2020-04-19
Misteri, milioni, ditte offshore: è scandalo mascherine in Lazio
In totale, la Regione ha stanziato 133 milioni di euro. Fra i fortunati, pure un'azienda di design con sede alle Cayman e l'editore croato di «Eva 3000»: per lui ordine da 26 milioni per Ffp2 e 430.000 camici.La Regione Lazio non ha replicato a quanto affermato dalla multinazionale 3M a proposito della fornitura di mascherine da parte della società svizzera Exor e della Eco tech di Roma (ditta da un milione di fatturato). Il problema era un affidamento diretto da oltre 35 milioni di euro per mascherine e altri dispositivi. La Regione, l'8 aprile scorso, aveva detto che la Exor era un «distributore ufficiale» della 3M. La seconda l'ha smentita: «3M Italia tiene a precisare che né Eco tech né Exor risultano essere presenti nell'anagrafica clienti o distributori». Una bomba. Eppure nessuno in Regione ha replicato. Ha continuato a girare solo un documento senza firma in cui la Regione spiegava perché avesse scelto per un affidamento diretto da 35 milioni una società controllata da due psicologhe e un misterioso cinese residente nel suo Paese natio, che sino a quel momento si era occupato di materiale elettrico. Nel documento, intitolato «Cosa, come, perché» (sottotitolo «Gli acquisti effettuati presso la società Eco tech srl»), si leggono i motivi che hanno portato a scegliere l'azienda laziale: «Il prezzo proposto (3,90 euro per le mascherine Ffp3 e 3,40 per le Ffp2, ndr) è il più basso tra i preventivi ricevuti per la stessa tipologia di prodotto» e «tra le condizioni di pagamento proposte dai preventivi indicati la Eco tech, con la Servimed, è l'unica che non ha richiesto l'integrale pagamento anticipato ma acconto del 50%». Sarà, ma quando abbiamo provato a chiedere al portavoce del governatore Nicola Zingaretti, Emanuele Lanfranchi, che cosa rispondessero alla 3M, il commento è stato: no comment.In compenso, a proposito dei presunti buchi nelle forniture, ha tenuto a precisare che «il magazzino non ha carenze, ci sono sei milioni di dispositivi di protezione». Gli stessi numeri che si trovavano nel documento senza firma del 14 aprile. Ma se la Regione rivendica di aver risparmiato grazie alla Eco tech, la 3M ha voluto precisare di non aver «modificato i prezzi dei propri prodotti a seguito dell'epidemia, ed è impegnata attivamente nella lotta contro le speculazioni sui prezzi».In questi giorni si è fantasticato sull'affidamento da oltre 4 milioni di euro dato alla Worldwide luxury corner srl dell'imprenditrice fiorentina Patrizia Colbertaldo. Infatti la ditta non ha mai prodotto un bilancio e risulta inattiva. La donna è stata candidata nel 2008 nella Lista civica per Rutelli che sosteneva come presidente del Municipio di Ostia Paolo Orneli, attuale assessore regionale del Lazio al Commercio. La signora, contatta dalla Verità, ha negato ogni legame con Orneli e ci ha spiegato di essersi candidata su consiglio di un altro assessore dell'epoca, Patrizia Cenni. «Io Orneli neppure lo conosco». Ci ha confermato di essere una naturopata e di avere difficoltà come imprenditrice. La Colbertaldo ha ammesso di essersi lanciata nel business dei Dpi sfruttando la sua conoscenza delle lingue e il fiuto commerciale. I fornitori cinesi a cui si è rivolta li avrebbe individuati lavorando giorno e notte davanti al computer, confrontando prezzi e caratteristiche dei dispositivi: «In fondo, facendo la naturopata, un po' di medicina la mastico».A questo punto, preventivi in mano, avrebbe iniziato a tempestare di mail tutte le regioni con le sue offerte, oltre che la Protezione civile. Le avrebbero risposto in molti, compreso Angelo Borrelli, ma nessuno era disponibile a dare anticipi: «Tutti pagamenti a 20 giorni dalla consegna» ci racconta. Solo il Lazio ha accettato le sue condizioni. Sono iniziati giorni di trattative serrate. Qui inizia la parte più interessante del racconto. Dopo essere stata inserita nell'albo dei fornitori della Regione, viene subissata di telefonate da strutture sanitarie e associazioni. Poi improvvisamente il telefono diventa