nomina del presidente e amministratore delegato di Gse (Gestore dei servizi energetici), poltrona da 16 miliardi di euro anno per gli incentivi alle rinnovabili. Gestita dal ministero dell'Economia, ma per alcuni indirizzi anche dal ministero dello Sviluppo Economico, è l'esempio perfetto delle tensioni tra il Mef e il Mise, tra Giovanni Tria e Luigi Di Maio. Lo ha ben teorizzato Paolo Savona, il ministero per i Rapporti con l'europa, ieri di fronte alla stampa estera. «Io riesco a discutere di economia con Di Maio e Salvini, ma loro nei posti chiave hanno chiamato quattro tecnici, qualche coscienza ce l'hanno. Io al loro posto non avrei ceduto questi posti. Loro hanno scelto dei tecnici al Mef, nel mio Ministero, agli Esteri e alla Presidenza del Consiglio. E il punto è che la responsabilità se la deve prendere il popolo e non il tecnico». Il punto di fondo è sempre lo stesso. Se già sulla manovra proseguono da un mese tensioni di ogni tipo, in particolare sui guardiani del tesoro, dal capo di gabinetto Roberto Garofoli al direttore generale Alessandro Rivera, figuriamoci sulle nomine pesanti nel settore economico.
Non sono servite a nulla le parole del deputato pentastellato Davide Crippa, Sottosegretario allo sviluppo economico con delega all'energia, che venerdì scorso chiedeva a gran voce risolvere l'impasse su Gse. Mancano poche ore alla settima assemblea degli azionisti del Gse che dovrebbe finalmente nominare presidente e amministratore delegato della società ed approvarne il bilancio. Una decisione, questa, attesa da tempo sia dalle istituzioni pubbliche che dal mondo delle imprese, oltre che dall'intero comparto energetico ma, fra gli addetti ai lavori, comincia a serpeggiare il timore che anche questa ennesima riunione possa concludersi con una fumata nera». Così è stato. E' la sesta volta che non se ne arriva a una. A quanto pare su Roberto Moneta, direttore del dipartimento unità tecnica efficienza energetica, dell'Enea, candidato pentastellato, ci sarebbe il no di Tria. Ma è molto probabile che lo stallo sia dovuto anche al Quirinale, che sorveglia con attenzione anche le prossime nomine in scadenza. A quanto pare adesso su Gse si starebbe trovando la quadra su Sergio Santoro, presidente di sezione del Consiglio di Stato, che vanta la maggiore anzianità di servizio. Di lui si ricorda soprattutto l'esperienza a capo dell'allora Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, poi diventata l'odierna Anac (Anticorruzione).
Santoro è stato anche consigliere del governo Berlusconi III per l'attività di monitoraggio e trasparenza amministrativa. In sostanza, di certo non un candidato a 5 stelle. Nelle ultime ore della pratica se ne è occupata Claudia Bugno, consulente esterna già dentro il consiglio di amministrazione di banca Etruria.
Del resto non c'è solo la nomina di Gse a preoccupare i sonni dello Stato profondo, il deep state italiano che dipende dal Quirinale. C'è anche la Consob, con un Mario Nava dimissionario, l'Antitrust, persino Invitalia, in scadenza il prossimo anno. Nulla si muove. Negli ultimi giorni si è molto parlato della possibilità che il posto di Nava venisse preso da Antonio Maria Rinaldi, l'economista allievo di Savona, voce in queste settimane della politica economica del governo Lega-5 Stelle. Ma c'è pure chi parla di Francesco Greco, il capo della procura di Milano. Non si muove una foglia. Persino sull'Antitrust, che in teoria dovrebbe andare alla Lega, c'è nebbia fitta. Circola il nome di Marina Tavassi, presidente della Corte d'Appello di Milano. Ma questo nome gira da un mese, a vuoto. E poi c'è sempre lo stallo sulle nomine di Dis e Aise, i nostri servizi segreti. A quanto pare è molto probabile che gli attuali direttori Alessandro Pansa e Alberto Manenti completino tutto il mandato, prorogato la scorsa primavera dal dimissionario governo Gentiloni.
