
I grillini e Il Fatto sul crac di Gaetano Francesco Intrieri: non è un bancarottiere, avrebbe solo tentato di tutelare gli azionisti. Ma nei documenti relativi alla condanna lui stesso ammette di essersi preso dei soldi e aver mentito ai pm.dell'imputato. È stato torturato per renderle? Non ci risulta. Stiamo parlando della vicenda di Gaetano Francesco Intrieri, esperto del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, a cui la Cassazione lo scorso ottobre ha confermato una condanna a 2 anni e 4 mesi, con il riconoscimento delle attenuanti generiche, per la distrazione di quasi 480.000 (429.000 più 50.000) euro dalle casse della compagnia aerea Gandalf, fallita nel 2004 e di cui Intrieri è stato per cinque mesi amministratore delegato. Quando abbiamo pubblicato la notizia della sentenza, prudentemente Toninelli e il suo staff hanno deciso di non rilasciare commenti. Ma nelle ore successive qualcosa ha iniziato a smuoversi. La senatrice grillina Giulia Lupo ha deciso di ergersi a giudice e ha «assolto» Intrieri: «Ho sempre molte perplessità quando il giornalismo arriva a riesumare vicende accadute più di tre lustri fa e di cui tutti sono a conoscenza per tentare di avere uno scoop. (…) L'appropriazione dei 429.000 euro che gli “fruttarono" quella condanna, servirono - come è rintracciabile in molti documenti - a Gandalf per pagare le commissioni di una ditta americana (Aws) e per consentire all'azienda di cambiare flotta ed essere riammessa alle contrattazioni in Borsa, mettendo dunque in salvo gli azionisti come poi è stato riconosciuto pure nella sentenza. È poi accertato che Intrieri all'epoca restituì gli emolumenti ricevuti da Gandalf, provvedendo oltretutto a pagare i piccoli azionisti che si costituirono parte civile nel processo». A supportare la Lupo il giorno dopo ci ha pensato il Fatto Quotidiano, che ha lasciato dire a Intrieri quanto segue: «Per salvare l'azienda e rilanciarla fui costretto a pagare 420.000 euro a una società americana, la Aws, che per Gandalf aveva effettuato una mediazione (…). Pagai, ma erano soldi che mi erano stati consegnati dalla società. Gli americani non volevano essere pagati ufficialmente da Gandalf, perché temevano fallisse e non volevano perdere i soldi. Non avevo scelta se volevo salvare l'azienda e tutelare lavoratori e azionisti».Con un po' di malizia Intrieri ha provato a disegnare complotti, solo perché il nostro giornale ha dato conto di una condanna definitiva piuttosto recente (è arrivata meno di un anno fa): «Forse vogliono intralciare il lavoro del ministro Toninelli», ha buttato lì l'esperto.Ma gli improvvisati avvocati difensori di Intrieri forse dovrebbero esaminare con attenzione le sentenze e pure i verbali di interrogatorio con le confessioni del manager. La Cassazione, per esempio, non lascia scampo: «L'appropriazione della somma di 429.000 euro è stata confessata ad abundantiam dallo stesso imputato nell'interrogatorio del 13 maggio 2005», scrivono le toghe del Palazzaccio. Per le quali le conclusioni dei colleghi di primo e secondo grado «sono ineccepibili e nemmeno intaccate dagli argomenti difensivi, atteso che appoggiano su accertamenti della polizia giudiziaria e sulle confessioni dell'imputato fantasiosamente sminuiti, nella loro valenza dimostrativa, dai difensori di quest'ultimo».Ma è la Corte d'appello di Bologna a mettere in luce nel dettaglio le contraddizioni della difesa di Intrieri e a informarci che l'allora presidente della Gandalf, Giovanni Laterza, e l'ad Intrieri si dimisero dopo pochi mesi «per irregolarità dovute ad alcune operazioni da loro effettuate». Ma la parte più interessante della sentenza è un'altra: Intrieri, dopo l'arresto, di fronte al Gip di Cosenza avrebbe