muto. «Non mi chiamava più nessuno. Quindi, visto che sono una tipa sveglia e che il bonifico con l'anticipo non arrivava, ho richiamato la Protezione civile. Li ho sentiti traccheggiare, per cui ho detto “Io sto venendo in protezione civile, a firmare". Lui: “Ok"». Prende e vola a Roma, dove firma. Probabilmente in extremis. La sua offerta viene protocollata il 13 marzo. Il 15 quella della Eco tec. Ma la giunta il 15 firma la determina della Eco tec e solo il 18 quello della Worldwide. «Anche se le mie mascherine Ffp2 costavano solo 3,06 euro». Dal racconto della Colbertaldo l'approvvigionamento dei dispositivi di protezione e di quelli medici deve assomigliare al Mercante in fiera, dove da un momento all'altro puoi essere soppiantato da un concorrente, che non necessariamente fa il prezzo migliore. La signora aveva anche un altro affare in piedi: 300 respiratori con compressore e monitor inclusi da 11.894 euro l'uno. Improvvisamente le arriva dalla Regione una mail di revoca dell'ordine con indicato un numero sbagliato di respiratori (200). Il 19 marzo la Regione firma una determina per 300 respiratori con un'azienda di Arezzo, la Seco spa, al prezzo di 4.259.922,80, Iva compresa (14.199,7 cadauno, 11.639,13 senza l'Iva). La Colbertaldo è arrabbiata: «Può davvero pensare che io abbia amici politici e soprattutto di sinistra?».Ma tra le stranezze negli affidamenti fatti dalla Regione Lazio non finiscono qui: basti pensare al capitolo delle società estere, in alcuni casi offshore, i cui dettagli societari non compaiono nelle banche dati delle Camere di commercio italiane. Si riesce ad avere un quadro grazie alle fonti aperte. Alla Wisdom glory holdings ltd la Regione Lazio ha chiesto 2 milioni di mascherine Ffp2 al prezzo di 4,6 milioni di euro. La società ha una pagina Facebook sulla quale si pubblicizza come azienda di design e arredamento, nonostante la penuria di like: solo 28. C'è un ricco catalogo di prodotti per interni lungo 64 pagine. Risulta domiciliata a Hong Kong e ha uffici a Taiwan, ma la holding è registrata alle isole Cayman, paradiso fiscale. La ditta è presente, come anticipato dal Fattoquotidiano.it, nel database degli Offshore Leaks creato nel 2013 dall'International consortium of investigative journalists, quello dei Panama Papers. Lì si apprende che fa capo a un certo Shui Lin Chu, che compare anche in un'altra Ltd. Sempre offshore. C'è poi la Goldbean ltd, fondata nel 1991 con sede a Hong Kong, che deve consegnare al Lazio 2 milioni di Ffp2 e 2 milioni di mascherine triplo strato Cov 20. L'importo della commessa è di quasi 6 milioni di euro. Acconto del 50% versato e spedizione garantita entro il 7 aprile. Ufficialmente la linea di business è legata alla fornitura di servizi. Degna di nota anche la European network tlc srl, sede a Milano. L'accordo con la Regione Lazio riguarda 5 milioni di mascherine Ffp2 a di 3,5 euro più Iva l'una, per oltre 21 milioni. Acconto del 50% e consegna entro dieci giorni dall'ordine (firmato il 17 marzo). Lo stesso fornitore ha ricevuto un'altra commessa per 430.000 camici a 10 euro l'uno più Iva. Importo complessivo di altri 5 milioni di euro (ordine del 25 marzo). Pare sia l'unico caso in cui la Regione ha chiesto una polizza fideiussoria a garanzia. La società fa capo ad Andelko Aleksic detto Angelo, 40 anni, editore croato a capo di una società con 10.000 euro di capitale sociale e tre dipendenti. Il suo gruppo possiede riviste di gossip come Eva 3000 e Vip magazine.Altra società che non sembra avere a che fare con i dispositivi di protezione è la Idp srl, Industra divani e poltrone. Sede principale a Cogliate (Monza e Brianza) e un solo socio: Sergio Facotti. Ha dieci unità operative sparse per il Nord Italia. La Regione Lazio ha affidato al produttore di sofà una fornitura di 5.000 Ffp3 3M al prezzo unitario di 4,45 euro Iva esclusa. L'ordine risale al 2 aprile, con consegna prevista per il 4. Al momento anche questo risulta non pervenuto.
Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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