2021-02-20
L’antidoping non molla Schwazer e tenta di squalificare pure i giudici
Alex Schwazer (Getty images)
Il tribunale di Bolzano ha stabilito che l’atleta fu estromesso dai Giochi in base a prove fasulle. Ma la Wada reagisce male: «Accuse infondate, siamo inorriditi». L’allenatore: «Questo ente ha perso qualsiasi terzietà» Con una buona dose di insolenza, irrompe nel caso Alex Schwazer la Wada, l’agenzia mondiale antidoping. Non solo ha commentato la sentenza del Tribunale di Bolzano - che nei giorni scorsi ha dato ragione al marciatore altoatesino, archiviando l’indagine a suo carico per un presunto episodio di doping del 2016 - ma ne mette in discussione la legittimità, e con parole gravi: «La Wada è inorridita per le molteplici accuse sconsiderate e infondate fatte dal giudice Walter Pelino contro l’organizzazione e altre parti coinvolte in questo caso», recita un comunicato ufficiale. Si continua: «Nel corso del procedimento, la Wada ha fornito prove schiaccianti che sono state confermate da esperti indipendenti e che il giudice ha respinto a favore di teorie infondate. L’Agenzia sostiene tutte le prove fornite e respinge con la massima fermezza le critiche diffamatorie contenute nella decisione. Una volta che le motivazioni saranno state analizzate, la Wada prenderà in considerazione tutte le opzioni disponibili, comprese azioni legali». Insomma, non l’hanno presa benissimo. L’onta maggiore, a detta degli esponenti dell’Agenzia, sta in un punto: nelle 87 pagine di ordinanza con le quali il gip ha archiviato il caso, emerge la fondatezza della teoria del complotto, dunque si spiana la strada a un’indagine per capire chi abbia incastrato l’atleta alterandone i campioni di urina per farlo risultare positivo ai controlli. «Il gip ritiene accertato con alto grado di credibilità razionale che i campioni di urina prelevati ad Alex Schwazer il primo gennaio 2016 siano stati alterati allo scopo di farli risultare positivi, e dunque di ottenere la squalifica e il discredito dell’atleta, come pure del suo allenatore Sandro Donati», circostanzia la sentenza. E ancora: «Non solo l’ipotesi di una manipolazione consente di spiegare come e perché sia avvenuta quella anomala concentrazione del Dna, ma questa costituisce, allo stato, anche l’unica spiegazione convincente. Noi non abbiamo una prova diretta della manipolazione, ma abbiamo un dato, quello relativo alla concentrazione del Dna, che trova allo stato adeguata e unica spiegazione proprio nell’ipotesi della manipolazione. Esistono forti evidenze del fatto che nel tentativo di impedire l’accertamento del predetto reato siano stati commessi una serie di reati». Una riabilitazione pubblica giunta dopo diversi anni di calvario per Schwazer. Ora il campione può mettere nel mirino le Olimpiadi di Tokyo, se la Corte federale svizzera annullerà la squalifica infertagli fino al 2024 dal Tas di Losanna che già ha precluso le Olimpiadi di Rio de Janeiro. Si stava allenando, Alex, quando lo hanno informato dell’archiviazione del caso. «Probabilmente non potrò dimenticare tutte le cose, ma il giorno di oggi mi ripaga di tante battaglie che assieme ad altri ho dovuto affrontare in questi quattro anni e mezzo per nulla facili», ha commentato a caldo. Quando ormai quasi cinque anni fa lo accusarono di avere un tasso di testosterone più elevato della norma nelle urine, Schwazer proclamò da subito la sua innocenza, sostenendo di essere incappato in esami non regolari. A nulla valsero i suoi tentativi di difendersi. Sandro Donati, allenatore del corridore dal 2015, è netto nel commentare le barricate odierne della Wada: «Con la presa di posizione contro il giudice, la Wada smette di essere parte terza e si identifica in tutto per tutto con la Iaaf (oggi World Athletics, ndr). Emergono dei chiari dati di fatto, una lunga serie di episodi come il falso legato all’iter della consegna delle provette di urine. Prima nei laboratori di Colonia non volevano consegnare il campione prelevato, poi hanno detto che all’interno del campione c’era pochissima urina (6 millilitri), quando i carabinieri del Ris hanno affermato che all’interno c’erano almeno 18 millilitri. Falsità su falsità». Per Donati e il suo assistito, la consolazione di un capovolgimento di fronte giunto dopo una lotta senza quartiere: «C’è amarezza per aver condotto una battaglia in solitudine. A parte Giovanni Malagò, che ha cercato di dare una mano, c’è stato il silenzio più totale dal resto del mondo sportivo: sono stati 5 anni di prove durissime, e solo nell’ultimo periodo la Federatletica ha assunto una posizione più distaccata, forse capendo che l’accusa nei confronti di Alex era indifendibile». L’allenatore lancia un appello: «Entra in gioco un discorso di tutela di un patrimonio nazionale, di un atleta calpestato. Alex si sta allenando ancora ed è molto forte nonostante l’età che nel frattempo è avanzata. Sarebbe pronto per marciare ai Giochi di Tokyo della prossima estate ed essere competitivo». Le speranze di vedere il marciatore, già campione della 50 km a Pechino 2008, difendere i colori nazionali in Giappone non sono flebili. Stefano Mei, presidente della Fidal, ammette che ora potrebbero aprirsi scenari inediti, compreso il colpo di scena atteso da parecchi. Nel frattempo, sui social dilaga il tripudio di franca vicinanza al podista ritrovato. Confidando nella valenza delle belle storie, quelle contraddistinte dal lieto fine, a dispetto di un pessimo inizio.