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2021-10-21
L’assalto alle farmacie per i tamponi fa cedere Figliuolo sugli orari extra
Francesco Figliuolo (Ansa)
Farmacie aperte oltre l'orario di servizio e anche nei giorni previsti di chiusura per far fronte alle richieste di tamponi da parte dei cittadini senza prenotazioni. Il commissario straordinario, Francesco Figliuolo, sentito il ministero della Salute, ha accolto la proposta della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi) e ha chiesto alle Regioni di agevolare le farmacie la cui adesione sarà comunque su base volontaria (previa comunicazione alle aziende sanitarie locali e ai Comuni). È quindi ancora troppo presto per sapere quanti farmacisti risponderanno alla chiamata. La richiesta del generale Figliuolo va però in una nuova direzione rispetto a quella vista finora, ovvero agevolare i tamponi. Bisogna infatti fare i conti con la realtà, ovvero che l'introduzione del pass obbligatorio per lavorare non sembra per il momento aver scalfito lo zoccolo duro degli italiani che ancora non hanno ricevuto la prima somministrazione. La spinta tanto attesa non c'è stata, come scrive da giorni questo giornale mentre altri ieri si sono svegliati tutti sudati leggendo i dati. Inequivocabili.
Le prime dosi di vaccino somministrate sono in calo, mentre aumentano le terze dosi: i dati di lunedì e martedì fotografano il sorpasso dei booster e dei richiami (suggeriti al momento per over 60, fragili e sanitari), sulle prime dosi, per le quali si registra un rallentamento dopo l'assai timida crescita delle scorse settimane. Lunedì 18 ottobre sono state somministrate 47.360 prime dosi (circa 10.000 in meno rispetto alla media della settimana precedente) e 50.392 terze dosi (20.000 in più rispetto a sette giorni prima). Sorpasso confermato e rinforzato martedì, con quasi 37.000 prime dosi e 55.800 terze dosi. I primi due giorni della settimana scorsa il rapporto era invertito, con 54.000 e 58.000 prime dosi a fronte di 38.000 e 42.000 terze dosi.
In generale, il 74,4% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale. Il 3,80% è in attesa di seconda dose. Complessivamente - contando anche il monodose e i preinfettati che hanno ricevuto una dose - è almeno parzialmente protetto il 78,2% della popolazione italiana. Considerando solo gli over 12, oggetto della campagna vaccinale, la percentuale di almeno parzialmente protetti è del 85,8% mentre l'81,63% è completamente vaccinato. L'ultima media mobile a sette giorni di «vaccinati» ogni giorno in Italia è di 74.374. Di questi, 70.341 hanno fatto la seconda dose, 484 il monodose, 3.549 sono «pregresse infezioni».
La domanda che si fa gran parte degli italiani è quando finirà davvero lo stato d'emergenza, finora fissato al 31 dicembre, e se esiste una soglia superata la quale sarà possibile allentare le misure sul pass obbligatorio per chi lavora. Nei giorni scorsi lo stesso Figliuolo ha detto che, secondo lui, questa possibilità si presenterà solo «quando raggiungeremo il 90%« (senza però precisare se la percentuale è riferita alla popolazione generale o a quella vaccinabile ovvero agli over 12). Ma ha poi rimandato la scelta ai decisori. «Se i comportamenti continueranno a essere responsabili e le curve confermeranno l'andamento, il governo penserà a qualcosa che potrà andare verso un alleggerimento delle misure». Di certo, per arrivare al 90% con l'attuale ritmo di vaccinazioni, ci vorrebbero due mesi.