offerto una versione assai fantasiosa, dichiarando «di essersi avvalso di denaro depositato in un conto svizzero» per rimborsare gli americani e che lo fece per la «volontà della Aws di essere pagata in nero per ragioni d'ordine fiscale». Peccato che la Guardia di finanza accertò che «i documenti a supporto del presunto pagamento alla Aws erano falsi, che la società svizzera attraverso la quale il pagamento sarebbe stato effettuato era in liquidazione dal 1999, che la banca svizzera asseritamente utilizzata per il pagamento non era più esistente». Dunque Intrieri avrebbe presentato al Tribunale persino documenti farlocchi in un disperato tentativo di difesa. Ma l'esperto di Toninelli dopo poche settimane, evidenziano i giudici, «ha sconfessato totalmente tale versione durante l'interrogatorio reso al pm il 13 maggio 2005», e la nuova verità «veniva confermata nel giugno del 2006». Nel 2005 il Pm Pietro Errede chiede all'indagato che fine abbiano fatto i 429.492 euro da lui incassati. La risposta di Intrieri è la seguente: «Io avevo un debito con Banca Intesa: di fatto, quindi, hanno appianato il debito». E si scusa: «In effetti ho detto delle inesattezze nel precedente interrogatorio, anche perché probabilmente mal consigliato».Nel 2006 il manager conferma il ravvedimento: «Queste somme servirono per ripianare la mia esposizione debitoria nei confronti di Banca Intesa per mie esigenze personali (…) Banca Intesa mi tartassava che dovevo rientrare». Il pubblico ministero domanda: «Lei aveva comunque un rapporto di credito con Aws?». La sincerità della replica quasi spiazza: «No, quella cosa lì me la sono inventata. (…) la banca mi continuava a telefonare e io non riuscivo a lavorare sereno». I difensori dell'imputato hanno tentato di sminuire il valore e la veridicità delle confessioni, sostenendo che il loro assistito «avrebbe ammesso gli addebiti solo perché stremato dalla misura cautelare», ma il giudice di primo grado ha evidenziato che al momento della prima ammissione Intrieri era agli arresti domiciliari e non in carcere, mentre quando ha fornito la seconda era addirittura un uomo libero.Sul punto, i giudici d'Appello affondano i colpi: «L'imputazione è il frutto di due ampie confessioni dell'imputato, il quale in due diverse occasioni, alla presenza del suo difensore, ha spiegato con dovizia di particolari, come si fosse appropriato delle somme apparentemente destinate alla Aws per pagare propri debiti». E ancora: «È provato, innanzitutto, per tabulas che i due assegni sono stati effettivamente incassati dall'Intrieri personalmente» e «va sottolineato come le ammissioni siano state rese all'esito di indagini svolte dalla Guardia di finanza» dopo che Intrieri aveva fornito al Gip «una versione da lui stesso definita come frutto di “cazzate"». Per i giudici «è manifestamente evidente come, una volta crollata probatoriamente la tesi difensiva, l'imputato (in custodia domiciliare e anche da libero) abbia coerentemente e analiticamente raccontato la verità (vale a dire la distrazione a fini personali del denaro), dichiarazione peraltro supportata da riscontri documentali e mai smentita da elementi oggettivi o dichiarazioni di terzi». Quindi arriva la stoccata finale: «Inoltre mai l'Intrieri ha formalmente ritrattato le proprie ammissioni e mai ha dichiarato di aver consegnato i soldi alla Aws. Tesi sostenuta solo dai suoi difensori». E ora anche dai suoi amici a 5 stelle.
Ansa
Il generale Fabio Mini: «Qualsiasi attacco contro la Russia impatta solo sul breve periodo».
Nella roccaforte ucraina del Donetsk, a Pokrovsk, si fa sempre più concreto il rischio che l’esercito di Kiev abbia i giorni contati, nonostante le varie rassicurazioni dei vertici militari ucraini.
