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2020-07-14
L’avvocato preme per la revoca ad Aspi. I dem a rimorchio, solita piazzata di Iv
Ansa
Oggi alle 11 arriva in Consiglio dei ministri la questione Autostrade, e il governo rischia ancora una volta di implodere a causa dei contrasti interni alla maggioranza. Il premier, Giuseppe Conte, ieri ha anticipato la sua posizione a favore della revoca, allineandosi al M5s; il Pd, pur con diverse sfumature, non è pregiudizialmente contrario alla revoca; Italia viva invece annuncia battaglia, con Matteo Renzi che si dichiara contrario, attacca «i populisti» del M5s e fa traballare i giallorossi.
Conte, ieri, al Fatto Quotidiano, ha sostanzialmente anticipato la sua decisione di procedere con la revoca delle concessione ad Autostrade per l'Italia: «Non sono per nulla soddisfatto delle proposte di transazione della famiglia Benetton», dice il premier, «due anni fa, dopo il crollo del ponte Morandi, abbiamo avviato la procedura di contestazione, mettendo in discussione la concessione ad Aspi. La mia sensazione è che Autostrade abbia scommesso sulla debolezza dei pubblici poteri nella tutela dei beni pubblici. Sabato», aggiunge Conte, «è arrivata una risposta ampiamente insoddisfacente, per non dire imbarazzante. Se crollasse un altro ponte, non potremmo sciogliere la convenzione e, se mai lo facessimo, dovremmo rifondere Aspi con 10 miliardi di euro, e solo per l'avviamento. Quando ho letto la proposta ho pensato a uno scherzo. I Benetton non prendono in giro il presidente del Consiglio e i ministri», argomenta il premier, «ma i famigliari delle vittime del ponte Morandi e tutti gli italiani. Allo stato dei fatti, intravedo una sola decisione, imposta proprio da Autostrade».
Il Pd, dopo aver tentennato per mesi, si allinea alla intransigenza di Conte, pur lasciando ancora una possibilità ai Benetton: «La lettera di Aspi al governo», sottolinea il segretario dem, Nicola Zingaretti, «è deludente e conferma ulteriormente l'esigenza di un profondo cambio di indirizzo dell'azienda basato su impegni rigorosi in materia di tariffe, sicurezza e investimenti, e su un assetto societario che veda lo Stato al centro di una nuova compagine azionaria che assicuri l'avvio di questa nuova fase. I rilievi del presidente del Consiglio», sottolinea Zingaretti, «sono condivisibili. Il governo agisca tempestivamente e in modo unitario per giungere a una rapida conclusione in tal senso, assicurando quindi la soluzione migliore nell'interesse del paese e dei cittadini».
«Domani (oggi, ndr)», aggiunge Conte nel pomeriggio, in conferenza stampa con Angela Merkel, «ci sarà un'informativa al Consiglio dei ministri, è una decisione che deve coinvolgere tutto il governo, tutti i ministri saranno nelle condizioni di conoscere i dettagli. Conseguenze della eventuale revoca? Se c'è stato un problema di cattiva manutenzione, se ci sono stati problemi di inadempimenti, la responsabilità va sul management soggetto ad azione di responsabilità», sottolinea Conte, «non sulla cittadinanza che deve subire il ricatto di eventuali conseguenze e incertezze che avrebbero le decisioni pubbliche sul concessionario privato».
«Due anni fa», si compiace Vito Crimi, capo politico del M5s, «in questa battaglia il Movimento era solo e, rispetto alla nostra fermezza, i partiti manifestavano timidezza o addirittura avversità: in primis i nostri alleati di governo di allora, che adesso fanno la voce grossa ma che allora frenavano cosi come a frenare ci sono alleati di oggi».