Ieri però Mario Draghi, davanti al Parlamento non ha parlato di soglie. Anzi. In Senato ha citato lo «sforzo straordinario» dell'Italia nella campagna di vaccinazione, tanto da superare la media europea, aggiungendo che la curva epidemiologica «è sotto controllo grazie al senso di responsabilità dei cittadini e questo ci permette di mantenere aperte le scuole, le attività economiche e i luoghi della nostra socialità». Poi, però, nella replica in Aula alla Camera, ha evocato il Regno Unito che, «abbandonata ogni cautela si trova di fronte a 50.000 contagi giornalieri e 200 morti. Questo ci insegna che bisognerà uscire con gradualità». E ha sottolineato che «dopo 132.000 morti bisogna fare in coscienza tutto il possibile e quello che è necessario». Nessun accenno al livello da raggiungere per dichiarare l'uscita dall'emergenza, nessuna valutazione costi-benefici del certificato per i lavoratori. Il premier ha preferito usare le parole «graduale» e «necessario». Si va verso una proroga? La sensazione è quella.
Intanto lo stesso Draghi ieri ha detto anche che «dal decreto con l'estensione nei luoghi di lavoro le prime dosi di vaccino sono cresciute del 46% rispetto al trend atteso dal 16 settembre». Rilanciando quanto riportava l'Ansa giovedì scorso riportando una stima basata - «a quanto apprendeva» la stessa agenzia - sui dati aggiornati in possesso della struttura commissariale. E che calcola 559.954 prime dosi in più legate alla certificazione verde. Le rilevazioni, veniva aggiunto, «sono relative al periodo tra il 16 settembre e 13 ottobre: senza il green pass le prime dosi attese erano 1.208.272; con l'approvazione dell'obbligo si sono invece registrate 1.768.226 prime somministrazioni». Draghi ieri ha citato proprio quel 46% senza però chiarire, ancora, i dubbi sollevati nei giorni scorsi dalla Verità: come si arriva ad affermare che «senza il green pass le prime dosi attese erano 1.208.272»? Sulla base di quali previsioni o statistiche? E da dove arriva la certezza che tutte le prime dosi in più somministrate tra il 16 settembre e il 13 ottobre siano effetto del certificato verde? Quanti dei nuovi vaccinati non si sarebbero comunque fatti inoculare la prima dose a prescindere dal green pass o hanno preferito programmare il vaccino al rientro dalle ferie estive? Tra l'altro, ha preso il volo anche la domanda di tamponi antigenici rapidi documentando indirettamente l'esistenza di una fascia di popolazione non intenzionata a vaccinarsi. E ora si fanno più terze che prime dosi.
La terza dose gonfia la conta dei pass
I green pass sfondano quota 100 milioni, titolavano le agenzie di stampa qualche giorno fa. Alimentando la narrazione del «tutto va bene, madama la marchesa» sull'effetto del certificato obbligatorio per i lavoratori pubblici e privati. «Il green pass è un pezzo fondamentale della strategia del governo ed è uno strumento che gli italiani stanno usando massicciamente, essendo 103 milioni quelli scaricati a stamani», ha detto ieri anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, rispondendo al question time alla Camera.
Attenzione, però, a come si danno i numeri. Anche un otto può sembrare l'infinito se viene mostrato nel verso sbagliato. Se si guardano le cifre dal verso giusto si scopre subito che nel solo giorno del 13 ottobre sono stati emessi 563.186 green pass, ma la maggior parte dei quali (369.415) in seguito a un tampone. Il 14 ottobre, sono stati emessi 632.802 green pass in seguito a tamponi, e 223.165 a vaccinati (più 4.127 a persone guarite dalla malattia). Il 15 ottobre, quando è entrato in vigore l'obbligo per lavorare, sono stati 208.831 i certificati ai vaccinati, 4.381 ai guariti e ben 653.827 ai tamponati. Nei giorni successivi, stessa musica: il 18 ottobre sono stati addirittura 130.170 i pass emessi in seguito al vaccino, contro 914.702 in seguito a tamponi (e ieri 203.719 contro 598.183). Certo, sarà nelle prossime settimane che le «fette» potrebbero cominciare a cambiare se e quando in molti si stuferanno di pagare fior di quattrini per farsi il tampone ogni due giorni. Ma fa sorridere chi ieri scriveva «l'effetto green pass si sgonfia» o «si raffredda», quando mai si è davvero gonfiato? E quando si è scaldato? Prima del 15 ottobre - ha registrato Pagellapolitica.it - si facevano circa 300.000 test al giorno (media settimanale), ma il 14 ottobre i test fatti sono saliti a 633.000, il giorno dopo a 654.000 e il 16 ottobre a 560.000, poi scesi il 17 ottobre a 262.000. Un aumento dei pass c'è stato, ma come abbiamo visto, spinto dalla crescita del numero di tamponi rapidi eseguiti giornalmente (tra il 15 e il 17 ottobre ne sono stati notificati 1,05 milioni, contro i 595.000 dei corrispondenti giorni della settimana precedente).
