2021-07-30
Lavoro nel caos: le aziende decidono da sé
In assenza di provvedimenti sulle immunizzazioni dei dipendenti, le società si muovono da sole: in una ditta nel Pesarese chi decide di ricevere la puntura avrà un bonus di 50 euro. Intanto, Google è pronta a imporre l'obbligo in ogni sede per il ritorno in presenza.L'incertezza sulle norme da seguire per quando dovremo tornare a lavorare in ufficio, e per chi già lavora in presenza, sta portando le aziende a fare da sé e ad attuare diverse discriminazioni verso chi non è vaccinato. I casi sono i più disparati: c'è chi non può lavorare in ufficio, chi persino non può lavorare del tutto (nemmeno da casa) e chi riceverà uno stipendio maggiorato in caso di vaccino. La mancanza di norme specifiche sta portando a un vero e proprio far west che non fa bene ai lavoratori. Così il dibattito si accende e insieme a lui anche i toni. Fa pensare, ad esempio, il caso della Noctis di Pergola, nel Pesarese. Un'azienda da 150 dipendenti che opera nel tessile (e ora nella produzione di mascherine e camici) che ha fatto sapere che darà 50 euro, una tantum, ai dipendenti che sceglieranno di vaccinarsi.Anche se in positivo, e senza violazione della privacy, si tratta a tutti gli effetti di una discriminazione. Come spiega Mattia Priori, direttore generale dell'azienda al Resto del Carlino, «siamo in una fase determinante in cui anche un solo siero inoculato in più diventa importante. L'obiettivo è raggiungere a livello aziendale il 100% della copertura. Perché in questo modo avremo contribuito a dare una spinta alla campagna vaccinale e, al contempo, a tutelare le nostre lavoratrici e i nostri lavoratori». La società Sterilgarda di Castiglione delle Stiviere, vicino Mantova, ha inviato una lettere ai dipendenti spiegando che «dal mese di settembre 2021, a chi risulterà privo di green pass per la mancata sottoposizione all'iter vaccinale» potrebbero essere «attribuite mansioni diverse da quelle normalmente esercitate e tali da escludere rischi di contagio per contatti con altri dipendenti». A Varese, la sede locale di Confindustria ha diffuso un sondaggio per capire se le 420 aziende del territorio fossero favorevoli a introdurre misure più efficaci per favorire la vaccinazione dei dipendenti. Il 57,9% non ha avuto dubbi nel rispondere affermativamente. Di segno opposto la seconda opzione offerta agli imprenditori: la contrarietà a qualsiasi forma di imposizione o condizionamento, ritenuta una forzatura alla libertà personale dal 16,6% di coloro i quali hanno risposto alla survey. Il 13,2% dei datori di lavoro si è detta anche favorevole a una loro deresponsabilizzazione in caso di contagio. Più bassa la percentuale di imprenditori che chiede misure non coercitive come il «green pass» con anche l'opzione di destinare ad altri incarichi i lavoratori non vaccinati e, in ultimissima istanza, di procedere alla sospensione. Ma come si comporteranno le grandi aziende con migliaia di dipendenti? La mente va subito ai colossi della tecnologia come Google. Come spiega il colosso di Mountain View, i dipendenti non torneranno in presenza prima di ottobre (inizialmente il ritorno alla scrivania era previsto per settembre) e per accedere agli uffici ci sarà l'obbligo di essere vaccinati, eccezion fatta per chi ha particolari motivi medici. Il requisito del vaccino sarà imposto prima nella sede centrale, in California, e in altri uffici statunitensi, prima di essere esteso alle sedi di Google in 40 paesi del mondo.Della stessa idea Facebook e Netflix. Apple starebbe ancora valutando il da farsi, anche se avrebbe già inviato una lettera ai dipendenti per incoraggiare il personale a vaccinarsi. Al momento, però, per il colosso di Cupertino non è previsto alcun obbligo per i dipendenti.Per le grandi banche italiane al momento non c'è alcun obbligo per i dipendenti. Ieri l'amministratore delegato di Banca Mediolanum Massimo Doris ha fatto sapere nel corso di una conferenza stampa che «l'azienda darà priorità per il rientro in ufficio ai dipendenti vaccinati» senza però introdurre alcun obbligo formale per i dipendenti. C'è da credere che in mancanza di norme definite sarà questa la strada che intraprenderanno molte aziende italiane. Nessun obbligo, ma priorità per chi è stato vaccinato. D'altronde, va detto, che poche settimane fa Confindustria propose l'obbligo del «green pass» per i lavoratori e dal mondo sindacale (e non solo) ci fu una levata di scudi, facendo anche leva sul tema della privacy, visto che i lavoratori non sono obbligati a rivelare al datore di lavoro se hanno fatto l'iter vaccinale o meno. Intanto, però, una ricerca realizzata dall'Università Statale e commissionata dalla Fondazione Cariplo ha mostrato che gli italiani sono favorevoli all'obbligo del vaccino.Secondo i numeri elaborati dall'indagine «ResPOnsE Covid 19», oltre il 50% di chi ha risposto al sondaggio si è detto a favore, mentre a dicembre - prima dell'inizio della campagna vaccinale - era solo il 40%. Al contrario solo un italiano su 20 si dice «fortemente contrario» alla puntura.La soluzione, insomma, al grande dibattito attorno all'obbligo vaccinale per chi lavora non può essere presa dai singoli imprenditori. Tocca al governo risolvere questa «patata bollente» e dettare norme certe. Sennò rimarrà sempre e solo un far west all'italiana e ad andarci di mezzo saranno i lavoratori.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)