Matteo Renzi, però, non ne vuole sapere di dare l'ok alla revoca: «I populisti», scrive Renzi su Facebook, «chiedono da due anni la revoca della concessione. Facile da dire, difficile da fare. Perché se revochi senza titolo fai un regalo ai privati, ai Benetton, ai soci e apri un contenzioso miliardario che crea incertezza, blocco cantieri, licenziamenti. Se proprio lo Stato vuole tornare nella proprietà», aggiunge il leader di Italia viva, «l'unica possibilità è una operazione su Atlantia con un aumento di capitale e l'intervento di Cdp».
Anche l'opposizione interviene sulla vicenda: «Sono a favore della revoca», dice la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, «e sono per rimettere a gara, a condizioni diverse, con vincoli diversi, la gestione dell'infrastruttura. Non sono per la nazionalizzazione, sono per la gestione privata, però a condizioni che devono convenire al pubblico, non solo ai privati». «Il presidente del Consiglio», argomenta il leader della Lega, Matteo Salvini, «ha in mano uno studio giuridico. Se ci sono gli estremi si revoca, se non ci sono si proroga. Sicuramente dichiarare e far perdere un titolo in borsa il 15% significa non saper fare bene il proprio mestiere. Faremo la segnalazione a tutti coloro che devono vigilare sulla regolarità della gestione dei risparmi e dell'andamento dei titoli in borsa (la Consob, ndr), perché i risparmiatori che hanno i titoli di Atlantia in tasca sono anche operai e lavoratori, non sono i milionari e i Benetton».
Zero certezze per il dopo Benetton
Le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, contro i Benetton, ieri sui quotidiani, in realtà sono sembrate, a chi segue il dossier autostrade, un fuoco di paglia. Il premier avrebbe da un lato cercato di tenere a freno i 5 stelle, dall'altro confermato come una revoca della concessione sia davvero difficile, se non impossibile. Non a caso, tra i virgolettati di Conte sulla Stampa, ce n'è uno dove si invitato tutti i ministri a decidere in modo collegiale sulla questione.
Non è casuale la mossa dell'avvocato Conte. Perché in questo modo sarebbe tutto l'esecutivo a rispondere di un possibile danno erariale nel caso in cui la Corte dei Conti ravvisasse irregolarità nella revoca della concessione o per la cattiva gestione del dossier autostrade. Per di più i Benetton sono pronti a tutto per ottenere i 23 miliardi di indennizzo in caso di revoca e non i 7, cioè un terzo, previsti nel decreto milleproroghe. La battaglia legale potrebbe durare anni, ma se l'esecutivo dovesse uscirne sconfitto sarebbe un problema notevole per le casse dello Stato.
Del resto, se Conte avesse voluto togliere la concessione ai Benetton avrebbe avuto la possibilità 2 anni fa, all'indomani del crollo del ponte Morandi di Genova. Nel frattempo ieri Atlantia, controllata dai Benetton, ha perso in borsa il 13,5 %. Ma nonostante i contraccolpi sui mercati si continua a lavorare per trovare una soluzione. La proposta di Atlantia di 3,4 miliardi di risarcimento, l'abbassamento delle tariffe, investimenti per il nuovo ponte Morandi e per le opere straordinarie di manutenzione sulla rete per un totale di 7 miliardi, sarà affrontata oggi in Consiglio dei ministri. Ma appare evidente che la soluzione dell'impasse passi di fatto dal nuovo azionariato di Aspi, controllata al momento all'88% da Atlantia e per il restante da fondi esteri, tra cui i cinesi di Silk Road con il 5%. Una revoca della concessione comporterebbe il fallimento della società che vanta un'esposizione per 10 miliardi con le banche e che manderebbe a gambe all'aria anche la galassia societaria dei Benetton, in Atlantia con il 30%. Come ieri spiegavano l'amministratore delegato di Aspi, Roberto Tomasi, e quello di Atlantia, Carlo Bertazzo, si parla nel complesso di un default totale da 20 miliardi con il rischio di 7.000 dipendenti senza lavoro. In pochi, soprattutto a Palazzo Chigi, pensano che lo Stato potrebbe sobbarcarsi una spesa di questo genere. In teoria ci sarebbe Anas che potrebbe occuparsi delle concessioni. Ma la società di via Mozambano non sembra in grado di potersi occupare di un impegno come questo, tanto più che nemmeno un mese fa è crollato un ponte tra Toscana e Liguria gestito proprio dall'azienda diretta da Massimo Simonini, dal 2018 nel gruppo Ferrovie dello Stato.
