2019-07-14
L’avvocato massone guidava la trattativa all’hotel Metropol
Gianluca Meranda cercava di agganciare la società petrolifera russa Rosneft (che non gli ha mai risposto) insieme con l'ex portavoce di Matteo Salvini.Attacchi da Matteo Renzi e Luigi Zanda. Il leghista Giulio Centemero: «Altro che rubli, le casse piangono».Lo speciale contiene due articoli Il puzzle si sta componendo e, uno a uno, stanno uscendo i nomi dei sei partecipanti alla colazione dell'hotel Metropol di Mosca, tre russi e tre italiani, che hanno discusso di petrolio e ipotetici finanziamenti alla Lega. Il primo nome emerso è stato quello di Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini. Il secondo protagonista si è rivelato da solo. Ed è l'uomo che con le sue parole ha fatto ipotizzare il reato di corruzione internazionale. Infatti, quando i sei parlano di come far avere un finanziamento alla Lega, entra nei dettagli e calcola anche la commissione per i russi: «Se ora dici che lo sconto è del 10%, direi che il 6% è vostro» esclama. «Oltre il 4%, noi non ne abbiamo bisogno». In una lettera a Repubblica ha svelato di essere non «il banchiere Luca», ma un avvocato internazionalista, «che esercita la professione da più di 20 anni tra Roma e Bruxelles anche nel ramo del diritto d'affari». Quindi ha precisato di aver partecipato alla riunione del 18 ottobre all'hotel Metropol a Mosca «in qualità di general counsel di una banca d'affari anglotedesca debitamente autorizzata al commodity trading e interessata all'acquisto di prodotti petroliferi di origine russa». Ha pure confermato «di aver conosciuto il Gianluca Savoini e di averne apprezzato l'assoluto disinteresse personale nei pochi incontri avuti in relazione alle trattative». Però nella missiva non rivela i nomi dei restanti interlocutori, salvo specificare che si tratterebbe di «esperti sia in compravendite internazionali» e di petrolio. Ma l'affare «non si perfezionò». L'avvocato è il cosentino Gianluca Meranda, classe 1970, iscritto all'albo dal 2001. Alla Camera di commercio risulta socio al 50% di Giovanni Orsolini, imprenditore edile di Monterotondo (Roma), in due ditte: la Costruzioni Edil Piave srl e la Orsolini costruzioni, dichiarata fallita nel 2013. Ma dal 2018 è diventato general counsel della Euro-IB, una banca d'investimenti con uffici a Londra, Francoforte e una rappresentanza a Roma. Fondatore e amministratore delegato dell'istituto è Alexander von Ungern-Sternberg, rampollo di una nobile famiglia tedesca, con ottime entrature nelle principali banche internazionali. La Euro-IB in Gran Bretagna ha acquisito circa un anno e mezzo fa le licenze per operare nel settore delle materie prime, tra cui il petrolio. «Ma finora non abbiamo acquistato e rivenduto neanche un litro di oro nero. È un mercato complesso», sospira Glauco Verdoia, cinquantanovenne piemontese, a capo dell'ufficio di Roma. Verdoia, però, ci tiene a precisare: «Sapevamo che Meranda era andato a Mosca a trattare delle partite di petrolio, ma ha organizzato direttamente gli incontri, senza coinvolgere la banca, che non conosceva i suoi interlocutori, e ha riferito i contenuti degli accordi in termini generali solo dopo il ritorno in Italia». Meranda sarebbe molto geloso dei suoi contatti, ma non ha mai fatto mistero di conoscere Savoini e di essere un simpatizzante di Salvini (su Facebook è collegato a un sito aperto nel 2018 e intitolato «Salvini premier»). Assicura, però, di non votare da dieci anni. Chi lo frequenta dice anche che avrebbe mal digerito, lui uomo di destra, l'alleanza della Lega con M5s. Nega di essersi «mai occupato di finanziamenti ai partiti» o di aver avuto incarichi politici. L'unica tessera a cui tiene è quella di libero muratore. Dovrebbe far parte della Serenissima gran loggia d'Italia guidata dal gran maestro Massimo Criscuoli Tortora e nel maggio 2015 un giornale per grembiulini pubblicò una notizia che lo riguardava: «Per la prima volta nella storia della massoneria italiana è stata costituita una fondazione massonica. Oggi, infatti, alcuni lungimiranti massoni, con il supporto del Supremo Consiglio