2022-03-28
Le gaffe incendiarie di Biden fanno solo il gioco di Putin e pure gli Usa si preoccupano
Il segretario di Stato Antony Blinken ha dovuto gettare acqua sulla dichiarazione di «rimozione» dello zar. Anche i leader europei frenano. Le sparate del presidente sono un problema. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, decine di esperti si sono cimentati nella complessa operazione di entrare nella mente di Vladimir Putin, per capirne la follia e, soprattutto, prevederne le mosse. Si tratta di un esercizio legittimo, perché certo non è cosa di tutti i giorni vedere un tizio, a capo di una superpotenza, che minacci di scatenare una guerra nucleare. A prescindere dai torti o dalle ragioni, argomento su cui non ci vogliamo addentrare in questa occasione, la conquista di un Paese alle porte dell’Europa, con la distruzione di intere città e la fuga di milioni di civili, non è cosa che si possa fare avendo tutte le rotelle a posto. Ciò detto, lasciando a chi è più competente di noi l’analisi della psiche dello zar del Cremlino, vorremmo però richiamare l’attenzione sulle condizioni del suo principale antagonista. È ovvio che non si possono mettere sullo stesso piano Putin, cioè l’aggressore, con Biden, ossia colui che si è intestato la difesa degli aggrediti. Anche perché il primo è a capo di una dittatura, o per lo meno di un’autocrazia, e l’altro di una democrazia, che come è noto a differenza di una tirannide prevede un sistema di pesi e contrappesi. Tuttavia, avendo entrambi il dito sul pulsante delle armi nucleari, e rischiando che ad entrambi la situazione sfugga di mano, per una reazione di troppo o per una mossa mal calcolata, credo che sarebbe opportuno anche accertare se il presidente americano sia in perfetta salute e sia in grado di affrontare una situazione così complessa come la guerra russa all’Ucraina. La nostra vi sembra una pretesa bizzarra? Beh, forse non tanto, viste le gaffe collezionate negli ultimi tempi dal quarantaseiesimo inquilino della Casa Bianca. All’inizio del conflitto, quando i carri armati di Putin avevano già varcato il confine, Biden mandò un messaggio di solidarietà agli iraniani, dimostrando una certa confusione, se non geografica quanto meno su come si chiamassero gli aggrediti. Certo, un lapsus può capitare a chiunque, anche se un presidente americano dovrebbe ben conoscere la distanza fra Kiev e Teheran, quanto meno perché dalla capitale ucraina sono arrivate alcune accuse al figlio che, durante la campagna di un anno fa, hanno rischiato di fargli perdere le elezioni. Però, confondere gli sciiti con gli ortodossi, può anche capitare e uno sbaglio lo si perdona a chiunque. Certo, sollecitare in un discorso ufficiale l’eliminazione fisica del capo di un altro Paese, per di più non proprio secondario come la Russia, è altra faccenda. Dicono che la frase non fosse stata inserita fra quelle che la diplomazia degli Stati Uniti aveva preparato per il discorso presidenziale. L’aggiunta sarebbe dunque farina del suo sacco. Cioè, mentre già gli animi sono infiammati e il mondo cammina su una sottile linea rossa che potrebbe farlo precipitare verso un conflitto nucleare, Biden avrebbe deciso la sortita contro Putin. Così, tanto per buttare un po’ di benzina sul fuoco: si sa mai che lo zar del Cremlino finisca arrostito.Le parole del numero uno americano ovviamente hanno fatto il giro del mondo, costringendo il segretario di Stato, cioè il capo della diplomazia degli Stati Uniti, a rettificare il tiro, spiegando che il presidente non aveva alcuna intenzione di sollecitare l’eliminazione del suo omologo russo, ma voleva solo dire che che Putin non può avere il potere di fare una guerra a uno stato indipendente. Un’arrampicata sugli specchi, quella di Antony Blinken, un po’ complicata, perché Biden nel suo discorso non aveva risparmiato gli attacchi allo zar del Cremlino. Putin può essere definito di volta in volta dittatore, macellaio e perfino un animale come ha fatto il nostro ministro degli Esteri. Ma se poi ci si vuole sedere al tavolo delle trattative per raggiungere un’intesa sulla pace, tutto diventa più difficile. Infatti, Emmanuel Macron, che spera ancora di riuscire a far ragionare il presidente russo, inducendolo ad una trattativa che fermi la guerra, si è ben guardato dall’accodarsi a Biden, ma anzi ha preso le distanze. È così pure ha fatto il rappresentante per gli affari Esteri dell’Europa, Josep Borrell.Alzare i toni, inseguire Putin sul suo terreno, significa infatti solo avvantaggiarlo, perché lo si spinge su una strada ancor più estrema, senza che nessuno possa prevedere gli sviluppi di un conflitto che ogni giorno si rivela sempre più pericoloso, sia dal punto di vista militare che da quello economico. Comprendiamo che si vogliano difendere i cittadini ucraini, un po’ meno riusciamo a giustificare la voglia di spararla ogni giorno più grossa. Quando Trump stava alla Casa Bianca non passava giorno che qualcuno non dubitasse della sua stabilità e del suo equilibrio. Ora, non diciamo di riservare lo stesso trattamento al suo successore. Tuttavia, visto che in appena un anno Biden si è già reso protagonista di scelte non proprio azzeccate, come la vergognosa fuga dall’Afghanistan, visto che piano piano siamo arrivati sull’orlo di una terza guerra mondiale, forse convincerlo a misurare armi e parole sarebbe il caso, prima che il salto nel buio e nella tragedia diventi inevitabile.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)