Non solo. C'è un altro dettaglio che fa perdere colpi alla narrazione relativa all'effetto del green pass obbligatorio sulle vaccinazioni. Osservando le cifre sui certificati emessi nelle ultime settimane vanno considerati anche i nuovi pass per chi ha fatto la terza dose. In base ai dati aggiornati alle 61,3 di ieri mattina parliamo di 700.623 persone che hanno ricevuto la somministrazione di un richiamo o del booster partita il 20 settembre per la categoria dei cosiddetti «immunocompromessi». Ebbene, abbiamo verificato con chi ha ricevuto il terzo shot sia il numero progressivo che compare sul nuovo green pass valido per altri 12 mesi, sia il numero identificativo: sono diversi. Quindi ci troviamo di fronte a una moltiplicazione dei certificati che per alcuni soggetti sono contati due volte. La prima per la doppia dose e poi, con l'arrivo del nuovo certificato, dopo la terza. È anche usando questi piccoli escamotage che si toglie credibilità alla campagna vaccinale, come quando si gonfiavano i dati sull'occupazione qualche anno fa.
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Riduci
Altro che spinta ai vaccini, le file chilometriche costringono il generale ad accogliere le richieste del settore e a concedere aperture eccezionali volontarie. Il premier intanto non fissa soglie per la fine dell'emergenza.Lo sfondamento di quota 100 milioni di card non sancisce l'aumento di nuovi vaccinati Il numero dei certificati verdi è spinto da chi si paga i test e da chi fa il booster.Lo speciale contiene due articoli.Farmacie aperte oltre l'orario di servizio e anche nei giorni previsti di chiusura per far fronte alle richieste di tamponi da parte dei cittadini senza prenotazioni. Il commissario straordinario, Francesco Figliuolo, sentito il ministero della Salute, ha accolto la proposta della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (Fofi) e ha chiesto alle Regioni di agevolare le farmacie la cui adesione sarà comunque su base volontaria (previa comunicazione alle aziende sanitarie locali e ai Comuni). È quindi ancora troppo presto per sapere quanti farmacisti risponderanno alla chiamata. La richiesta del generale Figliuolo va però in una nuova direzione rispetto a quella vista finora, ovvero agevolare i tamponi. Bisogna infatti fare i conti con la realtà, ovvero che l'introduzione del pass obbligatorio per lavorare non sembra per il momento aver scalfito lo zoccolo duro degli italiani che ancora non hanno ricevuto la prima somministrazione. La spinta tanto attesa non c'è stata, come scrive da giorni questo giornale mentre altri ieri si sono svegliati tutti sudati leggendo i dati. Inequivocabili. Le prime dosi di vaccino somministrate sono in calo, mentre aumentano le terze dosi: i dati di lunedì e martedì fotografano il sorpasso dei booster e dei richiami (suggeriti al momento per over 60, fragili e sanitari), sulle prime dosi, per le quali si registra un rallentamento dopo l'assai timida crescita delle scorse settimane. Lunedì 18 ottobre sono state somministrate 47.360 prime dosi (circa 10.000 in meno rispetto alla media della settimana precedente) e 50.392 terze dosi (20.000 in più rispetto a sette giorni prima). Sorpasso confermato e rinforzato martedì, con quasi 37.000 prime dosi e 55.800 terze dosi. I primi due giorni della settimana scorsa il rapporto era invertito, con 54.000 e 58.000 prime dosi a fronte di 38.000 e 42.000 terze dosi. In generale, il 74,4% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale. Il 3,80% è in attesa di seconda dose. Complessivamente - contando anche il monodose e i preinfettati che hanno ricevuto una dose - è almeno parzialmente protetto il 78,2% della popolazione