Unito d'Italia e della Serenissima Gran Loggia d'Italia, hanno rogitato (…) ed hanno costituito la Fondazione massonica». Tra i fondatori anche Meranda che venne nominato vicepresidente. Ma torniamo al Metropol. Chi erano i russi presenti all'incontro? Qualcuno dice che tra i partecipanti ci fosse Konstantin Malofeev, l'oligarca incaricato dal Cremlino di tenere i rapporti e appoggiare i sovranisti occidentali. Non è un mistero che sia in contatto con Savoini. Dopo l'incontro del 18 ottobre, Meranda è tornato a Roma e il 20 ha informato i suoi assistiti della Euro-IB della possibilità di acquistare a buon prezzo 3 milioni di tonnellate di petrolio, il quantitativo citato nella registrazione del Metropol. E la compagnia che avrebbe dovuto fornirlo è la Rosneft, la principale compagnia petrolifera pubblica russa, più volte citata nell'audio. Si parla anche di una «banca d'investimento» che dovrà firmare l'accordo e ottenere «il margine aggiuntivo», quello destinato alla Lega. Meranda si fa prendere dall'entusiasmo: «Con la prima consegna, Gianluca (Savoini, ndr), prendiamo la banca. Voglio essere nella sala di comando. […] La banca sarà necessaria per altre enne operazioni». Dopo il ritorno di Italia di Meranda, la Euro-IB, il 29 ottobre, consegna al suo consigliere legale una lettera di intenti non vincolante con una richiesta di quotazione da inviare alla Rosneft, per avere una proposta di prezzo. Ma da quel momento dalla Russia, a quanto risulta, non sono più arrivate risposte. «Meranda diceva che c'erano problematiche, che bisognava rimandare a dopo Natale, che non si riuscivano a raggiungere gli accordi», ricorda Verdoia. «Chiesi: “Quali accordi?" e rispose che c'erano delle cose da vedere, dei bilanciamenti da fare, ma da lì non ho più nemmeno chiesto, avendo perso interesse nell'operazione». Tra il 12 e il 14 dicembre Meranda è tornato a Mosca e dalla Russia ha scritto a Verdoia questo Whatsapp: «Non ci sono sviluppi». A quanto risulta alla Verità l'avvocato a inizio 2019 tentò di cambiare cavallo e si rivolse a un noto lobbista romano con solidi rapporti a Mosca. Ma anche in questo caso non si concretizzò nulla.Meranda ha anche raccontato in banca di aver partecipato a un'importante serata con Savoini, che aveva già incontrato in Italia, e alti papaveri russi, propedeutica all'incontro del Metropol. Ma il legale cosentino, ieri, con le agenzie di stampa, ha puntualizzato: «Durante il nostro incontro a Mosca - dove si è trattato di una normale operazione professionale - non era presente Matteo Salvini ed escluderei che lui sapesse qualcosa di questo incontro». Poi ha aggiunto: «Non posso dire di non aver mai incontrato Matteo Salvini, ma non è stato per questioni professionali. Posso dire di averlo incontrato in occasioni pubbliche». Sa qualcosa di quei giorni anche il vicepresidente di Confindustria Russia, Fabrizio Candoni, imprenditore con radici di sinistra che, però, è entrato in confidenza con Matteo Salvini (i due si frequentano a Pinzolo, dove hanno casa). Quattro o cinque anni fa venne incaricato di individuare personalità politiche di livello disponibili a riconoscere la Crimea. «Salvini era un europarlamentare e in modo altruistico ha preso un aereo e lo abbiamo portato a Mosca da Putin e poi ha fatto la sua scalata politica», ricorda. Nel 2018 Candoni avrebbe messo in guardia il vicepremier, come ha svelato con questo post su Facebook: «Mosca. Mercoledì 17 ottobre 2018. Confindustria Russia. Matteo lo sai vero che se domani vai al Metropol con Savoini ti prendo a calci nel culo fino a Vladivostok…!!! Sì certo. Mica sono così scemo. Domani prendo il primo volo e vado a chiudere la campagna elettorale a Trento». Candoni spiega così quel messaggio: «Se ci sono questioni di business un politico non ce lo faccio andare. E poi al Metropol non ci porti neanche l'amante perché è pieno di microspie, a meno che tu non ci voglia andare per fare una recita. Io sapevo che il 18 Salvini doveva fare altri incontri a Mosca, ma sapevo anche che c'era un importante elezione a Trento e gli ho suggerito di tornare in Italia. Salvini ha grande naso