L'unica via d'uscita è quindi rivedere l'azionariato di Autostrade per l'Italia (Aspi). In questi mesi si è a lungo ragionato su come ridurre il potere dei Benetton. A quanto pare l'accordo sarebbe una riduzione dell'azionariato dall'88 al 37%. I 5 stelle però premono perché i Benetton escano definitivamente. Difficile che accada. Più che altro la trattativa del governo è su chi subentrerà e chi avrà la maggioranza. Il gruppo Benetton preferirebbe l'entrata di F2i, il fondo di investimento infrastrutturale di Renato Ravanelli che vedrebbe anche il sostegno di Fondazione Cariplo e di altre realtà. Il nodo però sembra essere la Cdp di Fabrizio Palermo. I grillini spingono perché via Goito sia della partita e soprattutto perché abbia la maggioranza delle quote. Scegliere un impegno da parte di Cassa depositi e prestiti sarebbe una scelta soprattutto politica, perché comporterebbe anche incarichi da affidare per la nuova governance di Aspi. Mentre optare per F2i sarebbe di sicuro una scelta più tecnica, organica al processo anche alla stessa Atlantia.
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Fibrillazioni nella maggioranza: Nicola Zingaretti s'accoda al premier, Vito Crimi punzecchia il Pd. E Matteo Renzi chiama «populisti» gli alleati.Atlantia rischia un crac da 20 miliardi e 7.000 posti di lavoro. Ma Anas non ha mezzi per subentrare ed è caos sul nuovo azionariato: ipotesi Cdp, in lizza pure il fondo F2i.Lo speciale contiene due articoli.Oggi alle 11 arriva in Consiglio dei ministri la questione Autostrade, e il governo rischia ancora una volta di implodere a causa dei contrasti interni alla maggioranza. Il premier, Giuseppe Conte, ieri ha anticipato la sua posizione a favore della revoca, allineandosi al M5s; il Pd, pur con diverse sfumature, non è pregiudizialmente contrario alla revoca; Italia viva invece annuncia battaglia, con Matteo Renzi che si dichiara contrario, attacca «i populisti» del M5s e fa traballare i giallorossi. Conte, ieri, al Fatto Quotidiano, ha sostanzialmente anticipato la sua decisione di procedere con la revoca delle concessione ad Autostrade per l'Italia: «Non sono per nulla soddisfatto delle proposte di transazione della famiglia Benetton», dice il premier, «due anni fa, dopo il crollo del ponte Morandi, abbiamo avviato la procedura di contestazione, mettendo in discussione la concessione ad Aspi. La mia sensazione è che Autostrade abbia scommesso sulla debolezza dei pubblici poteri nella tutela dei beni pubblici. Sabato», aggiunge Conte, «è arrivata una risposta ampiamente insoddisfacente, per non dire imbarazzante. Se crollasse un altro ponte, non potremmo sciogliere la convenzione e, se mai lo facessimo, dovremmo rifondere Aspi con 10 miliardi di euro, e solo per l'avviamento. Quando ho letto la proposta ho pensato a uno scherzo. I Benetton non prendono in giro il presidente del Consiglio e i ministri», argomenta il premier, «ma i famigliari delle vittime del ponte Morandi e tutti gli italiani. Allo stato dei fatti, intravedo una sola decisione, imposta proprio da Autostrade».Il Pd, dopo aver tentennato per mesi, si allinea alla intransigenza di Conte, pur lasciando ancora una possibilità ai Benetton: «La lettera di Aspi al governo», sottolinea il segretario dem, Nicola Zingaretti, «è deludente e conferma ulteriormente l'esigenza di un profondo cambio di indirizzo dell'azienda basato su impegni rigorosi in materia di tariffe, sicurezza e investimenti, e su un assetto societario che veda lo Stato al centro di una nuova compagine azionaria che assicuri l'avvio di questa nuova fase. I rilievi del presidente del Consiglio», sottolinea Zingaretti, «sono condivisibili. Il governo agisca tempestivamente e in modo unitario per giungere a una rapida conclusione in tal senso, assicurando quindi la soluzione migliore nell'interesse del paese e dei cittadini».