2024-11-09
Landini incita rivolte ma blocca i salari a 560.000 lavoratori
Maurizio Landini (Imagoeconomica)
Dal segretario attacco politico a Giorgia Meloni: «Fa atti di bullismo». La Cgil frena l’aumento da 150 euro agli addetti degli enti locali.Se l’obiettivo era prendersi la scena politica della sinistra e convogliare le critiche della maggioranza e del governo, c’è da dire che l’operazione è pienamente riuscita. Da un paio di giorni il segretario della Cgil Maurizio Landini ha preso a straparlare di necessità di «rivolte sociali» contro la manovra e poche ore fa ha ribadito il concetto, senza fare una grinza rispetto a chi lo incalzava sulla necessità di abbassare i toni. «Non ho nulla da rettificare, serve una rivolta sociale», ha confermato la sua teoria, «continuo a pensare che di fronte a quello che sta succedendo c’è bisogno di una rivolta perché è in discussione la libertà di esistere delle persone. Come fa uno ad essere libero se è precario? Come fa uno ad essere libero se non arriva alla fine del mese pur lavorando?», e via così. Il copione è il solito. E a parte i toni inappropriati e fuori contesto pecca come minimo di coerenza. Parole pericolosissime (se sobilli poi hai delle responsabilità) che però non sono mai state pronunciate quando al governo c’era la sinistra o anche quando il banchiere Mario Draghi si era insediato a Palazzo Chigi. Negli anni scorsi quando l’Italia arrancava e Francia e Germania galoppavano i lavoratori potevano starsene a case beati sdraiati sul divano, adesso che l’Italia tiene botta e c’è un contesto europeo di oggettivo tracollo (la crisi economica e politica di Francia è Germania è per certi versi storica) c’è bisogno di una «rivolta sociale». Chiaro che qualcosa non quadra e chiaro che dietro alle «sparate» di Landini c’è la volontà di prendersi uno spazio (non si sa con quale fine) politico a sinistra. Lo dimostrano gli attacchi diretti alla Meloni e l’ennesima campagna referendaria questa volta per chiedere ai cittadini cosa ne pensino della firma di un contratto, quello degli statali, che garantisce la settimana cortissima (fino al giovedì) e 150 euro lordi al mese in più in busta paga. Contratto rispetto al quale la Cgil ha preso le distanze. Il caso Meloni è nato da un messaggio riportato da un deputato di Fratelli d’Italia secondo il quale il premier, impegnato a Budapest per il Consiglio europeo, gli avrebbe rivelato di stare male, ma di dover ugualmente lavorare per l’assenza di «particolari diritti sindacali». Apriti cielo. «Penso che è un atto di bullismo», ha alzato ancora una volta i toni Landini, «per chi è presidente del Consiglio a volte, prima di dire le cose, è meglio pensarci perché messa in questi termini è un attacco a chi quei diritti lì ogni giorno li vede messi in discussione». Una reazione eccessiva che fa però capire quale sia la linea che il segretario è intenzionato a seguire. Esagerare per acquisire visibilità. E almeno fino all’incontro di lunedì con il premier (le regalerò il libro di Albert Camus «L’uomo in rivolta») è difficile preveder un cambio di mood.Clamorosa poi la proposta di un referendum sul contratto degli statali. «Siano i lavoratori a decidere con il voto se questo è l’accordo che vogliono». Parliamo del contratto di chi lavora nei ministeri, circa 200.000 persone per il triennio 2022-2024. Intesa che prevede tra le altre cose un aumento delle retribuzioni del 6%, la possibilità di lavorare (solo per determinate categorie) fino al giovedì (la settimana cortissima) e buoni pasto anche per chi è in smart working. In soldoni: la media è di un aumento pari a 150 euro lordi in più al mese, senza contare che per il triennio a venire (2025-2027) il governo ha già garantito uno stanziamento da 5,5 miliardi. Gli statali avranno a breve una busta paga più ricca e maggiori diritti da sfruttare solo perché la Cisl e gli autonomi che erano in maggioranza hanno firmato, mentre Cgil e Uil ribadivano il loro no. Il sindacato di Landini chiedeva che fosse recuperato l’intero 17% di inflazione del periodo. Un’enormità per le casse dello Stato. Impossibile trovare un compromesso. Anche perché evidentemente l’obiettivo era quello di rompere. Adesso la situazione si ripropone. Con una piccola differenza. I lavoratori coinvolti sono 560.000 (parliamo del contratto degli enti locali) e stavolta la Cisl non potrà togliere le castagne dal fuoco, perché non arriva alla maggioranza. Insomma, o la Cgil (pubblico impiego) si decide a firmare, oppure per i dipendenti locali nisba. Il prossimo incontro all’Aran (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) è previsto per il 18 e sul piatto ci sono euro più euro meno le stesse condizioni retributive previste per i dipendenti dei ministeri. Per il resto (settimana corta ecc) bisognerà invece trattare. Il problema è che tra gli addetti più vicini al dossier emerge rassegnazione: con i tempi che corrono (la proposta di un referendum ha praticamente chiuso il cerchio) viene considerato impossibile che la Cgil abbassi la soglia delle sue pretese. L’ennesima contraddizione di un sindacato e di un sindacalista che appare sempre di più impegnato in politica e sempre meno preso dalle istanze dei lavoratori. Ma del resto c’era già il caso Stellantis, che scappa dall’Italia nel silenzio di Landini, a dimostrarlo plasticamente.
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