politico, ma ha una totale disintermediazione, incontra tutti e si fa portare come una madonna incoronata ovunque. Mal sopporto, anche epidermicamente, tutto il giro leghista che si muove in modo scomposto intorno a lui. Le due regole che ti insegnano a Mosca sono di non andare alle cene in cui non sai chi ci sia e di non occuparti di intermediazioni di gas e petrolio. Regole che questo giro di apprendisti stregoni leghisti non ha rispettato. Non faccio parte del team di Salvini, ma penso che non abbia una struttura adeguata per tutelarlo. Savoini fa più danni che altro, non so se millanti, ma ha questo atteggiamento da spia russa, anche se per me i delinquenti veri sono altri».Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lavvocato-massone-guidava-la-trattativa-allhotel-metropol-2639185435.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-pd-ne-approfitta-dimissioni-immediate" data-post-id="2639185435" data-published-at="1762783792" data-use-pagination="False"> Il Pd ne approfitta: «Dimissioni immediate» Il Pd va all'attacco di Matteo Salvini: l'affaire Savoini viene utilizzato per tentare di mettere in difficoltà il ministro dell'Interno. Ieri è stato proprio Salvini a ironizzare: «Mamma mia che vento! Speriamo», ha scritto Salvini, pubblicando su Facebook una foto in spiaggia, «che non arrivi dalla Russia, altrimenti partono altre cinque inchieste sulla Lega». La raffica di attacchi viene soprattutto dal Pd. «Salvini nervoso, sprezzante, sempre sopra le righe. Si vede», scrive su Twitter Paolo Gentiloni, «che non può dire la cosa più semplice: il mio fedelissimo Savoini è un truffatore». «Questi», scrive Matteo Renzi su Facebook, pubblicando una foto che ritrae insieme Matteo Salvini e l'ex vicecancelliere austriaco Heinz Christian Strache, «sono i leader sovranisti di Italia e Austria. I loro collaboratori sono stati registrati mentre chiedono soldi russi: sovranisti coi rubli. Uno dei due si è dimesso. L'altro è Matteo Salvini. Se i leghisti che erano al tavolo hanno preso soldi per la campagna elettorale è corruzione e finanziamento illecito. Ma se li hanno anche solo semplicemente chiesti è alto tradimento. Prima gli italiani coi soldi dei russi?». Chiede le dimissioni di Salvini il tesoriere del Pd Luigi Zanda: «È improprio», ha detto a Repubblica, «che Salvini continui a fare il ministro dell'Interno. Se in Gran Bretagna, in Francia, in Germania o in Spagna un ministro dell'Interno si trovasse coinvolto in una vicenda così nera e così equivoca, mi chiedo se rimarrebbe al suo posto un minuto di più. Stupisce che Salvini non comprenda che spiegare in Parlamento, dimostrare che la registrazione è un atto ribaldo di Savoini e che né lui né la Lega c'entrano nulla, è nel suo interesse personale e politico. Salvini dovrebbe portare in giudizio Savoini, querelarlo e chiedergli i danni economici. Non dovrebbe tollerare che Savoini vada dicendo che non ci sono prove, che non ci sia stato un passaggio di soldi. Quando si fanno operazioni di questa natura, è chiaro che si fa il possibile per non lasciare in giro tracce». Il Pd ha anche presentato interrogazioni, al Senato e alla Camera, per chiedere a Salvini di chiarire il ruolo del suo consulente a Palazzo Chigi, Claudio D'Amico, nell'associazione Lombardia-Russia. «Il Claudio D'Amico che risulta responsabile dello sviluppo progetti dell'associazione Lombardia-Russia diretta da Savoini», chiede il senatore dem Dario Parrini, «è lo stesso Claudio D'Amico che lavora negli uffici di diretta collaborazione del vicepremier della Lega?». Sulla stessa linea anche le uscite di Alessia Morani e Matteo Orfini. Il leghista Giulio Centemero sul Messaggero ha risposto respingendo tutte le accuse («Altro che rubli. Le nostre casse, come si sa, piangono») e ha mandato un messaggio sibillino, che si sono detti favorevoli a una commissione d'inchiesta sui finanziamenti ai partiti, purché coinvolga tutti gli schieramenti: «Hanno poco da parlare, se si sveglia un magistrato...». Carlo Tarallo
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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