La conferenza sulla questione libica, prevista a Palermo il 12 e 13 novembre, sarà lo spartiacque. Lo si è intuito da un articolo uscito lo scorso fine settimana su Repubblica, dove l'intelligence rimarcava l'impossibilità di operare perché in scadenza. A quanto filtra, se gli attuali vertici riusciranno a rimanere in sella fine a quella data la loro permanenza fino ad aprile 2019 sarà molto probabile. L'esisto della conferenza libica poi appare abbastanza scontato, considerato che l'ipotesi di svolgere elezioni in Libia entro l'anno - come sostenuto dai francesi - sembra ormai tramontata e la Russia ha garantito la propria partecipazione. L'epilogo della conferenza sarà l'occasione per strappare, da parte degli attuali vertici, la permanenza fino ad aprile. Se fino ad ora le tanto annunciate sostituzioni dei vertici dell'intelligence non sono ancora state attuate i motivi sono sempre da ricercare all'interno delle tecnostrutture della pubblica amministrazione italiana.
Contiguo alla realtà del comparto intelligence esiste una varietà di stakeholder che, più o meno velatamente, ha fatto sentire la sua voce in questi ultimi mesi. Tra questi i più influenti sono come sempre il Quirinale, l'Eni e l'industria militare italiana per eccellenza, Leonardo. L'esecutivo ha ascoltato tutti e in questo periodo, in cui è impegnato su una delicata manovra finanziaria, non vuole aprire altri fronti o scontentare utili portatori d'interesse che in questo periodo critico potrebbero indebolirlo. Di fondo l'unica nomina cambiata in queste ore è quella di Adriana Cerretelli, nuovo portavoce di Tria, ex giornalista del Sole 24 Ore e forte europeista. Si tratta di un messaggio chiaro al governo gialloblu di Giuseppe Conte, dove negli ultimi giorni appare un po' più defilato il ruolo di Rocco Casalino, dopo il caso dell'audio su whatsapp dove minacciava i tecnici del Mef.
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E' ancora stallo sul rinnovo dei vertici di Consob, Antitrust, Aise e Dis. Il governo Lega-5 stelle non riesce a a far passare nulla, anche per le troppe tensioni sulla manovra economica. Il Quirinale sorveglia e intanto il tempo passa, senza che l'esecutivo riesca a mettere mano a incarichi importanti e decisivi per la gestione dello Stato. Oggi l'assemblea del Gse, gestore dei servizi energetici. In pole position Sergio Santoro, presidente di sezione del Consiglio di Stato: il ministro dell'Economia ha affidato la pratica a Claudia Bugno.E' nebbia fitta sulla nomina del presidente e amministratore delegato di Gse (Gestore dei servizi energetici), poltrona da 16 miliardi di euro anno per gli incentivi alle rinnovabili. Gestita dal ministero dell'Economia, ma per alcuni indirizzi anche dal ministero dello Sviluppo Economico, è l'esempio perfetto delle tensioni tra il Mef e il Mise, tra Giovanni Tria e Luigi Di Maio. Lo ha ben teorizzato Paolo Savona, il ministero per i Rapporti con l'europa, ieri di fronte alla stampa estera. «Io riesco a discutere di economia con Di Maio e Salvini, ma loro nei posti chiave hanno chiamato quattro tecnici, qualche coscienza ce l'hanno. Io al loro posto non avrei ceduto questi posti. Loro hanno scelto dei tecnici al Mef, nel mio Ministero, agli Esteri e alla Presidenza del Consiglio. E il punto è che la responsabilità se la deve prendere il popolo e non il tecnico». Il punto di fondo è sempre lo stesso. Se già sulla manovra proseguono da un mese tensioni di ogni tipo, in particolare sui guardiani del tesoro, dal capo di gabinetto Roberto Garofoli al direttore generale Alessandro Rivera, figuriamoci sulle nomine pesanti nel settore economico. Non sono servite a nulla le parole del deputato pentastellato Davide Crippa, Sottosegretario allo sviluppo economico con delega all'energia, che venerdì scorso chiedeva a gran voce risolvere l'impasse su Gse. Mancano poche ore alla settima assemblea degli azionisti del Gse che dovrebbe finalmente nominare presidente e amministratore delegato della società ed approvarne il bilancio. Una decisione, questa, attesa da tempo sia dalle istituzioni pubbliche che dal mondo delle imprese, oltre che dall'intero comparto energetico ma, fra gli