italiana. Considerando solo gli over 12, oggetto della campagna vaccinale, la percentuale di almeno parzialmente protetti è del 85,8% mentre l'81,63% è completamente vaccinato. L'ultima media mobile a sette giorni di «vaccinati» ogni giorno in Italia è di 74.374. Di questi, 70.341 hanno fatto la seconda dose, 484 il monodose, 3.549 sono «pregresse infezioni». La domanda che si fa gran parte degli italiani è quando finirà davvero lo stato d'emergenza, finora fissato al 31 dicembre, e se esiste una soglia superata la quale sarà possibile allentare le misure sul pass obbligatorio per chi lavora. Nei giorni scorsi lo stesso Figliuolo ha detto che, secondo lui, questa possibilità si presenterà solo «quando raggiungeremo il 90%« (senza però precisare se la percentuale è riferita alla popolazione generale o a quella vaccinabile ovvero agli over 12). Ma ha poi rimandato la scelta ai decisori. «Se i comportamenti continueranno a essere responsabili e le curve confermeranno l'andamento, il governo penserà a qualcosa che potrà andare verso un alleggerimento delle misure». Di certo, per arrivare al 90% con l'attuale ritmo di vaccinazioni, ci vorrebbero due mesi.Ieri però Mario Draghi, davanti al Parlamento non ha parlato di soglie. Anzi. In Senato ha citato lo «sforzo straordinario» dell'Italia nella campagna di vaccinazione, tanto da superare la media europea, aggiungendo che la curva epidemiologica «è sotto controllo grazie al senso di responsabilità dei cittadini e questo ci permette di mantenere aperte le scuole, le attività economiche e i luoghi della nostra socialità». Poi, però, nella replica in Aula alla Camera, ha evocato il Regno Unito che, «abbandonata ogni cautela si trova di fronte a 50.000 contagi giornalieri e 200 morti. Questo ci insegna che bisognerà uscire con gradualità». E ha sottolineato che «dopo 132.000 morti bisogna fare in coscienza tutto il possibile e quello che è necessario». Nessun accenno al livello da raggiungere per dichiarare l'uscita dall'emergenza, nessuna valutazione costi-benefici del certificato per i lavoratori. Il premier ha preferito usare le parole «graduale» e «necessario». Si va verso una proroga? La sensazione è quella. Intanto lo stesso Draghi ieri ha detto anche che «dal decreto con l'estensione nei luoghi di lavoro le prime dosi di vaccino sono cresciute del 46% rispetto al trend atteso dal 16 settembre». Rilanciando quanto riportava l'Ansa giovedì scorso riportando una stima basata - «a quanto apprendeva» la stessa agenzia - sui dati aggiornati in possesso della struttura commissariale. E che calcola 559.954 prime dosi in più legate alla certificazione verde. Le rilevazioni, veniva aggiunto, «sono relative al periodo tra il 16 settembre e 13 ottobre: senza il green pass le prime dosi attese erano 1.208.272; con l'approvazione dell'obbligo si sono invece registrate 1.768.226 prime somministrazioni». Draghi ieri ha citato proprio quel 46% senza però chiarire, ancora, i dubbi sollevati nei giorni scorsi dalla Verità: come si arriva ad affermare che «senza il green pass le prime dosi attese erano 1.208.272»? Sulla base di quali previsioni o statistiche? E da dove arriva la certezza che tutte le prime dosi in più somministrate tra il 16 settembre e il 13 ottobre siano effetto del certificato verde? Quanti dei nuovi vaccinati non si sarebbero comunque fatti inoculare la prima dose a prescindere dal green pass o hanno preferito programmare il vaccino al rientro dalle ferie estive? Tra l'altro, ha preso il volo anche la domanda di tamponi antigenici rapidi documentando indirettamente l'esistenza di una fascia di popolazione non intenzionata a vaccinarsi. E ora si fanno più terze che prime dosi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lassalto-alle-farmacie-per-i-tamponi-fa-cedere-figliuolo-sugli-orari-extra-2655330374.