2020-07-04
Le discriminazioni sono già punite. È inutile una legge apposta per i gay
Le diversità sono salvaguardate e la repressione è inefficace. Per disincentivare la violenza bisogna formare le coscienze.Correrò il rischio di apparire «omofobo», ma posso sommessamente segnalare le mie perplessità sulla legge in discussione in materia di «omotransfobia», che intende contrastare e perseguire odio-violenza-discriminazioni fondati su «sesso, genere, orientamento sessuale o identità di genere»? È del tutto evidente che nessun eterosessuale è mai stato picchiato in quanto tale, e che non abbiamo mai letto titoli di giornali o siti Internet del tipo «Gruppo di gay picchia un uomo e una donna che si baciavano tenendosi per mano», mentre purtroppo è successo il contrario, come a Pescara pochi giorni fa. Ben vengano nuovi precetti se servono a disinnescare comportamenti e pregiudizi, individuali o di gruppo, facendo germogliare istinti virtuosi. Noi siamo un popolo che per fare le cose ha bisogno di imposizioni (e talvolta non bastano neppure quelle). Ecco allora la legge per il casco in moto, il divieto di fumo nei locali chiusi, l'obbligo delle vaccinazioni per i nostri figli. Fattispecie specifiche che non erano previste. Ma siamo proprio sicuri che nello sterminato corpus legislativo italiano la «diversità» non sia già salvaguardata? Due anni fa la Corte d'Appello di Palermo ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a pagare 100.000 euro di risarcimento a un uomo che si era visto sospendere la patente di guida dopo aver dichiarato, in anni lontani, la propria omosessualità alla visita di leva.La Cassazione ha sottolineato la «gravità dei comportamenti» dei due ministeri visto che «l'identità sessuale è da ascrivere» al «diritto costituzionale inviolabile della persona». E che la vittima è stata oggetto di «un vero e proprio - e intollerabilmente reiterato - comportamento di omofobia».Ma è proprio qui, direbbe il Bardo, che c'è l'intoppo. Se è stato possibile sentenziare così, infatti, significa che le tutele legali esistono, e quindi: perché introdurre una norma ad hoc? Risposta: necessità e urgenza nascono dal ripetersi sempre più frequente di crimini odiosi. Scusate però l'obiezione: l'aver introdotto il reato di «femminicidio» (neologismo che non condivido) ha ottenuto l'effetto sperato? Con le norme (del 2013) «per il contrasto della violenza di genere che hanno l'obiettivo di prevenire il femminicidio e proteggere le vittime» l'abbiamo prevenuto, l'assassinio di povere donne per mano di uomini abietti? Le abbiamo protette meglio, le vittime?Per lo stesso motivo sono contro la pena di morte: le esecuzioni capitali non sono un disincentivo alla violenza, dove sono in vigore non funzionano da deterrente, omicidi e stragi continuano ad essere commessi. Non è emanando nuovi editti che per ciò stesso il male sparirà. L'apparato repressivo serve a poco, ex post, se a muoversi ex ante, formando le coscienze, non sono l'apparato educativo e culturale, la famiglia e la scuola. Poi è del tutto evidente che stringe il cuore raccogliere (è successo a me) la confessione di una zia che ti racconta come il nipote ventenne abbia trovato il coraggio di fare coming out con il proprio padre, un cavernicolo che per tutta risposta gli ha urlato «Ti faccio curare dallo psicologo!». Il rosario di misfatti è certamente lungo. Ma quanto? Quanto è «pandemico» il fenomeno? Non si sa, se perfino il pm di Vercelli, Fabrizio Filice, responsabile dei reati di genere per l'Anm, il sindacato delle toghe, in audizione parlamentare ha definito la situazione allarmante, specificando però che il perimetro non è delimitabile in quanto «sfugge alla statistica: mancando la norma penale, il fenomeno non viene misurato». E qui al Franti che è in me verrebbe voglia di irridere l'apparente supercazzola, un vero e proprio «Comma 22»: si vuole introdurre una norma perché c'è un «macroscopico» problema da risolvere, ma siccome non c'è la norma non si sa quale sia l'entità del problema medesimo.Non mi sento neppure tranquillizzato dalle rassicurazioni del relatore del provvedimento, il