addetti ai lavori, comincia a serpeggiare il timore che anche questa ennesima riunione possa concludersi con una fumata nera». Così è stato. E' la sesta volta che non se ne arriva a una. A quanto pare su Roberto Moneta, direttore del dipartimento unità tecnica efficienza energetica, dell'Enea, candidato pentastellato, ci sarebbe il no di Tria. Ma è molto probabile che lo stallo sia dovuto anche al Quirinale, che sorveglia con attenzione anche le prossime nomine in scadenza. A quanto pare adesso su Gse si starebbe trovando la quadra su Sergio Santoro, presidente di sezione del Consiglio di Stato, che vanta la maggiore anzianità di servizio. Di lui si ricorda soprattutto l'esperienza a capo dell'allora Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, poi diventata l'odierna Anac (Anticorruzione). Santoro è stato anche consigliere del governo Berlusconi III per l'attività di monitoraggio e trasparenza amministrativa. In sostanza, di certo non un candidato a 5 stelle. Nelle ultime ore della pratica se ne è occupata Claudia Bugno, consulente esterna già dentro il consiglio di amministrazione di banca Etruria.Del resto non c'è solo la nomina di Gse a preoccupare i sonni dello Stato profondo, il deep state italiano che dipende dal Quirinale. C'è anche la Consob, con un Mario Nava dimissionario, l'Antitrust, persino Invitalia, in scadenza il prossimo anno. Nulla si muove. Negli ultimi giorni si è molto parlato della possibilità che il posto di Nava venisse preso da Antonio Maria Rinaldi, l'economista allievo di Savona, voce in queste settimane della politica economica del governo Lega-5 Stelle. Ma c'è pure chi parla di Francesco Greco, il capo della procura di Milano. Non si muove una foglia. Persino sull'Antitrust, che in teoria dovrebbe andare alla Lega, c'è nebbia fitta. Circola il nome di Marina Tavassi, presidente della Corte d'Appello di Milano. Ma questo nome gira da un mese, a vuoto. E poi c'è sempre lo stallo sulle nomine di Dis e Aise, i nostri servizi segreti. A quanto pare è molto probabile che gli attuali direttori Alessandro Pansa e Alberto Manenti completino tutto il mandato, prorogato la scorsa primavera dal dimissionario governo Gentiloni. La conferenza sulla questione libica, prevista a Palermo il 12 e 13 novembre, sarà lo spartiacque. Lo si è intuito da un articolo uscito lo scorso fine settimana su Repubblica, dove l'intelligence rimarcava l'impossibilità di operare perché in scadenza. A quanto filtra, se gli attuali vertici riusciranno a rimanere in sella fine a quella data la loro permanenza fino ad aprile 2019 sarà molto probabile. L'esisto della conferenza libica poi appare abbastanza scontato, considerato che l'ipotesi di svolgere elezioni in Libia entro l'anno - come sostenuto dai francesi - sembra ormai tramontata e la Russia ha garantito la propria partecipazione. L'epilogo della conferenza sarà l'occasione per strappare, da parte degli attuali vertici, la permanenza fino ad aprile. Se fino ad ora le tanto annunciate sostituzioni dei vertici dell'intelligence non sono ancora state attuate i motivi sono sempre da ricercare all'interno delle tecnostrutture della pubblica amministrazione italiana. Contiguo alla realtà del comparto intelligence esiste una varietà di stakeholder che, più o meno velatamente, ha fatto sentire la sua voce in questi ultimi mesi. Tra questi i più influenti sono come sempre il Quirinale, l'Eni e l'industria militare italiana per eccellenza, Leonardo. L'esecutivo ha ascoltato tutti e in questo periodo, in cui è impegnato su una delicata manovra finanziaria, non vuole aprire altri fronti o scontentare utili portatori d'interesse che in questo periodo critico potrebbero indebolirlo. Di fondo l'unica nomina cambiata in queste ore è quella di Adriana Cerretelli, nuovo portavoce di Tria, ex giornalista del Sole 24 Ore e forte europeista. Si tratta di un messaggio chiaro al governo gialloblu di Giuseppe Conte, dove negli ultimi giorni appare un po' più defilato il ruolo di Rocco Casalino, dopo il caso dell'audio su whatsapp dove minacciava i tecnici del Mef.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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