2020-02-25
L’Anpi in cerca di iscritti per fomentare odio
Michele Serra (Leonardo Cendamo, Getty Images)
Michele Serra lancia l'appello: «Aderite all'associazione partigiani». La stessa da cui prese le distanze nel 2016 perché faceva campagna contro Matteo Renzi. E che nelle ultime settimane ha continuato a diffondere menzogne negazioniste sui massacri titini.Fa sapere Repubblica che c'è un rinnovato interesse dei giovani nei confronti dell'Anpi. Nel fine settimana, a dispetto del panico da virus, l'associazione partigiani ha organizzato in tutta Italia dei banchetti per promuovere il tesseramento 2020, e pare che ci siano nuovi iscritti provenienti «dai movimenti», compresi quelli studenteschi e ambientalisti come Fridays for future. Che tutto ciò sia vero oppure no, non è dato sapere. Certo è che l'Anpi è alla disperata ricerca di energie fresche e punta a superare i 125.000 iscritti contati nel 2019.A dare una mano all'associazione si è messo, qualche giorno fa e proprio su Repubblica, Michele Serra. In una Amaca particolarmente ispirata, il celebre editorialista ha rivolto un appello a tutte le anime belle del Paese. «Che il nazismo sia tornato, in mezzo mondo, come pensiero e come azione, è un'evidenza di cronaca», ha sentenziato. Poi ha aggiunto: «Qualificarsi come antifascisti, nel 2020, costa lo sforzo, minimo, di dirlo e di farlo. E di prendere o riprendere la tessera dell'Anpi (cosa che farò lunedì e invito i miei lettori a fare) come risposta in chiaro alle gesta occulte dei tracciatori di svastiche. Un aumento degli iscritti all'associazione dei partigiani sarebbe di conforto, in questo momento, a chi ha la porta di casa segnata, o vede la propria memoria e i propri morti esposti allo sghignazzo». La faccenda è davvero interessante. Michele Serra, infatti, nel 2016 annunciò che avrebbe restituito la tessera dell'Anpi presa nel 2011. La sua decisione suscito parecchio clamore a sinistra, ma le motivazioni erano chiare e piuttosto comprensibili. La ragione della grande rinuncia risiedeva nell'atteggiamento tenuto dall'Anpi durante la campagna sul referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. «Già durante la campagna referendaria mi sono chiesto se la natura unitaria dell'Anpi non fosse messa a dura prova dal ferreo schierarsi del suo gruppo dirigente a favore del No e contro il Sì», scrisse Serra. «Ora l'Anpi, sull'abbrivio del successo del No, spedisce ai suoi iscritti lettere dei “Comitati del No" nelle quali si annunciano nuove mobilitazioni contro alcuni provvedimenti del governo Renzi. Questo si chiama: uso indebito della propria funzione. Dopo aver pagato i bollini dal 2013 al 2016 (sono moroso per mia negligenza) restituirò la tessera. Peccato, è tricolore e credevo rappresentasse l'antifascismo, non una corrente di partito». Parole coraggiose, senza dubbio. Nel 2016, Serra riconosceva una grande verità: l'Anpi fa un «uso indebito della propria funzione». Fa attività politica a sostegno di un'area ben precisa. Invece di limitarsi a preservare la memoria (che per forza di cose è la memoria di una sola parte), sfrutta la resistenza per entrare nel dibattito politico quotidiano. Basti pensare alle campagne pro immigrazione, al sostegno offerto alle sardine, alle mobilitazioni a favore delle istanze Lgbt in occasione dei gay pride. Che c'entra tutto questo con la resistenza e il fascismo? Assolutamente nulla. Vale la pena, a questo proposito, di citare per l'ennesima volta l'abusato Pier Paolo Pasolini, che già nel 1974 parlava di «un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più». Secondo Pasolini, «buona parte dell'antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede». A detta di Pasolini, il vero pericolo era rappresentato dalla «società dei consumi», in procinto di prendere la forma di una dittatura. A ben guardare, il poeta aveva ragione. Quando Michele Serra cita «evidenze di cronaca» per mostrare che il nazismo è tornato, sbaglia completamente bersaglio. La strage tedesca dei giorni scorsi o le svastiche disegnate al contrario sulle porte in alcune città italiane non sono il prodotto del «nazismo di ritorno», ma dei mali della contemporaneità. Nel caso germanico c'è un individuo isolato, un soggetto paranoide che alimenta sul Web le proprie ossessioni. La sua violenza è frutto di una serie di malfunzionamenti della «società del benessere», e non ha nulla a che fare con il rumore di stivaloni sulle scale. Lo stesso vale per i graffiti, che sono espressione di un vuoto pneumatico, più o meno lo stesso che spinge qualche giovinastro a gettare sassi dal cavalcavia. Questo disagio non ha nulla a che fare con la politica, con l'ideologia o - come troppi sostengono - con il sovranismo in crescita. In questa prospettiva, l'antifascismo «archeologico» dell'Anpi non solo è inutile, ma pure dannoso. L'associazione partigiani alimenta lo spauracchio nazista per vari motivi, tutti dipendenti dall'interesse di bottega. Per prima cosa, l'organizzazione ha bisogno di nuovi iscritti per restare in vita, visto che i partigiani - per questioni anagrafiche - vengono a mancare (perfino la presidente Carla Nespolo non ha fatto la resistenza). Avere tanti iscritti, poi, significa avere accesso ai finanziamenti pubblici, aspetto non certo secondario. Il problema è che, nella sua psicotica insistenza sul fascismo di ritorno, l'associazione partigiani non fa altro che alimentare odio e divisioni. Basti notare che cosa ha fatto l'Anpi in occasione del giorno del ricordo delle foibe. Ha organizzato a Roma, in Senato, e all'Università di Torino convegni giustificazionisti, se non negazionisti. Queste sono le «forze del bene» da sostenere? Gente impegnata a veicolare l'idea che in fondo gli italiani massacrati dai titini si siano meritati l'infoibamento? L'attuale funzione dell'Anpi è quella di diffondere disprezzo verso la destra, ideologia e menzogne storiche. Non va chiusa: basterebbe lasciare che si estingua.