piddino-ex Sel Alessandro Zan (che lo firma insieme al renziano-ex Pd Ivan Scalfarotto): «Non è una legge liberticida: non colpisce qualsiasi espressione critica rispetto alle scelte di vita Lgbt, espressioni che resteranno consentite». E cara grazia, mi verrebbe da replicare, grazie per la gentile concessione. Ma quando e come verrà superata la «soglia di offensività»? Anche qui, non si sa. Ci si rimetterà al libero convincimento del giudice e alla sua «lettura», estensiva o meno, delle disposizioni approvate. Che però rimandano a concetti quali «identità di genere» e «orientamento sessuale», a loro volta suscettibili di diverse interpretazioni (come è certificato dalla spaccatura di questi giorni nel pianeta Lgbt tra femministe, lesbiche e trans), tanto più che la stessa giurisprudenza in materia non si è dimostrata univoca. Non parliamo poi della ventilata introduzione di una «giornata nazionale contro l'omofobia, lesbofobia, transfobia». Ma come? Se ormai perfino le donne dicono basta alla Festa delle Donne, un rito trito e ritrito, invitando piuttosto gli uomini a essere davvero rispettosi tutto l'anno e non solo l'8 marzo, mettendo mano, per dire, alle sperequazioni contrattuali e reddituali ancora imperanti nel mercato del lavoro. Una «giornata» così non sarebbe un modo di rimarcare i confini tra etero e Lgbt? Non vogliamo essere ghettizzati, rivendicano i gay. Giusto. Però quando qualcuno ha osato: «Che bello sarebbe se al Gay Pride sfilassero in giacca e cravatta, senza l'effetto carnevale di Rio», cos'hanno replicato in molti? «Non ci costringerete ad adottare i vostri modelli, noi rifiutiamo l'omologazione». Oh santa pace, va bene, però mettiamoci d'accordo, perché qui si finisce in Palombella rossa di Nanni Moretti, quando - ed era il 1989 - perculava i dirigenti del vecchio Pci che volevano essere «diversi ma uguali» agli altri partiti: o volete l'integrazione, o difendete le differenze. Nel secondo caso, però, poi non potete pretendere nozze, pargoli e «il suono ipnotizzante della marcia nuziale», come ebbe a dire nel 2007 Marco Pannella, avvertendo: «Purtroppo oggi abbiamo tutto un militantismo organizzato, che vuole il matrimonio, i figli. Tutto cose che comprendo, ma che non condivido».Ecco, forse nella nuova legge potrebbe essere utile inserire la non punibilità per chi, accusato di «omotransfobia», possa citare in giudizio -come proprio teste a favore- un gay che professi le sue identiche convinzioni «da etero». Qualcuno come Martina Navratilova, campionessa di tennis e lesbica dichiarata (fin dal 1981), espulsa l'anno scorso dall'associazione americana Athlete Ally, che si batte contro l'esclusione del mondo Lgbt dalle competizioni sportive, con l'accusa di essere «transfobica». Perché aveva preso di petto la cosiddetta «identità di genere»: «Centinaia di atleti che hanno cambiato genere semplicemente dichiarandolo, hanno vinto nelle categorie femminili quello che non avrebbero mai potuto ottenere in quelle maschili. Questa è una truffa». E quando fu messa sulla graticola, replicò: «Critico la tendenza degli attivisti trans a bollare come transfobico chiunque abbia qualcosa da dire. Questa è una forma di tirannia».Oppure come Platinette: «Trovo che la lamentela continua delle associazioni Lgbt abbia poca ragione d'essere». Si rischia «un nuovo conformismo» nel nome della diversità anticonformistica. E ancora: «Se dissenti sul Gay Pride, non hai cittadinanza». Di più: «L'utero in affitto è una forma tremenda di sfruttamento delle donne». O come il regista Ferzan Ozpetek, unito civilmente al suo compagno già da qualche anno, che dopo una premessa politicamente corretta («Le leggi devono mettere le persone in grado di decidere cosa è meglio per sé stesse, assicurando loro la libertà di scelta»), ha sparigliato: «Un bambino ha bisogno di una presenza femminile, avrei voluto un figlio ma la natura lo impedisce, non volevo far crescere un figlio senza mamma». Una presa d'atto, del limite «ontologico» che la natura impone, onesta, coraggiosa e dolorosa al tempo stesso.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti
Charlie Kirk (Getty Images)