2018-11-30
L’Arcigay celebra l’utero in affitto, che in Italia resta ancora un reato
L'associazione lancia una campagna che allude alla compravendita di neonati, facendosi beffe delle leggi. Ma chi attaccò i manifesti delle associazioni pro vita, che invece rispettavano le norme vigenti, adesso tace. Arcigay non si è limitata a svilire la figura della donna, della madre, del bambino. Le altre istantanee messe insieme nella penosa campagna sono ridicole attenzioni verso le lesbiche.Affittare il proprio utero è un diritto, giù le mani dal libero mercato del corpo umano. È pesantissimo, inaudito, lo slogan coniato dall'Arcigay per la campagna «Nessun controllo sul mio corpo. L'autodeterminazione delle donne non si tocca», che risulta invece un attacco alla dignità delle donne e dei bambini. «Essere madre è una libera scelta. Ma anche non esserlo, lo è», fa dire l'associazione pro Lgbt a «Jackie, gestante per altri/altre», fotografata con una mano sul pancione, l'altra mentre stringe complice e consenziente le estremità di due braccia pelose, chiaramente maschili. La stretta di mano è considerata un contratto nelle compravendite, facile intuire quale sia l'accordo commerciale raggiunto fra i tre. Per eliminare ogni dubbio, sotto l'immagine campeggia un'altra affermazione: «L'espressione “utero in affitto" è violenza che si annida nel linguaggio». Avete capito? La questione sarebbe lessicale. All'Arcigay in realtà non interessano i diritti del bambino, oggetto dell'acquisto da parte di due uomini rappresentato nello scatto fotografico. Nemmeno importano quelli della donna, considerata contenitore di embrioni, da pagare perché sia madre surrogata per conto terzi solo fino al momento del parto, quando il nuovo nato le sarà portato via al pari di una merce contrattata in quella che la femminista Renate Klein chiama «prostituzione riproduttiva». La surrogazione di maternità «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», tuonava giusto un anno fa la Consulta respingendo la questione di legittimità costituzionale sollevata contro il divieto di maternità surrogata previsto dal nostro ordinamento. Il senso di quelle parole deve sfuggire al neo presidente della più grande associazione Lgbt d'Italia, il pugliese Luciano Lopopolo, che non ama le donne se ha promosso la prima campagna dell'Arcigay proprio in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulla donna, lo scorso 25 novembre. Subito dopo la sua elezione, pochi giorni fa, ribadiva la necessità di resistere «all'imbarbarimento sociale, culturale e politico» di questo Paese. La mozione di Lopopolo, risultata vincitrice al congresso di Torino, guarda caso si chiamava «Liberazione senza confini». Immaginiamo da ogni morale, legge, principio religioso e magari da quanti non la pensano come l'Arcigay, come Arcilesbica che è finita sfrattata dallo storico circolo del Cassero, avamposto bolognese delle battaglie arcobaleno, perché contraria all'utero in affitto e ai farmaci che bloccano la pubertà dei bambini. La gestazione per altri è una libertà, sostiene convinto l'Arcigay, una donna dovrebbe essere fiera di scegliere di non essere madre ma «donna forno» e di programmare per soldi «il concepimento di un neonato orfano», come l'ha definito Massimo Gandolfini promotore del Family Day. La cupa polaroid utilizzata nella campagna di questi giorni servirebbe «per fotografare la violenza più subdola, quella che limita l'autodeterminazione e la libertà delle donne sul proprio corpo, sul proprio orientamento sesso-affettivo, sulla propria identità di genere e sulle proprie scelte di vita», scandisce minaccioso il refrain Lgbt. Nessuna protesta si è levata contro questa immagine, che offende la dignità della donna e del bambino e viola la legge. Già, perché il divieto di surrogazione di maternità o gestazione per altri (Gpa) previsto dall'art. 12 comma 6 della legge 40 del 2004, è tuttora in vigore in Italia. Dove sono finiti sindaci, parlamentari, associazioni che strepitavano per ottenere la rimozione dei manifesti di Provita e Generazione famiglia contro l'utero in affitto, definiti omofobi? Tanto sdegno per quel codice a barre tatuato sul bimbo piangente in un carrello della spesa, mentre solo ricordava una verità sacrosanta: i bimbi non si comprano e la maternità surrogata è vietata in Italia.Arcigay non si è limitata a svilire la figura della donna, della madre, del bambino. Le altre istantanee messe insieme nella penosa campagna sono ridicole attenzioni verso le lesbiche: «Amo le donne. “Stare" con un uomo non cambierà ciò che sono. Lo “stupro correttivo" ai danni delle donne lesbiche è un crimine d'odio». Oppure verso le trans: «Non è una vagina a fare di me una donna. La violenza di genere colpisce anche le donne transgender». Senza dimenticare Faraa, bisex: «Non sono confusa, Non sono una “facile". Sono bisessuale. Il pregiudizio sulla bisessualità alimenta le discriminazioni». Nel suo delirio, Arcigay arriva a sostenere che «il messaggio che emerge è positivo: le donne sono pronte a lottare per difendere il proprio diritto all'autodeterminazione. Come? Fermando la mano che viola, la mano che abusa, la mano che interviene senza consenso. E scegliendo invece di stringere la mano che accoglie, che unisce, che genera amore, che si sceglie». Insomma, la mano dei committenti, di quanti pagano per diventare «genitori» usando il grembo di una donna. Possibilmente giovane, povera, senza nessuna consapevolezza dei suoi diritti.
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
L'ad di Eni Claudio Descalzi (Ansa)