«Domani (oggi, ndr)», aggiunge Conte nel pomeriggio, in conferenza stampa con Angela Merkel, «ci sarà un'informativa al Consiglio dei ministri, è una decisione che deve coinvolgere tutto il governo, tutti i ministri saranno nelle condizioni di conoscere i dettagli. Conseguenze della eventuale revoca? Se c'è stato un problema di cattiva manutenzione, se ci sono stati problemi di inadempimenti, la responsabilità va sul management soggetto ad azione di responsabilità», sottolinea Conte, «non sulla cittadinanza che deve subire il ricatto di eventuali conseguenze e incertezze che avrebbero le decisioni pubbliche sul concessionario privato».«Due anni fa», si compiace Vito Crimi, capo politico del M5s, «in questa battaglia il Movimento era solo e, rispetto alla nostra fermezza, i partiti manifestavano timidezza o addirittura avversità: in primis i nostri alleati di governo di allora, che adesso fanno la voce grossa ma che allora frenavano cosi come a frenare ci sono alleati di oggi».Matteo Renzi, però, non ne vuole sapere di dare l'ok alla revoca: «I populisti», scrive Renzi su Facebook, «chiedono da due anni la revoca della concessione. Facile da dire, difficile da fare. Perché se revochi senza titolo fai un regalo ai privati, ai Benetton, ai soci e apri un contenzioso miliardario che crea incertezza, blocco cantieri, licenziamenti. Se proprio lo Stato vuole tornare nella proprietà», aggiunge il leader di Italia viva, «l'unica possibilità è una operazione su Atlantia con un aumento di capitale e l'intervento di Cdp».Anche l'opposizione interviene sulla vicenda: «Sono a favore della revoca», dice la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, «e sono per rimettere a gara, a condizioni diverse, con vincoli diversi, la gestione dell'infrastruttura. Non sono per la nazionalizzazione, sono per la gestione privata, però a condizioni che devono convenire al pubblico, non solo ai privati». «Il presidente del Consiglio», argomenta il leader della Lega, Matteo Salvini, «ha in mano uno studio giuridico. Se ci sono gli estremi si revoca, se non ci sono si proroga. Sicuramente dichiarare e far perdere un titolo in borsa il 15% significa non saper fare bene il proprio mestiere. Faremo la segnalazione a tutti coloro che devono vigilare sulla regolarità della gestione dei risparmi e dell'andamento dei titoli in borsa (la Consob, ndr), perché i risparmiatori che hanno i titoli di Atlantia in tasca sono anche operai e lavoratori, non sono i milionari e i Benetton».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lavvocato-preme-per-la-revoca-ad-aspi-i-dem-a-rimorchio-solita-piazzata-di-iv-2646404669.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zero-certezze-per-il-dopo-benetton" data-post-id="2646404669" data-published-at="1594687496" data-use-pagination="False"> Zero certezze per il dopo Benetton Le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, contro i Benetton, ieri sui quotidiani, in realtà sono sembrate, a chi segue il dossier autostrade, un fuoco di paglia. Il premier avrebbe da un lato cercato di tenere a freno i 5 stelle, dall'altro confermato come una revoca della concessione sia davvero difficile, se non impossibile. Non a caso, tra i