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-terza-dose-gonfia-la-conta-dei-pass" data-post-id="2655330374" data-published-at="1634755496" data-use-pagination="False"> La terza dose gonfia la conta dei pass I green pass sfondano quota 100 milioni, titolavano le agenzie di stampa qualche giorno fa. Alimentando la narrazione del «tutto va bene, madama la marchesa» sull'effetto del certificato obbligatorio per i lavoratori pubblici e privati. «Il green pass è un pezzo fondamentale della strategia del governo ed è uno strumento che gli italiani stanno usando massicciamente, essendo 103 milioni quelli scaricati a stamani», ha detto ieri anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, rispondendo al question time alla Camera. Attenzione, però, a come si danno i numeri. Anche un otto può sembrare l'infinito se viene mostrato nel verso sbagliato. Se si guardano le cifre dal verso giusto si scopre subito che nel solo giorno del 13 ottobre sono stati emessi 563.186 green pass, ma la maggior parte dei quali (369.415) in seguito a un tampone. Il 14 ottobre, sono stati emessi 632.802 green pass in seguito a tamponi, e 223.165 a vaccinati (più 4.127 a persone guarite dalla malattia). Il 15 ottobre, quando è entrato in vigore l'obbligo per lavorare, sono stati 208.831 i certificati ai vaccinati, 4.381 ai guariti e ben 653.827 ai tamponati. Nei giorni successivi, stessa musica: il 18 ottobre sono stati addirittura 130.170 i pass emessi in seguito al vaccino, contro 914.702 in seguito a tamponi (e ieri 203.719 contro 598.183). Certo, sarà nelle prossime settimane che le «fette» potrebbero cominciare a cambiare se e quando in molti si stuferanno di pagare fior di quattrini per farsi il tampone ogni due giorni. Ma fa sorridere chi ieri scriveva «l'effetto green pass si sgonfia» o «si raffredda», quando mai si è davvero gonfiato? E quando si è scaldato? Prima del 15 ottobre - ha registrato Pagellapolitica.it - si facevano circa 300.000 test al giorno (media settimanale), ma il 14 ottobre i test fatti sono saliti a 633.000, il giorno dopo a 654.000 e il 16 ottobre a 560.000, poi scesi il 17 ottobre a 262.000. Un aumento dei pass c'è stato, ma come abbiamo visto, spinto dalla crescita del numero di tamponi rapidi eseguiti giornalmente (tra il 15 e il 17 ottobre ne sono stati notificati 1,05 milioni, contro i 595.000 dei corrispondenti giorni della settimana precedente). Non solo. C'è un altro dettaglio che fa perdere colpi alla narrazione relativa all'effetto del green pass obbligatorio sulle vaccinazioni. Osservando le cifre sui certificati emessi nelle ultime settimane vanno considerati anche i nuovi pass per chi ha fatto la terza dose. In base ai dati aggiornati alle 61,3 di ieri mattina parliamo di 700.623 persone che hanno ricevuto la somministrazione di un richiamo o del booster partita il 20 settembre per la categoria dei cosiddetti «immunocompromessi». Ebbene, abbiamo verificato con chi ha ricevuto il terzo shot sia il numero progressivo che compare sul nuovo green pass valido per altri 12 mesi, sia il numero identificativo: sono diversi. Quindi ci troviamo di fronte a una moltiplicazione dei certificati che per alcuni soggetti sono contati due volte. La prima per la doppia dose e poi, con l'arrivo del nuovo certificato, dopo la terza. È anche usando questi piccoli escamotage che si toglie credibilità alla campagna vaccinale, come quando si gonfiavano i dati sull'occupazione qualche anno fa.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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