2019-08-04
Le amnesie degli indignati speciali sulla sfilza di abusi del Bullo
Siccome la faccenda del petrolio di Mosca si è rivelata un flop, anzi un boomerang, perché ogni giorno che passa si capisce che il grande intrigo dei soldi russi in realtà era solo un grande trappolone, a Repubblica hanno allestito un nuovo scandalo contro Matteo Salvini. Questa volta non ci sono di mezzo i rubli, Vladimir Putin e i servizi segreti del Cremlino o della Casa Bianca, ma più semplicemente una moto (...)(...) d'acqua. Complici le vacanze e il caldo, la questione che appassiona i cronisti del quotidiano radical chic è la gitarella del figlio minorenne del ministro su un mezzo della polizia. Sappiamo come vanno certe cose, soprattutto quando si ha a che fare con un personaggio noto. Due agenti in servizio di pattugliamento della costa si fermano sulla spiaggia dove soggiorna il capo della Lega. Salutano il numero uno del Viminale e forse si scattano pure qualche selfie in sua compagnia, mentre il ragazzino guarda con curiosità le moto con cui sono approdati. Uno dei due poliziotti, a questo punto, gli offre di fare un giro e il giovane, ignaro delle ricadute della gita acquatica sull'immagine pubblica del padre, accetta.Certo, si tratta di uno strappo alle regole, che riguarda più il poliziotto che il figlio di un ministro, perché la pattuglia non è lì per fare acrobazie in mare, ma per garantire la sicurezza dei bagnanti. Potrebbe finire qui, con una banale contestazione per un uomo delle forze dell'ordine, ma nei paraggi c'è un videomaker di Repubblica che riprende la scena. Ci manca poi che la scorta del ministro cerchi di evitare che il collaboratore del quotidiano di De Benedetti filmi il ragazzino mentre sale sulla moto d'acqua. Forse ci scappa addirittura una minaccia: sappiamo dove abiti. Beh, insomma, gli ingredienti ci sono tutti per montare un caso di abuso di potere che tracima sulle pagine del giornale, fino a conquistarne il titolo principale. Alla conferenza stampa in spiaggia il cronista insiste, chiede conto e a Salvini scappa una battuta: vada a filmare i bambini in spiaggia, visto che le piace tanto. Il giornalista è offeso a morte (soprattutto perché i colleghi non gli danno man forte, ma anzi sembrano disinteressati e infastiditi dalle domande sul presunto scandalo) e Repubblica il giorno dopo tuona, con tanto di editoriale in prima pagina del suo direttore. A questo punto l'argomento non è più la gita con la moto d'acqua, ma la minaccia alla libertà di stampa, ossia il tentativo di impedire di riprendere la scena e gli insulti al collega («vada a filmare i bambini in spiaggia, visto che le piace») che sembrano dargli del pedofilo. Si mobilita l'Internazionale dei giornalisti democratici e Repubblica schiera addirittura il direttore di Le Monde, il quale ovviamente usa la questione per attaccare i sovranisti, passando da Salvini a Trump. Da banale che era - una gita di pochi minuti su una moto d'acqua della polizia - il caso è diventato mondiale, esempio evidente dell'abuso di potere di un ministro di cui Repubblica non sopporta il potere.Peccato che quei giornalisti che oggi si indignano a gridano allo scandalo siano gli stessi che non avevano nulla da eccepire quando Matteo Renzi portava in vacanza a Courmayeur la famiglia con l'elicottero di Stato. E siano anche gli stessi che non fecero un plissé davanti al racconto di Alessandro Sallusti, il quale in un editoriale scrisse di essere stato «avvertito» direttamente dall'allora presidente del Consiglio, che in una telefonata minacciò di spezzargli le gambe. Che da Palazzo Chigi chiamassero il direttore di un giornale d'opposizione promettendogli una gambizzazione non destò alcun allarme. Così come non provocò alcuna reazione il resoconto, confermato poi da Ferruccio de Bortoli, della minaccia da parte del capo scorta di Renzi a un giornalista del Corriere della Sera che aveva osato prendere una stanza nello stesso hotel in cui soggiornava, in vacanza con la famiglia, l'ex Rottamatore. Già, ma allora erano altri tempi. Renzi era potente e in questi casi a Repubblica non ravvisarono alcun abuso di potere. Le cronache adoranti descrivevano anzi il rinnovamento democratico del Paese. Erano i tempi in cui ogni mese Carlo De Benedetti, il padrone di Repubblica, faceva colazione a Palazzo Chigi e, dopo un caffè e una brioche, usciva e telefonava al suo agente di cambio per informarlo che la riforma delle Popolari si sarebbe fatta. In questo caso nessun abuso. Solo esercizio del potere.