virgolettati di Conte sulla Stampa, ce n'è uno dove si invitato tutti i ministri a decidere in modo collegiale sulla questione. Non è casuale la mossa dell'avvocato Conte. Perché in questo modo sarebbe tutto l'esecutivo a rispondere di un possibile danno erariale nel caso in cui la Corte dei Conti ravvisasse irregolarità nella revoca della concessione o per la cattiva gestione del dossier autostrade. Per di più i Benetton sono pronti a tutto per ottenere i 23 miliardi di indennizzo in caso di revoca e non i 7, cioè un terzo, previsti nel decreto milleproroghe. La battaglia legale potrebbe durare anni, ma se l'esecutivo dovesse uscirne sconfitto sarebbe un problema notevole per le casse dello Stato. Del resto, se Conte avesse voluto togliere la concessione ai Benetton avrebbe avuto la possibilità 2 anni fa, all'indomani del crollo del ponte Morandi di Genova. Nel frattempo ieri Atlantia, controllata dai Benetton, ha perso in borsa il 13,5 %. Ma nonostante i contraccolpi sui mercati si continua a lavorare per trovare una soluzione. La proposta di Atlantia di 3,4 miliardi di risarcimento, l'abbassamento delle tariffe, investimenti per il nuovo ponte Morandi e per le opere straordinarie di manutenzione sulla rete per un totale di 7 miliardi, sarà affrontata oggi in Consiglio dei ministri. Ma appare evidente che la soluzione dell'impasse passi di fatto dal nuovo azionariato di Aspi, controllata al momento all'88% da Atlantia e per il restante da fondi esteri, tra cui i cinesi di Silk Road con il 5%. Una revoca della concessione comporterebbe il fallimento della società che vanta un'esposizione per 10 miliardi con le banche e che manderebbe a gambe all'aria anche la galassia societaria dei Benetton, in Atlantia con il 30%. Come ieri spiegavano l'amministratore delegato di Aspi, Roberto Tomasi, e quello di Atlantia, Carlo Bertazzo, si parla nel complesso di un default totale da 20 miliardi con il rischio di 7.000 dipendenti senza lavoro. In pochi, soprattutto a Palazzo Chigi, pensano che lo Stato potrebbe sobbarcarsi una spesa di questo genere. In teoria ci sarebbe Anas che potrebbe occuparsi delle concessioni. Ma la società di via Mozambano non sembra in grado di potersi occupare di un impegno come questo, tanto più che nemmeno un mese fa è crollato un ponte tra Toscana e Liguria gestito proprio dall'azienda diretta da Massimo Simonini, dal 2018 nel gruppo Ferrovie dello Stato. L'unica via d'uscita è quindi rivedere l'azionariato di Autostrade per l'Italia (Aspi). In questi mesi si è a lungo ragionato su come ridurre il potere dei Benetton. A quanto pare l'accordo sarebbe una riduzione dell'azionariato dall'88 al 37%. I 5 stelle però premono perché i Benetton escano definitivamente. Difficile che accada. Più che altro la trattativa del governo è su chi subentrerà e chi avrà la maggioranza. Il gruppo Benetton preferirebbe l'entrata di F2i, il fondo di investimento infrastrutturale di Renato Ravanelli che vedrebbe anche il sostegno di Fondazione Cariplo e di altre realtà. Il nodo però sembra essere la Cdp di Fabrizio Palermo. I grillini spingono perché via Goito sia della partita e soprattutto perché abbia la maggioranza delle quote. Scegliere un impegno da parte di Cassa depositi e prestiti sarebbe una scelta soprattutto politica, perché comporterebbe anche incarichi da affidare per la nuova governance di Aspi. Mentre optare per F2i sarebbe di sicuro una scelta più tecnica, organica al processo anche alla stessa Atlantia.
Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.