A confermare la situazione drammatica sul campo è il generale di corpo d’armata dell’Esercito italiano, Fabio Mini, che ne ha parlato con La Verità. «Zelensky sa benissimo che le unità del suo esercito sono state circondate» ha detto il generale. Non sono state «ancora eliminate» perché i russi «stanno sempre contrattando e trattando per un ritiro, visto che non hanno bisogno di fare prigionieri». Dunque «le sacche sono chiuse», ha proseguito Mini, sottolineando che dalle fonti «dell’intelligence statunitense e inglese» è evidente «che non ci sia più la grande speranza di una vittoria». Quel che resta è la possibilità «di una sconfitta onorevole».
Bruxelles: «Chiediamo tolleranza zero sulla corruzione». Lo scandalo agita pure il governo. Matteo Salvini: «I nostri soldi vanno ai criminali?». Guido Crosetto: «Non giudico per due casi». E Antonio Tajani annuncia altri aiuti.
«Mi sembra che stiano emergendo scandali legati alla corruzione, che coinvolgono il governo ucraino, quindi non vorrei che con i soldi dei lavoratori e dei pensionati italiani si andasse ad alimentare ulteriore corruzione»: il leader della Lega, Matteo Salvini, pronuncia queste parole a Napoli a margine di un sopralluogo al porto, a proposito dell’acquisto di ulteriori armamenti dagli Usa da inviare in Ucraina. «La via di soluzione», aggiunge Salvini, «è quella indicata dal Santo Padre e da Trump, ovvero dialogo, mettere intorno a un tavolo Zelensky e Putin e far tacere le armi. Non penso che l’invio di altre armi risolverà il problema e mi sembra che quello che sta accadendo nelle ultime ore, con l’avanzata delle truppe russe, ci dica che è interesse di tutti, in primis dell’Ucraina, fermare la guerra. Pensare che mandare armi significa che l’Ucraina possa riconquistare i terreni perduti è ingenuo quantomeno».
Volodymyr Zelensky
Pronto un altro pacchetto di aiuti, ma la Lega frena: «Prima bisogna fare assoluta chiarezza sugli scandali di corruzione». E persino la Commissione europea adesso ha dubbi: «Rivalutare i fondi a Kiev, Volodymy Zelensky ci deve garantire trasparenza».
I nostri soldi all’Ucraina sono serviti anche per costruire i bagni d’oro dei corrotti nel cerchio magico di Volodymyr Zelensky. E mentre sia l’Ue sia l’Italia, non paghe di aver erogato oltre 187 miliardi la prima e tra i 3 e i 3 miliardi e mezzo la seconda, si ostinano a foraggiare gli alleati con aiuti economici e militari, sorge un interrogativo inquietante: se il denaro occidentale ha contribuito ad arricchire i profittatori di guerra, che fine potrebbero fare le armi che mandiamo alla resistenza?
2025-11-15
Ennesima giravolta di Renzi. Fa il supporter dei giornalisti e poi riprova a imbavagliarci
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
L’ex premier ci ha accusato di diffamazione ma ha perso anche in Appello: il giudice ha escluso mistificazioni e offese. Il fan della libertà di stampa voleva scucire 2 milioni.
Matteo Renzi è il campione mondiale delle giravolte, il primatista assoluto dei voltafaccia. Nel 2016 voleva la riforma della giustizia che piaceva a Silvio Berlusconi ma, ora che Carlo Nordio ha separato le carriere dei magistrati, pur di far dispetto a Giorgia Meloni fa il tifo per il «No» al referendum. Nel 2018, dopo la sconfitta alle elezioni, provò a restare attaccato alla poltrona di segretario del Pd, dicendo di voler impedire l’alleanza con i 5 stelle, salvo proporre, un anno dopo, un governo con Giuseppe Conte, per poi farlo cadere nel febbraio nel 2021 intestandosi la fine del governo Conte. Quando fu eletta, liquidò Elly Schlein con frasi sprezzanti, definendola un petardo che avrebbe perso pure le condominiali, ma ora abbraccia Elly nella speranza che lo salvi dall’irrilevanza e gli consenta di tornare in Parlamento alle prossime elezioni.





