2020-05-13
Le imprese chiedono lo scudo penale per proteggersi in caso di contagi
Nunzia Catalfo (Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori via Getty Images)
Il Covid è considerato infortunio sul lavoro: si rischia il processo per lesioni e omicidio.Stridore di freni sulla ripartenza; piccole aziende, artigiani e commercianti sono in allarme. A provocare l'improvviso scetticismo in un ambiente tutt'altro che allegro è la decisione del governo di equiparare nel decreto Cura Italia il contagio da Covid-19 a un infortunio sul lavoro, passaggio fondamentale per far intervenire l'Inail nella gestione della copertura assicurativa. Il procedimento legislativo ha una conseguenza giudiziaria immediata: i datori di lavoro rischiano il processo penale nel caso in cui il dipendente si ammali sul posto di lavoro. Per lesioni in caso di malattia grave e per omicidio colposo in caso di decesso. Non certo un incentivo a ricominciare in serenità.In vista del 18 maggio la novità ha suscitato immediata apprensione nei consulenti del lavoro, impegnati a supportare il rilancio delle imprese. La presidente dell'ordine Marina Calderone è molto decisa: «Si tratta di un problema non da poco che rischia di bloccare la riapertura di molte piccole e micro aziende intimorite da questo rischio», spiega al Corriere della Sera,«È urgente avviare una riflessione con le parti sociali per arrivare a una norma». E propone uno scudo penale per gli imprenditori che abbiano seguito rigorosamente le regole dell'Istituto superiore di sanità. La reazione del mondo imprenditoriale è di sincera preoccupazione. Si va da «il governo continua a segare il ramo sul quale è seduta l'Italia» a marce indietro repentine da parte di chi si stava preparando a ricominciare («Se le condizioni sono queste non apro»); questo almeno risulta da una veloce indagine in associazioni industriali. Il rischio di una svolta giudiziaria non è immediato ma neppure remoto. Per cominciare è molto difficile verificare che il contagio sia avvenuto sul posto di lavoro perché il coronavirus ha un periodo di incubazione lungo, quindi è sempre possibile essere infettati altrove (abitazione, mezzi pubblici, centri commerciali). Non avere nessuna certezza su luogo e causa indebolisce l'eventuale azione legale, senza contare l'eventuale contatto con soggetti asintomatici. Per contro, due fattori resistono come macigni davanti agli occhi degli imprenditori. Il primo è in ogni caso lo scenario di un contenzioso estenuante e dai margini frastagliati (all'italiana) pur sapendo che in fondo ci sarà un'assoluzione. Il secondo è il fastidio di chi, dopo aver rispettato alla lettera ogni regola sanitaria imposta dal governo (sanificazioni, dispositivi di protezione individuale, misurazione della temperatura) può ritrovarsi dalla parte dell'imputato. Per questo i consulenti del lavoro chiedono garanzie certe. Durante l'ultimo question time alla Camera, il sottosegretario Stanislao Di Piazza (M5s) ha tentato di rassicurare tutti: «Se il datore di lavoro rispetta i protocolli non avrà rivalse nel caso in cui un dipendente sia trovato positivo». Ma nel decreto, all'articolo 42 che disciplina il caso, tutto ciò non è specificato. Poiché le leggi non si tramandano oralmente, sul ministero guidato da Nunzia Catalfo (grillina) si è scatenata la bufera. Le opposizioni chiedono un passaggio legislativo nel quale si specifichi che il contagio sul posto di lavoro non comporti rivalse sui datori di lavoro né in termini di responsabilità civile e penale, né in termini economici. L'ipotesi di sanzioni al culmine della crisi costituirebbe il colpo finale.Secondo Giuseppe Lucibello, direttore generale dell'Inail, «si può prevedere in questi casi uno scudo penale per il datore di lavoro». Il problema è che deve essere concretizzato con uno strumento legislativo. Su questo puntano i rappresentanti degli imprenditori; una norma che escluda responsabilità per quei datori di lavoro che abbiano garantito ai dipendenti sanificazioni degli ambienti, distanziamento sociale e protezioni individuali. In ogni caso è sempre più evidente la cultura anti industriale del governo di Giuseppe Conte, dove il dirigismo vessatorio è considerato un valore e il sospetto sostituisce la fiducia.