Christine Lagarde (Ansa)
Come accade, ad esempio, in quel carrozzone chiamato Unione europea dove tutti, a partire dalla lìder maxima, Ursula von der Leyen, non dimenticano mai di inserire nella lista delle priorità l’aumento del proprio stipendio. Ne ha parlato la Bild, il giornale più letto e venduto d’Europa, raccontando come la presidente della Commissione europea abbia aumentato il suo stipendio, e quello degli euroburocrati, due volte l’anno. E chiunque non sia allergico alla meritocrazia così come alle regole non scritte dell’accountability (l’onere morale di rispondere del proprio operato) non potrà non scandalizzarsi pensando che donna Ursula, dopo aver trasformato l’Ue in un nano economico, ammazzando l’industria europea con il folle progetto del Green deal, percepisca per questo capolavoro gestionale ben 35.800 euro al mese, contro i 6.700 netti che, ad esempio, guadagna il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Allo stesso modo funzionano le altre istituzioni dell’Unione europea. L’Ue impiega circa 60.000 persone all’interno delle sue varie istituzioni e organi, distribuiti tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo (la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il Comitato economico e sociale). La funzione pubblica europea ha tre categorie di agenti: gli amministratori, gli assistenti e gli assistenti segretari. L’Ue contrattualizza inoltre molti agenti contrattuali. Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 2019, questi funzionari comunitari guadagnano tra 4.883 euro e 18.994 euro mensili (gradi da 5 a 16 del livello 1).
Il «vizietto» di alzarsi lo stipendio ha fatto scuola anche presso la Banca centrale europea (Bce), che ha sede a Francoforte, in Germania, ed è presieduta dalla francese, Christine Lagarde. Secondo quanto riassunto nel bilancio della Bce, lo stipendio base annuale della presidente è aumentato del 4,7 per cento, arrivando a 466.092 euro rispetto ai 444.984 euro percepiti nel 2023 (cui si aggiungono specifiche indennità e detrazioni fiscali comunitarie, diverse da quelle nazionali), ergo 38.841 euro al mese. Il vicepresidente Luis de Guindos, spagnolo, percepisce circa 400.000 euro (valore stimato in base ai rapporti precedenti, di solito corrispondente all’85-90% dello stipendio della presidente). Gli altri membri del comitato esecutivo guadagnano invece circa 330.000-340.000 euro ciascuno. Ai membri spettano anche le indennità di residenza (15% dello stipendio base), di rappresentanza e per figli a carico, che aumentano il netto effettivo. Il costo totale annuale del personale della Bce è di 844 milioni di euro, valore che include stipendi, indennità, contributi previdenziali e costi per le pensioni di tutti i dipendenti della banca. Il dato incredibile è che questa voce è aumentata di quasi 200 milioni in due anni: nel 2023, infatti, il costo totale annuale del personale era di 676 milioni di euro. Secondo una nota ufficiale della Bce, l’incremento del 2024 è dovuto principalmente a modifiche nelle regole dei piani pensionistici e ai benefici post impiego, oltre ai normali adeguamenti salariali legati all’inflazione, cresciuta del 2,4 per cento a dicembre dello scorso anno. La morale è chiara ed è la stessa riassunta ieri dal direttore, Maurizio Belpietro: per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, ma se si tratta dello stipendio dei funzionari Ue, il discorso non vale.
Stessa solfa alla Corte di Giustizia che ha sede a Lussemburgo: gli stipendi variano notevolmente a seconda della posizione (avvocato, cancelliere, giudice, personale amministrativo), ma sono generalmente elevati, con giuristi principianti che possono guadagnare da 2.000 a 5.000 euro al mese e stipendi più alti per i magistrati, anche se cifre precise per i giudici non sono facilmente disponibili pubblicamente. Gli stipendi si basano sulle griglie della funzione pubblica europea e aumentano con l’anzianità, passando da 2.600 euro per il personale esecutivo a oltre 18.000 euro per alcuni alti funzionari.
Il problema, va precisato, non risiede nel fatto che le persone competenti siano pagate bene, com’è giusto che sia, ma che svolgano bene il proprio lavoro e soprattutto che ci sia trasparenza sui salari. Dei risultati delle politiche di Von der Leyen e Lagarde i giudici non sono esattamente entusiastici, ma il conto lo pagano, come al solito, i cittadini europei.
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