
Dopo le trimestrali record di Intesa e Unicredit, ottimi risultati per Ubi. Pure Mps chiude in utile. Non si respirava tale clima dal 2008: il rischio è che a giugno il Consiglio europeo cambi di nuovo le regole in peggio.A dare uno sguardo ai conti trimestrali delle maggiori banche italiane diffusi in questi giorni, sembrano passate ere geologiche da quando Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara a novembre 2015 sono state messe in sicurezza dallo Stato dopo aver pesato sulle spalle degli obbligazionisti finiti sul lastrico. Intesa Sanpaolo ha messo a segno il miglior trimestre di sempre e ottimi risultati sono stati raggiunti anche da Unicredit, tanto che gli obiettivi del piano industriale sono stati raggiunti prima del previsto. Ieri Ubi e anche Mps sono tornate a produrre utili. Esatto, anche l'istituto slavato dallo Stato con la ricapitalizzazione precuazionale. Insomma, erano anni che non si vedevano risultati tanto positivi nel mondo bancario. Basti pensare che tra il 2011 e il 2016 gli istituti italiani hanno accumulato perdite per 62 miliardi di euro.Sicuramente la crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha costretto molte banche a tagliare dove potevano per ridurre i costi e ad aumentare le commissioni. Non è un caso che il rapporto tra fatturato e costi presentato da Intesa nel primo trimestre 2018 si sia attestato al 47,8%, livello che l'istituto definisce nella nota «tra i migliori nell'ambito delle maggiori banche europee».La cura voluta da Carlo Messina ha dunque dato i suoi frutti. Nei primi tre mesi dell'anno il gruppo di Ca' De Sass ha riportato un utile netto di 1,2 miliardi di euro, in crescita dagli 0,9 miliardi dello stesso periodo del 2017.La stessa ricetta è stata applicata dall'ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier. Il gruppo che un tempo aveva sede in piazza Cordusio a Milano (e che ora si è spostato nel grattacielo di piazza Gae Aulenti), come ha sottolineato Mustier, «ha già realizzato il 78% delle chiusure di filiali in programma e il 75% delle riduzioni di personale, con una diminuzione dei costi così come pianificato». Con tutto questo «tirare la cinghia», Unicredit ha ottenuto un risultato netto di 1,1 miliardi di euro (il miglior primo trimestre dal 2007), in aumento del 22,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il dato si è rivelato molto sopra le previsioni degli analisti che stimavano un utile di 766 milioni di euro. Probabilmente, però, ad aver ottenuto il risultato più grande sono state Ubi ed Mps, passate dall'avere il segno meno a quello più nei bilanci. Il gruppo guidato da Victor Massiah ha chiuso il primo trimestre 2018 con un utile netto di 117,7 milioni di euro, in miglioramento rispetto alla perdita di 11,9 milioni registrata nel quarto trimestre del 2017. In questo caso il lavoro compiuto dai vertici del gruppo si è concentrato su due fronti: da un lato l'integrazione di Banca Marche, Etruria e Carichieti (il gruppo ha comprato solo la parte in buone condizioni dei tre gruppi salvati con il bail in) e dall'altro la pulizia del bilancio attraverso la cessione mirata di crediti deteriorati.«Una trimestrale storica» ha commentato l'ad Massiah. «Con l'incorporazione della Banca Teatina si è conclusa completamente l'operazione di incorporazione delle tre banche, devo dire con grande soddisfazione. Siamo ormai completamente operativi: per certi aspetti sembra già passato molto tempo».C'è poi il caso del Monte dei Paschi di Siena. La banca guidata da Marco Morelli sta tornando in carreggiata. Il gruppo ha registrato un risultato netto di 187,6 milioni di euro, a fronte di una perdita di 169,2 dello stesso periodo del 2017. Anche in questo caso il lavoro di dismissione dei crediti deteriorati ha avuto un valore fondamentale per il gruppo che punta ogni giorno di più ad avere le spalle più larghe. Certo, Mps di strada da fare ne ha ancora molta e non è detto che raggiunga l'obiettivo. I ricavi complessivi, spiega una nota, sono di 877 milioni (-6% rispetto al 2017), il margine di interesse si attesta a 421 milioni (-7,9% anno su anno) e le commissioni nette sono scese del 4,6% a 407 milioni. Ma la strada sembra quella giusta. Ora, però, a spezzare tutto questo fermento potrebbe mettercisi l'Unione europea. Innanzitutto perché non si sa ancora come risponderà Bruxelles alla richiesta da parte del ministero dell'Economia di prorogare di altri sei mesi le garanzie pubbliche a favore delle banche intenzionate ad accelerare lo smaltimento degli Npl. Inoltre, perché il prossimo 28 e 29 giugno si terrà il Consiglio europeo in cui si parlerà di unione bancaria e di un potenziale altro giro di vite sui requisiti patrimoniali imposti agli istituti. Il rischio sarebbe quello di porre altri ostacoli alle banche italiane ed europee che ora, dopo anni, sembrano riuscire a tirare un po' il fiato. Un errore strategico che potrebbe riportarci indietro di anni. Ciò che le banche (e gli italiani) dovrebbero evitare.
Emanuele Orsini (Ansa)
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